CAPITOLO 16

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Camminavo lentamente sulla strada sferrata, non sapevo come fossi finita lì, sentivo solo il freddo pungente attraversarmi la maglietta leggera.

La notte era delle più buie che avessi mai visto, le stelle parevano non voler mostrarsi, come se volessero prendersi gioco di me. La luce della luna, invece, illuminava debolmente il sentiero con il suo pallore e stranamente conferiva un aria ancora più macabra all'atmosfera.

Procedevo incerta, attenta a non inciampare nelle radici che spuntavano beffarde dal terreno. Mi strinsi nella maglietta, anche se sapevo che non serviva a nulla.

-Liam?- chiamai, l'eco che seguì le mie parole mi fece raggelare. Fu istintivo il bloccarmi al mio posto quando il vento iniziò a soffiare e la pioggia a scendere, guardai il cielo, sperando di scorgere un briciolo di normalità nelle nuvole scure che si sarebbero dovute formare a scapito della pioggia. E invece niente, il nero del cielo era ben visibile, sgombro da qualsiasi ostacolo. Corsi a cercare riparo sotto un albero dalla pioggia scrociante, all'asciutto mi strizzai i capelli umidi e la maglietta, nel tentativo di levarmi di dosso, o almeno in parte, il freddo che oramai stava diventando insopportabile.

-Colpa tua- un sussurro mi fece sussultare, alzai la testa, giusto in tempo per vedere un fulmine abbattersi sull' albero adiacente a quello sotto cui mi trovavo io. Urlai e mi spostai da sotto l'abete.

-Colpa tua, Brooklyn- un secondo mugolio mi fece raggelare, feci correre lo sguardo a destra e a sinistra, spostando di tanto in tanto i ciuffi di capelli bagnati che cadevano miseramente sui miei occhi, ma non vidi nessuno.

Passò un secondo, un secondo nel quale il vento smise di soffiare, un secondo nel quale la pioggia aumentò, i suoi ticchettii incessanti a fondersi al mio respiro affannoso, un secondo nel quale iniziai davvero ad avere paura.

I sussurri iniziarono a diventare più frequenti, chiamavano il mio nome, ininterrottamente, che si andava perdendo nei rumori della notte.

-Chi sei?- urlai, come se mi aspettassi di ricevere risposta. I mormorii non fecero altro che rendersi più confusi, fino a diventare un'unica spettrale voce, dalle parole indistinguibili.

Mi tappai le orecchie e mi rannicchiai su me stessa, speravo solo che smettesse il prima possibile, ma non servì a nulla, quelle che ormai erano diventate urla si intrufolarono nella mia testa incuranti dei miei tentativi di isolarle , strisciavano nella notte, impedendomi di non sentirle. All'improvviso, cessarono, così come erano arrivate. Aprii gli occhi e mi alzai, scrollando via la terra attaccata ai miei jeans. Tremavo, nel mentre che sollevavo lo sguardo. E mi sorpresi di trovarmi davanti un corvo, intento a fissarmi con i suoi occhi vitrei. Lo scacciai malamente, tirandogli contro una pietra, ma lui si limitò a sollevarsi in aria per scansarla, per poi tornare al posto di prima.

-Va via!- strillai, mentre le lacrime iniziavano a trovare spazio attraverso le mie guance.

Lui mi guardava, semplicemente. E notai che c'era qualcosa di strano nel suo sguardo, sembrava quasi umano e consapevole di quel che faceva.

Arretrai il più possibile verso il tronco dell'albero più vicino quando mi resi conto a chi apparteneva quello sguardo.

Il corvo aveva iniziato a trasfigurarsi, le piume nere come la pece si schiarirono, fino a diventare bionde, gli artigli si ritrassero, lasciando posto a dita affusolate.

Drew mi apparve davanti, gli occhi azzurri accesi di odio. Ero paralizzata dal terrore, quello non era il mio Drew, non lo era.

-È colpa tua se sono morto, Brooklyn- disse, in un tono spaventosamente calmo, avvicinandosi a me con passo strascicato e lento. E in quel momento, il cervello annebbiato dal terrore, feci l'unica cosa che mi venne in mente. Urlai.

See you again||Zayn MalikDove le storie prendono vita. Scoprilo ora