Scivolare

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C'era un annoiato disprezzo annidato in fondo a quegli occhi dello stesso colore del lago in una giornata d'estate, quando il sole splende e ci sono le vacanze.

Sofia non poteva essere certa che quel disprezzo fosse rivolto solo a lei.

La bocca dell'uomo, un pò larga e sproporzionata rispetto al viso scavato, si piegò appena mentre egli studiava il disastro che la cameriera aveva appena combinato. Sofia era una statua di sale, imbambolata ad osservarlo come si osserva una bizzarra opera di arte moderna.

"Sono desolata " mormorò Sofia, contrita, chinandosi per pulire con lo straccio le eleganti scarpe di lucida pelle nera  e i pantaloni dell'uomo. Solo a sfiorare quegli abiti e a respirarne il profumo sentiva la curiosità impadronirsi di lei: era come se lo conoscesse da una vita.

L'uomo non le rispose nemmeno. La oltrepassò, quasi calpestandola, e schivando grumi di risotto e pezzettini di ceramica si accomodò ad un tavolo vicino, seguendo le indicazioni del padre di Sofia il quale non riusciva a nascondere bene la sua furia.

La donna sospirò, vedendolo così adirato, e calcolando con una certa precisione la ramanzina che ne sarebbe seguita.  Dopo aver raccolto la maggior parte del disastro si accostò al tavolo del nuovo arrivato, tenendo in una mano tremolante il blocchetto delle comande.

"Mi scuso per il disastro di poco fa..io...io...cosa..." spiccicò confusa Sofia, cercando di non far cadere la penna. Ora che poteva studiare quell'uomo vide le striature bianche nella spettinata zazzera color carbone e profonde rughe di espressione che solcavano un viso giovane e vecchio al tempo stesso. Quello che ancor di più la intimoriva era il gelo artico che trapelava dal modo in cui le dita lunghe e bellissime ticchettavano impazienti sul tavolo.

"Una bruschetta crudo e mozzarella. Possibilmente sul piatto" disse l'uomo, senza nemmeno guardarla, allungandosi per prendere il giornale del giorno ripiegato su un tavolo vuoto accanto.

Sofia avvampò e corse verso le cucine, cogliendo distrattamente qualcuno che dall'altro tavolo chiedeva notizie del risotto.

In cucina, come prevedibile, Sofia venne raggiunta dal padre.

"Sei un disastro. Una buona a nulla. Come tua madre..mi farai perdere tutti i clienti" le urlò, paonazzo, con il doppio mento che danzava a ritmo della voce tonante.

Sofia stava ancora passando l'ordine scribacchiato al cuoco, cercando di recuperare il fiato.

Non sapeva cosa ribattere e così rimase in silenzio, mentre la sua mente lavorava frenetica alla ricerca di una risposta. Quel viso l'aveva già visto. Quel profumo l'aveva già sentito. Quel profumo le ricordava la pioggia. 

La pioggia.

Suo padre stava ancora urlando, mentre i colori attorno a lei sbiadivano, dai toni del grigio finirono per stemperarsi e confondersi. Sofia si accasciò in silenzio, finendo distesa sul pavimento appiccicoso. Un risotto alla milanese ed una bruschetta, ricordava ancora da qualche parte nella sua mente mentre cullata da una voce distante  scivolava nell'azzurro, lo stesso azzurro di una camicia fresca di lavanderia.

"Sono Ananke. Sono il Fato. Sono il Destino.

Sono l'inestricabile gomitolo di avvenimenti che accompagna ogni essere umano dal grembo della madre al ciglio della tomba."





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