Addiction

1.8K 98 19
                                    

«Ognuno di noi possiede una dipendenza. L'ho imparato a mie spese. Quel desiderio di sentirsi accettati, di conoscere il punto di vista di qualcuno che non siamo noi, di cercare di capire se siamo all'altezza; è un bisogno umano. Non esiste una persona indipendente. Io credevo di esserlo, sa? Pensi che illuso che ero. Credevo seriamente che per vivere avessi bisogno solo di me stesso, e di nessun altro. Almeno, lo credevo fino a quando lui non entrò nella mia vita.

Sinceramente, questa cosa un po' mi spaventa. Le sto per raccontare tutto nei minimi dettagli, mi scuso in anticipo se qualcosa potrà impressionarla. Sento il bisogno di raccontarle tutto, sia per un bisogno personale, sia per il desiderio di vederlo stare bene, di vedere un'altra visione di lui. Con questa mail, segno la fine della mia esistenza. Lo sto tradendo, e spero di non pentirmene prima di concluderla e prima di avergliela inviata.
Partiamo dall'inizio, okay?

Si chiama Harry Styles. Scoprii il suo nome dopo pochi giorni che si fu trasferito nel mio stesso condominio, di fronte alla mia porta. Lo avevo scoperto perché ogni giorno uscivo di casa per andare al lavoro, e i miei occhi cadevano sempre sul suo citofono. Era rimasto vuoto per circa cinque anni, da quando la signora Richards perse la vita in un incidente stradale. Mi era dispiaciuto per lei, sul serio. Era una vecchietta davvero dolce, lo avevo notato pure io, che passavo la maggioranza del mio tempo a scrivere. Io uscivo di casa, diretto al mio solito bar dove mi accampavo per interi pomeriggi con il mio laptop e il mio quadernino degli appunti, lei usciva con il suo cagnolino spelacchiato, dannatamente brutto. Chissà dove lo portava, a spasso. Probabilmente seguiva la strada principale, a causa dell'assenza di verde in questa zona remota di Londra. Probabilmente è così che è morta.
La prima volta che vidi Harry Styles, fu esattamente otto giorni dopo il suo arrivo. Quel giorno mi svegliai tardi, avendo dimenticato di impostare la sveglia. Uscii di casa diretto al mio solito bar, quando la serratura scattò. Nel giro di pochi secondi, mi ritrovai davanti all'essere più bello che io avessi mai visto in tutta la mia vita. Era semplicemente bello. Quella camicia bianca leggermente sbottonata, quanto bastava per lasciar intravedere la pelle candida, con delle macchie nere, i suoi amati tatuaggi. E poi gli skinny jeans, davvero troppo stretti, a fasciargli le gambe in maniera perfetta. E poi quelle labbra, quelle fottutissime labbra. Dio solo sa come ho fatto a non avvinghiarmi ad esse. Erano rosse, grosse, sembravano morbide. I suoi occhi guizzavano, erano di un verde menta, un verde esotico. Ne rimasi incantato. Infine i capelli, lunghi, lisci alla cute e ricci alle punte, gli ricadevano sulle spalle e gli incorniciavano il viso alla perfezione.

Era troppo perfetto. Talmente perfetto da darmi la nausea.

Rimasi a fissarlo per non so quanto tempo. Lui non mi rivolse alcuna parola, non l'ha mai fatto. Sapevo che era malato, glielo leggevo in faccia.
Eppure era di una perfezione sovrumana. Un angelo, sembrava un fottuto angelo.
Rimanemmo così, uno di fronte all'altro, a fissarci. Chissà cosa pensava lui di me, in quel momento. Non glielo chiesi mai. Non mi è mai importato sapere la sua opinione, non mi interessava, ciò che mi causava, ciò che mi faceva provare anche solo con uno sguardo, mi era più che sufficiente.

Fu da lì che partì tutto. Una sorta di inizio dell'inizio. Io uscivo di casa la mattina presto, e usciva anche lui. E rimanevamo lì fermi ad osservarci, a scrutarci, come se fossimo entrambi un quadro meraviglioso in una galleria d'arte dove non si possono fare foto. Volevo captare ogni singolo lineamento, ogni singolo tratto, ogni singola caratteristica. E non solo per curiosità, ma per vero e proprio bisogno. Avevo bisogno di quegli occhi, di quelle labbra, di quella pelle dannatamente troppo pallida. Il contrasto con i tatuaggi mi faceva venire ogni volta la pelle d'oca. E sapevo che era sbagliato, lo sapevo, eppure continuavo, e continuavo fino a quando i miei occhi non si sentivano esausti, fino a quando non li sentivo urlare dal dolore. Come quando guardi il sole e senti il calore scaldarti la pelle, ma ti fanno male gli occhi, li senti bruciare, eppure quella sensazione è talmente bella che piuttosto che lasciarla, preferisci correre il rischio di diventare cieco. E sapevo che Harry prima o poi mi avrebbe accecato, sapevo che prima o poi si sarebbe appropriato di ogni mia singola cellula, della mia anima. Aveva bisogno di me, tanto quanto io avevo bisogno di lui.

AddictionDove le storie prendono vita. Scoprilo ora