"It would be perfect"

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A Martina e a quelle disagiate di Federica, Sabrina e Cristina.



Voleva suonare e scrivere e martoriare quei polpastrelli già ricoperti da calli spessi e doloranti, quasi pulsanti. Avrebbe voluto, magari, cantare, o guardare un film, o mangiare, o semplicemente pensare a qualcosa che non fosse il maledetto concerto a cui sarebbe andato quella sera.

Michele sarebbe arrivato presto a prenderlo con la nuova macchina, tutto felice della patente appena presa, lo avrebbe portato anche a New York pur di dimostrare la sua bravura nel guidare, e questo a lui andava più che bene. Andava bene perché aveva quasi un bisogno fisico di rivederlo, di ammirare ancora Alessio e il suo modo quasi elegante di suonare, i capelli dalle punte sudate per la fatica, le guance rosse e accaldate, le vene del collo violacee e pulsanti.

Sarebbe stato al suo solito posto, nella seconda fila, per non essere visto troppo, affinché non travisasse quegli occhi brillanti e incantati dal modo superbo di fare musica che solo Alex aveva, perché per lui sarebbe stato l'unico; l'unica persona capace di farlo sognare, di farlo isolare da tutta la comitiva e farlo entrare in una bolla completamente ovattata da ogni suono disturbatore.

Quando vide che l'orologio digitale sul comodino segnava le otto e la macchina sarebbe arrivata esattamente dieci minuto dopo quasi gli prese il panico.

Velocemente prese ad alzarsi, correndo all'armadio già spalancato, tirando fuori una normalissima felpa, i soliti skinny jeans neri strappati poco sopra il ginocchio, le converse grigie e scucite ai lati, quasi da buttare. Da lontano sentì il rumore di un motore mentre si infilava saltellando le scarpe, correndo a prendere un giubbotto senza neanche fare caso all'indumento, le chiavi per non rimanere fuori casa, come tante altre notti.

Infilò alcune banconote nel portafoglio, portandolo infine nella tasca prima di uscire nel freddo tagliente di dicembre.

Mich suonò due volte il clacson, evidenziando il leggerissimo ritardo di tre minuti che, ne era convinto, gli sarebbe costata una birra e tante ore di amichevoli /ma poi non così tanto/ provocazioni. Quando entrò in macchina venne accolto da una specie di sorrisino saputo, spaventosamente inquietante da guardare.

"Con quei jeans stretti stretti ti farai sicuramente notare dall'amore tuo, Gennà" soffiò l'amico, partendo subito, quasi per sovrastare la risposta acida che stava risalendo il suo esofago.

Lasciò perdere quasi subito, cercando di non rovinare la serata già dagli inizi.

Sorrise quasi spontaneamente quando vide l'insegna verde di uno dei tanti pub di Napoli, sotto un cartellone con il nome della band scritto nella calligrafia elegante proprio di Alex: "Sleep Of Freak, ore 21:00".

Sospirò come per togliersi un macigno dal petto, scendendo dall'auto e andando incontro alla maggior parte della comitiva che era già riunita davanti all'ingresso del locale; velocemente decisero di entrare a riscaldarsi, le sue mani ormai raggrinzite e brutte come ogni cosa di lui.

Raggrinzito e brutto.

Strinse le mani nelle tasche della felpa, assalito dall'intenso calore afoso che lo colpì non appena attraversò la porta, portandolo a rabbrividire per il forte sbalzo termico.

Cercò il bancone tra la folla, spintonando quasi a forza di gomiti, borbottando imprecazioni sotto voce; sbuffò piano quando finalmente vide il sorriso tirato della barista guardarlo in attesa della sua ordinazione.

"Una London Pride" soffiò deciso, volgendo lo sguardo al palco ancora in allestimento. Sentì in modo palpabile il cuore arrivare in gola quando vide lui, proprio Alex, salire i gradini di lucido parquet, aggiungendo i piatti al resto della batteria.

I look from afar, with trembling hands.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora