CAPITOLO 8

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Un brivido scosse violentemente il corpo del piccolo Enrico, il quale con gli occhi spalancati era completamente immobilizzato dal terrore. Ogni muscolo e nervo del suo corpo era teso, e le mani incredibilmente sudate.
-Co.. Cosa... È?- balbettò. Avrebbe voluto alzarsi in piedi e provare a fuggire via, ma la paura lo bloccava al punto da immobilizzarlo completamente, come fosse legato a terra. Il suo cervello era in tilt; incapace di pensare con lucidità, il bambino non faceva altro che tremare e balbettare.
-Chi..Chi se..sei?-.
Il piccolo mostro deforme si fermò e restò lì immobile, a pochi centimetri di distanza dal bambino, ancora a gattoni. Le gambe e le braccia con cui si reggeva tremavano spaventosamente, così come il collo che sembrava a malapena reggere la testa. Dalla sua bocca socchiusa uscivano rivoli di sangue scuro, ed anche dei debolissimi lamenti.
Obba si alzò in piedi con un'agilità che mai si attribuirebbe ad un corpo così grassoccio, e si avvicinò. Sollevò lentamente un braccio e posò una la mano sulla sua fronte. -Direi che il travestimento non serva più, ormai- disse. Afferrò un lembo della pelle marcia che si portava addosso ed iniziò a tirarla, strappandola. La tolse a pezzi, liberando dapprima la parte sinistra del volto, poi la desta, poi il collo; il lieve rumore prodotto dalle fibre che si squarciavano faceva rivoltare le budella ad Enrico.
Il vero volto di Obbab venne alla luce: un volto magro, scarno e storto. Un paio d'occhi scurissimi, un naso eccessivamente grosso ed un paio di labbra storte; la testa calva, le orecchie piccole, e la pelle spaventosamente bianca.
Il mostro continuò a strapparsi di dosso ciò che restava di suo fratello, lasciando cadere a terra il pesante pancione che si era legato in vita; fu allora che Enrico vide cosa c'era all'interno.
Per riempire il pancione affinché sembrasse vero, Obba vi aveva messo dentro le ossa, la testa e gli organi di Babbo Natale.
Un conato di vomito costrinse Enrico a piegarsi in avanti; altri due lo seguirono, finché non riversò del liquido giallastro sul pavimento. Il tanfo che quei pezzi umani emanavano era insopportabile.
Obba si liberò anche della pelle cucita sui piedi, finché finalmente non fu del tutto libero dal corpo del fratello. Adesso la sua vera identità era chiara e ben visibile: come il volto, anche il corpo di Obba era molto gracile; le gambe erano storte verso l'interno, la schiena ricurva ed il petto ossuto. Assomigliava ad un cadavere.
Sul suo volto comparve un enorme, sadico, sorriso. -Caro piccolo Enrico- disse, spalancando le palpebre fino a mettere in mostra il bianco dei suoi occhi -È il momento della verità!-.
Il piccolo essere riprese a gattonare in direzione del bambino, emettendo strani versi con la bocca.
-Stai... Stai indietro!- gridò Enrico terrorizzato. L'essere posò le mani sulle sue gambe ed avvicinò il proprio volto al suo. Aprì la bocca lentamente, e ripeté con flebile voce: -Perché mi hai fatto questo?-.
-Stai indietro!!-. Enrico colpì l'essere con un calcio, scaraventandolo a terra. Balzò poi in piedi, ma trovando Obba davanti a sé non poté che premere la schiena contro al muro, tremando come una foglia.
Fu proprio in quel momento che il bambino ricordò. Ricordò che cosa il mostro gli aveva detto il giorno prima.
"Abbiamo qualcosa in comune".
-Abbiamo.... Abbiamo... Qualcosa in comune...- farfugliò a bassa voce.

Flashback
La mamma piangeva. China sul tavolo della cucina con una tazza di caffè caldo in mano, fissava il vuoto senza far caso alle lacrime che scendevano sulle sue guance.
La mamma stava male.
Papà si era avvicinato a lei; l'aveva abbracciata, posando la testa sulla sua spalle, ed aveva provato a rassicurarla. -Passerà, vedrai... Vedrai che passerà-.
-No, non è vero... E tu lo sai-.
Ecco dove aveva iniziato a deteriorasi il rapporto tra mamma e papà; proprio in quel periodo. Ma che cosa era successo? Perché mamma piangeva così tanto? Perché Enrico dormiva in cantina?
Al piano terra c'era la sua stanza; una stanza grande e accogliente.
Grande.
Grande.
Grande.
Troppo grande per un bambino solo.
Enrico non voleva più stare in quella stanza, ecco perché aveva trasferito il proprio letto in cantina. Non voleva più stare in quella stanza, perché non era stata solo sua.
Chi dormiva nel letto accanto a quello di Enrico?
Suo...
Suo...
Suo fratello.
Enrico aveva un fratello. Il ricordo di lui, troppo doloroso per la fragile mente di un bambino, era stato rimosso. Ma lui non era un semplice fratello; era un fratello gemello. Il suo nome era Fabio, ed aveva condiviso con Enrico l'embrione della loro mamma, la casa, la camera, l'infanzia...
Poi Fabio era morto. A dir la verità tutti sapevano che prima o poi sarebbe accaduto; il suo corpo era estremamente gracile, la sua salute cagionevole. Durante la formazione, Enrico aveva assorbito maggiori sostanze nutritive privando il gemello di buona parte di quelle che di cui avrebbe necessitato.
Proprio come era accaduto con Obbab.
Ecco cosa aveva in comune con quel mostro.

Enrico sbatté ripetutamente le palpebre. -Tu.. Tu sei... Fabio?-.
L'essere tornò a gattoni con una certa fatica, e si voltò ancora in direzione di Enrico. -Perché... Mi hai fatto... Questo?- ripeté ancora.
-Fabio... Non è stata colpa mia!-.
-Perché... Mi hai fatto questo?-. La sua voce, ad ogni domanda, aumentava la sua intensità.
-Io ti ho voluto tanto bene! Ricordi quanti giochi abbiamo fatto insieme?-.
-Perché mi hai fatto questo?-.
-Fabio, non è colpa mia! Non è colpa di nessuno!-.
-Perché mi hai fatto questo?!-.
-Mamma è papà sono stati tanto male... Ed anche io! Mi sei... Mancato tanto!-.
-Perché mi hai fatto questo!!!-. L'essere premette entrambi i palmi contro alle sue tempie, spalancando la bocca.
-Perché mi hai fatto questo!! Perché mi hai fatto questo!! Perché mi hai fatto questo!!!-.
Enrico chiuse gli occhi e gridò. Gridò con tutte le forze che aveva in corpo, liberando tutto quanto il suo fiato. Gridò fino a che non gli mancò aria, poi cessò di colpo.
Quando riaprì gli occhi, nella stanza era calato il silenzio.
Obba lo osservava, in piedi poco distante dalla creatura che aveva creato. -Adesso capisci, poppante?- chiese, mostrando nuovamente il suo sorriso malsano.
-I..Io...- balbettò il bambino -Non ricordavo più di lui...-.
-Lo so- disse il mostro. Si avvicinò a Fabio e posò una mano sulla sua testa. -È questa la tua giustizia, Enrico? È questa la tua bontà? Ti ritieni... Un bravo bambino?-.
Lui scosse con decisione la testa, deglutendo. -Mamma mi diceva che non era colpa mia...-.
-Invece lo è!- esordì il mostro. -Hai privato tuo fratello della sua vita, costringendolo ad una esistenza breve e colma di sofferenza!-.
-Ma io... Come potevo evitarlo?!- gridò Enrico, scoppiando il lacrime.
Obba piegò la testa di lato. -È arrivato il momento, per me e Fabio, di prenderci la nostra rivincita-. Avanzò rapidamente verso il bambino e lo afferrò per le braccia, bloccandole contro al muro.
-Lasciami!- gridò lui.
Obba scoppiò in una fragorosa risata, e recuperò una cordicella da terra con cui legò tra loro i polsi dell vittima. Usò poi il cinturone slegato dai resti d Babbo Natale per legargli anche le gambe, ignorando completamente le grida disperate del povero bambino.
Lo bloccò a terra, ai piedi del letto, in modo tale da impedirgli qualsiasi movimento con gli arti o con il busto. -Ti prego... Lasciami andare...- farfugliò Enrico ormai in preda alla disperazione.
Obbab indietreggiò e si mise a sedere a terra, accanto al pancione decomposto del fratello buono. Vi infilò dentro una mano ed afferrò una porzione di budella. -Tutto questo spettava anche a me...- disse, portandosi alla bocca quel putridume. -Ed ora, caro fratello mio, mangerò tutti quello che ritengo mi spetti-.
Affondò ancora le mani e tirò fuori la milza, il fegato, filamenti di nervi, pezzi di pelle rancida; masticò tutto con voracità, ridendo come solo un pazzo poteva fare.
Enrico vomitò ancora, girando la testa verso il pavimento come meglio poteva. Legato a terra e completamente immobilizzato, fu costretto a vivere i minuti più brutti della sua esistenza.
Era il turno di Fabio.
L'essere si avvicinò a lui pian piano, gattonando a terra e lasciando dietro di sé una scia di sangue. Raggiunse Enrico e posò le mani su di lui, annusandolo.
-Fabio... Ti prego...- balbettò il bambino, terrorizzato.
Ma l'essere sembrò non ascoltarlo. Con l'uso dei denti, che si scoprirono essere molto affilati, strappò via i vestiti del fratello, ed iniziò a mordere la sua pelle.
Enrico gridò, ma fu tutto inutile.

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EPILOGO

La carne si strappava, un piccolo pezzo alla volta.
I nervi venivano tagliati.
Le vene tirate fuori dalla pelle con una lentezza insopportabile.
Gli organi interni, graffiati dalle unghie di quell'essere.
Fu poi il momento delle ossa, che vennero grattate lentamente dai denti affilati.
Inutili le grida. Enrico, immobilizzato a terra dalle corde, fu costretto a vedere il suo corpo venire fatto a pezzi, una parte alla volta. Il dolore che provò fu semplicemente indescrivibile.
La sua vista si offuscò pian piano, mentre la forza vitale lo abbandonava.
Venne il momento della testa. I denti scavarono lentamente nella cute sotto ai capelli, fino a raggiungere l'osso del cranio. Si consumò pian piano, e dopo diversi minuti il cervello fu visibile.
L'essere ne estrasse una porzione con violenza.
E poi, tutto nero.

-Vendetta è fatta- esclamò Obbab Elatan.
-Sarà il turno di un altro gemello dalla salute immeritata, il prossimo Natale-.

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