PORCO E PEPEPer un po' si mise a guardare la casa, e non sapeva che fare, quando ecco un valletto in livrea uscirein corsa dalla foresta... (lo prese per un valletto perché era in livrea, altrimenti al viso lo avrebbecreduto un pesce), e picchiare energicamente all'uscio con le nocche delle dita. La porta fu aperta daun altro valletto in livrea, con una faccia rotonda e degli occhi grossi, come un ranocchio; ed Aliceosservò che entrambi portavano delle parrucche inanellate e incipriate. Le venne la curiosità disapere di che si trattasse, e uscì cautamente dal cantuccio della foresta, e si mise ad origliare.Il pesce valletto cavò di sotto il braccio un letterone grande quasi quanto lui, e lo presentò all'altro,dicendo solennemente: «Per la Duchessa. Un invito della Regina per giocare una partita di croquet.»Il ranocchio valletto rispose nello stesso tono di voce, ma cambiando l'ordine delle parole: «DallaRegina. Un invito per la Duchessa per giocare una partita di croquet.»Ed entrambi s'inchinarono sino a terra, e le ciocche de' loro capelli si confusero insieme.Alice scoppiò in una gran risata, e si rifugiò nel bosco per non farsi sentire, e quando tornò il pescevalletto se n'era andato, e l'altro s'era seduto sulla soglia dell'uscio, fissando stupidamente il cielo.Alice si avvicinò timidamente alla porta e picchiò.- È inutile picchiare, - disse il valletto, - e questo per due ragioni. La prima perché io sto dalla stessaparte della porta dove tu stai, la seconda perché di dentro si sta facendo tanto fracasso, che nonsentirebbe nessuno. - E davvero si sentiva un gran fracasso di dentro, un guaire e uno starnutirecontinui, e di tempo in tempo un gran scroscio, come se un piatto o una caldaia andasse in pezzi.- Per piacere, - domandò Alice, - che ho da fare per entrare?- Il tuo picchiare avrebbe un significato, - continuò il valletto senza badarle, - se la porta fosse franoi due. Per esempio se tu fossi dentro, e picchiassi, io potrei farti uscire, capisci.E parlando continuava a guardare il cielo, il che ad Alice pareva un atto da maleducato. «Ma forsenon può farne a meno, - disse fra sé - ha gli occhi quasi sull'orlo della fronte! Potrebbe peròrispondere a qualche domanda...» - Come fare per entrare? - disse Alice ad alta voce.- Io me ne starò qui, - osservò il valletto, - fino a domani...In quell'istante la porta si aprì, e un gran piatto volò verso la testa del valletto, gli sfiorò il naso e siruppe in cento pezzi contro un albero più oltre.-...forse fino a poidomani, - continuò il valletto come se nulla fosse accaduto.- Come debbo fare per entrare? - gridò Alice più forte.- Devi entrare? - rispose il valletto. - Si tratta di questo principalmente, sai.Senza dubbio, ma Alice non voleva sentirlo dire. «È spaventoso, - mormorò fra sé, - il modo con cuidiscutono queste bestie. Mi farebbero diventar matta!»Il valletto colse l'occasione per ripetere l'osservazione con qualche variante: - io me ne starò sedutoqui per giorni e giorni.- Ma io che debbo fare? - domandò Alice.- Quel che ti pare e piace, - rispose il valletto, e si mise a fischiare.- È inutile discutere con lui, - disse Alice disperata: - è un perfetto imbecille! - Aprì la porta edentrò.La porta conduceva di filato a una vasta cucina, da un capo all'altro invasa di fumo: la Duchessasedeva in mezzo su uno sgabello a tre piedi, cullando un bambino in seno; la cuoca era di fronte alfornello, rimestando in un calderone che pareva pieno di minestra.«Certo, c'è troppo pepe in quella minestra!» - disse Alice a sé stessa, non potendo frenare unostarnuto.Davvero c'era troppo sentor di pepe in aria.Anche la Duchessa starnutiva qualche volta; e quanto al bambino non faceva altro che starnutire estrillare senza un istante di riposo. I soli due esseri che non starnutivano nella cucina, erano la cuocae un grosso gatto, che se ne stava accoccolato sul focolare, ghignando con tutta la bocca, da unorecchio all'altro.- Per piacere, - domandò Alice un po' timidamente, perché non era certa che fosse buona creanza dicominciare lei a parlare, - perché il suo gatto ghigna così?- È un Ghignagatto, - rispose la Duchessa, - ecco perché. Porco!Ella pronunciò l'ultima parola con tanta energia, che Alice fece un balzo; ma subito comprese chequel titolo era dato al bambino, e non già a lei. Così si riprese e continuò:- Non sapevo che i gatti ghignassero a quel modo: anzi non sapevo neppure che i gatti potesseroghignare.- Tutti possono ghignare, - rispose la Duchessa; - e la maggior parte ghignano.- Non ne conosco nessuno che sappia farlo, - replicò Alice con molto rispetto, e contenta finalmentedi conversare.- Tu non sai molto, - disse la Duchessa; - non c'è da dubitarne!Il tono secco di questa conversazione non piacque ad Alice, che volle cambiar discorso. Mentrecercava un soggetto, la cuoca tolse il calderone della minestra dal fuoco, e tosto si mise a gettaretutto ciò che le stava vicino contro la Duchessa e il bambino... Scagliò prima le molle, la padella, el'attizzatoio; poi un nembo di casseruole, di piatti e di tondi. La duchessa non se ne dava per intesa,nemmeno quand'era colpita; e il bambino guaiva già tanto, che era impossibile dire se i colpi glifacessero male o no.- Ma badi a quel che fa! - gridò Alice, saltando qua e là atterrita. - Addio naso! - continuò a dire,mentre un grosso tegame sfiorava il naso del bimbo e poco mancò non glielo portasse via.- Se tutti badassero ai fatti loro, - esclamò la Duchessa con un rauco grido, - il mondo andrebbemolto più presto di quanto non faccia.- Non sarebbe un bene, - disse Alice, lieta di poter sfoggiare la sua dottrina. - Pensi che sarebbe delgiorno e della notte! La terra, com'ella sa, ci mette ventiquattro ore a girare intorno al suo asse...- A proposito di asce! - gridò la Duchessa, - tagliatele la testa!Alice guardò ansiosamente la cuoca per vedere se ella intendesse obbedire; ma la cuoca eraoccupata a rimestare la minestra, e, non pareva che avesse ascoltato, perciò andò innanzi dicendo:- Ventiquattro ore, credo; o dodici? Io...- Oh non mi seccare, - disse la Duchessa. - Ho sempre odiato i numeri! - E si rimise a cullare ilbimbo, cantando una certa sua ninnananna, e dandogli una violenta scossa alla fine d'ogni strofa:Vo col bimbo per la corte,se starnuta dàgli forte: luilo sa che infastidiscee per picca starnutisce.Coro(al quale si unisce la cuoca)Ahi ahi ahi!!!Mentre la Duchessa cantava il secondo verso, scoteva il bimbo su e giù con molta violenza, e ilpoverino strillava tanto che Alice appena poté udire le parole della canzoncina:Vo col bimbo per le corte,se starnuta gli dò forte;lui se vuole può mangiaretutto il pepe che gli pare.CoroAhi, ahi ahi!!!- Tieni, lo potrai cullare un poco se ti piace! - disse la Duchessa ad Alice, buttandole il bimbo inbraccio. - Vado a prepararmi per giocare una partita a croquet con la Regina. - E uscì in fretta dallastanza. La cuoca le scaraventò addosso una padella, e per un pelo non la colse.Alice afferrò il bimbo, ma con qualche difficoltà, perché era una creatura stranissima; springava lemani e i piedi in tutti i sensi, «proprio come una stella di mare» pensò Alice. Il poverino quandoAlice lo prese, ronfava come una macchina a vapore e continuava a contorcersi e a divincolarsi cosìche, per qualche istante, ella dubitò di non poterlo neanche reggere.Appena la fanciulla ebbe trovato la maniera di cullarlo a modo, (e questo consistè nel ridurlo a unaspecie di nodo, e nell'afferrarlo al piede sinistro e all'orecchio destro, per impedirgli di sciogliersi) loportò all'aria aperta.- Se non mi porto via questo bambino, - osservò Alice, - è certo che fra qualche giorno loammazzeranno; non sarebbe un assassinio l'abbandonarlo? - Disse le ultime parole a voce alta, e ilpoverino si mise a grugnire per risponderle (non starnutiva più allora). - Non grugnire, - disse Alice,- non è educazione esprimersi a codesto modo.Il bambino grugnì di nuovo, e Alice lo guardò ansiosamente in faccia per vedere che avesse. Avevaun naso troppo all'insù, e non c'era dubbio che rassomigliava più a un grugno che a un naso vero eproprio; e poi gli occhi gli stavano diventando così piccoli che non parevano di un bambino: incomplesso quell'aspetto non piaceva ad Alice. «Forse singhiozzava», pensò, e lo guardò di nuovonegli occhi per vedere se ci fossero lagrime.Ma non ce n'erano. - Carino mio, se tu ti trasformi in un porcellino, - disse Alice seriamente, - nonvoglio aver più nulla a che fare con te. Bada dunque! - Il poverino si rimise a singhiozzare (o agrugnire, chi sa, era difficile dire) e si andò innanzi in silenzio per qualche tempo.Alice, intanto, cominciava a riflettere: «Che cosa ho da fare di questa creatura quando arrivo acasa?» allorchè quella creatura grugnì di nuovo e con tanta energia, che ella lo guardò in facciasgomenta. Questa volta non c'era dubbio: era un porcellino vero e proprio, ed ella si convinse cheera assurdo portarlo oltre.Così depose la bestiolina in terra, e si sentì sollevata quando la vide trottar via tranquillamente versoil bosco. - Se fosse cresciuto, sarebbe stato un ragazzo troppo brutto; ma diventerà un magnificoporco, credo. - E si ricordò di certi fanciulli che conosceva, i quali avrebbero potuto essere degliottimi porcellini, e stava per dire: - Se si sapesse il vero modo di trasformarli... - quando sussultò dipaura, scorgendo il Ghignagatto, seduto su un ramo d'albero a pochi passi di distanza.Il Ghignagatto si mise soltanto a ghignare quando vide Alice.«Sembra di buon umore, - essa pensò;- ma ha le unghie troppo lunghe, ed ha tanti denti,» perciò si dispose a trattarlo con molto rispetto.- Ghignagatto, - cominciò a parlargli con un poco di timidezza, perché non sapeva se quel nome glipiacesse; comunque egli fece un ghigno più grande. «Ecco, ci ha piacere,» pensò Alice e continuò: -Vorresti dirmi per dove debbo andare?- Dipende molto dal luogo dove vuoi andare, - rispose il Gatto.- Poco m'importa dove... - disse Alice.- Allora importa poco sapere per dove devi andare, - soggiunse il Gatto.-...purchè giunga in qualche parte, - riprese Alice come per spiegarsi meglio.- Oh certo vi giungerai! - disse il Gatto, non hai che da camminare.Alice sentì che quegli aveva ragione e tentò un'altra domanda. - Che razza di gente c'è in questidintorni?- Da questa parte, - rispose il Gatto, facendo un cenno con la zampa destra, - abita un Cappellaio; eda questa parte, - indicando con l'altra zampa, - abita una Lepre di Marzo. Visita l'uno o l'altra, sonotutt'e due matti.- Ma io non voglio andare fra i matti, - osservò Alice.- Oh non ne puoi fare a meno, - disse il Gatto, - qui siamo tutti matti. Io sono matto, tu sei matta.- Come sai che io sia matta? - domandò Alice. - Tu sei matta, - disse il Gatto, - altrimenti non saresti venuta qui.Non parve una ragione sufficiente ad Alice, ma pure continuò: - E come sai che tu sei matto?- Intanto, - disse il Gatto, - un cane non è matto. Lo ammetti?- Ammettiamolo, - rispose Alice.- Bene, - continuò il Gatto, - un cane brontola quando è in collera, e agita la coda quando è contento.Ora io brontolo quando sono contento ed agito la coda quando sono triste. Dunque sono matto.- Io direi far le fusa e non già brontolare, - disse Alice.- Di' come ti pare, - rispose il Gatto. - Vai oggi dalla Regina a giocare a croquet?- Sì, che ci andrei, - disse Alice, - ma non sono stata ancora invitata.- Mi rivedrai da lei, - disse il Gatto, e scomparve.Alice non se ne sorprese; si stava abituando a veder cose strane. Mentre guardava ancora il postooccupato dal Gatto, eccolo ricomparire di nuovo.- A proposito, che n'è successo del bambino? - disse il Gatto. -.Avevo dimenticato di domandartelo.- S'è trasformato in porcellino, - rispose Alice tranquillamente, come se la ricomparsa del Gattofosse più che naturale.- Me l'ero figurato, - disse il Gatto, e svanì di nuovo.Alice aspettò un poco con la speranza di rivederlo, ma non ricomparve più, ed ella pochi istantidopo prese la via dell'abitazione della Lepre di Marzo. «Di cappellai ne ho veduti tanti, - disse frasé: - sarà più interessante la Lepre di Marzo. Ma siccome siamo nel mese di maggio, non sarà poitanto matta... almeno sarà meno matta che in marzo». Mentre diceva così guardò in su, e vide dinuovo il Gatto, seduto sul ramo d'un albero.- Hai detto porcellino o porcellana? - domandò il Gatto.- Ho detto porcellino, - rispose Alice; - ma ti prego di non apparire e scomparire con tanta rapidità:mi fai girare il capo!- Hai ragione, - disse il Gatto; e questa volta svanì adagio adagio; cominciando con la fine dellacoda e finendo col ghigno, il quale rimase per qualche tempo sul ramo, dopo che tutto s'eradileguato.- Curioso! ho veduto spesso un gatto senza ghigno; - osservò Alice, - mai un ghigno senza Gatto. Èla cosa più strana che mi sia capitata!Non s'era allontanata di molto, quando arrivò di fronte alla dimora della Lepre di Marzo: pensò chefosse proprio quella, perché i comignoli avevano la forma di orecchie, e il tetto era coperto di pelo.La casa era così grande che ella non osò avvicinarsi se non dopo aver sbocconcellato un po' delfungo che aveva nella sinistra, e esser cresciuta quasi sessanta centimetri di altezza: ma questo nonla rendeva più coraggiosa. Mentre si avvicinava, diceva fra sé: «E se poi fosse pazza furiosa?Sarebbe meglio che fossi andata dal Cappellaio.»VIIUN TÈ DI MATTISotto un albero di rimpetto alla casa c'era una tavola apparecchiata. Vi prendevano il tè la Lepre diMarzo e il Cappellaio. Un Ghiro profondamente addormentato stava fra di loro, ed essi se neservivano come se fosse stato un guanciale, poggiando su di lui i gomiti, e discorrendogli sulla testa.«Un gran disturbo per il Ghiro, - pensò Alice, - ma siccome dorme, immagino che non se ne importiné punto, né poco.»La tavola era vasta, ma i tre stavano stretti tutti in un angolo: - Non c'è posto! Non c'è posto! -gridarono, vedendo Alice avvicinarsi.- C'è tanto posto! - disse Alice sdegnata, e si sdraiò in una gran poltrona, a un'estremità della tavola.- Vuoi un po' di vino? - disse la Lepre di Marzo affabilmente.Alice osservò la mensa, e vide che non c'era altro che tè. - Non vedo il vino, - ella osservò.- Non ce n'è, replicò la Lepre di Marzo.- Ma non è creanza invitare a bere quel che non c'è, - disse Alice in collera.- Neppure è stata creanza da parte tua sederti qui senza essere invitata, - osservò la Lepre di Marzo.- Non sapevo che la tavola ti appartenesse, - rispose Alice; - è apparecchiata per più di tre.- Dovresti farti tagliare i capelli, - disse il Cappellaio. Egli aveva osservato Alice per qualche istantecon molta curiosità, e quelle furono le sue prime parole.-Tu non dovresti fare osservazioni personali, - disse Alice un po' severa; - è sconveniente.Il Cappellaio spalancò gli occhi; ma quel che rispose fu questo: - Perché un corvo somiglia a unoscrittoio?- Ecco, ora staremo allegri! - pensò Alice. -Sono contenta che hanno cominciato a proporre degliindovinelli... credo di poterlo indovinare, - soggiunse ad alta voce.- Intendi dire che credi che troverai la risposta? - domandò la Lepre di Marzo.- Appunto, - rispose Alice.- Ebbene, dicci ciò che intendi, - disse la Lepre di Marzo.- Ecco, - riprese Alice in fretta; - almeno intendo ciò che dico... è lo stesso, capisci.- Ma che lo stesso! - disse il Cappellaio.- Sarebbe come dire che «veggo ciò che mangio» sia lo stesso di «mangio quel che veggo.»- Sarebbe come dire, - soggiunse la Lepre di Marzo, - che «mi piace ciò che prendo», sia lo stessoche «prendo ciò che mi piace?»- Sarebbe come dire, - aggiunse il Ghiro che pareva parlasse nel sonno, - che «respiro quandodormo», sia lo stesso che «dormo quando respiro?»- È lo stesso per te, - disse il Cappellaio. E qui la conversazione cadde, e tutti stettero muti per unpoco, mentre Alice cercava di ricordarsi tutto ciò che sapeva sui corvi e sugli scrittoi, il che non eramolto.Il Cappellaio fu il primo a rompere il silenzio. - Che giorno del mese abbiamo? - disse, volgendosiad Alice. Aveva cavato l'orologio dal taschino e lo guardava con un certo timore, scuotendolo ditanto in tanto, e portandoselo all'orecchio.Alice meditò un po' e rispose: - Oggi ne abbiamo quattro.- Sbaglia di due giorni! - osservò sospirando il Cappellaio. - Te lo avevo detto che il burro avrebbeguastato il congegno! - soggiunse guardando con disgusto la Lepre di Marzo.- Il burro era ottimo, - rispose umilmente la Lepre di Marzo.- - Sì ma devono esserci entrate anche delle molliche di pane, - borbottò il Cappellaio, - non dovevimetterlo dentro col coltello del pane.La Lepre di Marzo prese l'orologio e lo guardò malinconicamente: poi lo tuffò nella sua tazza di tè,e l'osservò di nuovo: ma non seppe far altro che ripetere l'osservazione di dianzi: - Il burro eraottimo, sai.Alice, che l'aveva guardato curiosamente, con la coda dell'occhio, disse:- Che strano orologio! segna i giorni e non dice le ore.- Perché? - esclamò il Cappellaio. - Che forse il tuo orologio segna in che anno siamo?- No, - si affrettò a rispondere Alice - ma l'orologio segna lo stesso anno per molto tempo.- Quello che fa il mio, - rispose il Cappellaio.Alice ebbe un istante di grande confusione. Le pareva che l'osservazione del Cappellaio non avessealcun senso; e pure egli parlava correttamente. - Non ti comprendo bene! - disse con la maggioredelicatezza possibile.- Il Ghiro s'è di nuovo addormentato, - disse il Cappellaio, e gli versò sul naso un poco di tèbollente.Il Ghiro scosse la testa con atto d'impazienza, e senza aprire gli occhi disse: - Già! Già! stavo perdirlo io.- Credi ancora di aver sciolto l'indovinello? - disse il Cappellaio, volgendosi di nuovo ad Alice.- No, ci rinunzio, - rispose Alice. - Qual'è la risposta?- Non la so, - rispose il Cappellaio.- Neppure io, - rispose la Lepre di Marzo.Alice sospirò seccata, e disse: - Ma credo potresti fare qualche cosa di meglio che perdere il tempo,proponendo indovinelli senza senso.- Se tu conoscessi il tempo come lo conosco io, - rispose il Cappellaio, - non diresti che loperdiamo. Domandaglielo.- Non comprendo che vuoi dire, - osservò Alice.- Certo che non lo comprendi! - disse il Cappellaio, scotendo il capo con aria di disprezzo -Scommetto che tu non hai mai parlato col tempo.- Forse no, - rispose prudentemente Alice; - ma so che debbo battere il tempo quando studio lamusica.- Ahi, adesso si spiega, - disse il Cappellaio. - Il tempo non vuol esser battuto. Se tu fossi in buonerelazioni con lui, farebbe dell'orologio ciò che tu vuoi. Per esempio, supponi che siano le nove, l'oradelle lezioni, basterebbe che gli dicessi una parolina all orecchio, e in un lampo la lancetta andrebbeinnanzi! Mezzogiorno, l'ora del desinare!(«Vorrei che fosse mezzogiorno,» bisbigliò fra sé la Lepre di Marzo).- Sarebbe magnifico, davvero - disse Alice pensosa: - ma non avrei fame a quell'ora, capisci.- Da principio, forse, no, - riprese il Cappellaio, - ma potresti fermarlo su le dodici fin quando tiparrebbe e piacerebbe.- E tu fai così? - domandò Alice.Il Cappellaio scosse mestamente la testa e rispose: - Io no. Nel marzo scorso abbiamo litigato...proprio quando diventò matta lei... - (e indicò col cucchiaio la Lepre di Marzo...) Fu al granconcerto dato dalla Regina di Cuori... ivi dovetti cantare:Splendi, splendi, pipistrello!Su pel cielo vai bel bello!- Conosci tu quest'aria?- Ho sentito qualche cosa di simile, - disse Alice.- Senti, è così, - continuò il Cappellaio:Non t'importa d'esser soloe sul mondo spieghi il volo.Splendi. splendi...A questo il Ghiro si riscosse, e cominciò a cantare nel sonno:Teco il pane; teco il pane aggiungerò....e via via andò innanzi fino a che gli dovettero dare dei pizzicotti per farlo tacere.- Ebbene, avevo appena finito di cantare la prima strofa, - disse il Cappellaio, - quando la Reginaproruppe infuriata: - Sta assassinando il tempo! Tagliategli la testa!- Feroce! - esclamò Alice.- E d'allora, - continuò melanconicamente il Cappellaio, - il tempo non fa più nulla di quel che iovoglio! Segna sempre le sei!Alice ebbe un'idea luminosa e domandò: È per questo forse che vi sono tante tazze apparecchiate?- Per questo, - rispose il Cappellaio, - è sempre l'ora del tè, e non abbiamo mai tempo di risciacquarele tazze negl'intervalli.- Così le fate girare a turno, immagino... disse Alice.- Proprio così, - replicò il Cappellaio: a misura che le tazze hanno servito.- Ma come fate per cominciare da capo? s'avventurò a chiedere Alice.- Se cambiassimo discorso? - disse la Lepre di Marzo sbadigliando, - Questo discorso mi annoiatanto. Desidero che la signorina ci racconti una storiella.- Temo di non saperne nessuna, - rispose Alice con un po' di timore a quella proposta.- Allora ce la dirà il Ghiro! - gridarono entrambi. - Risvegliati Ghiro! - e gli dettero dei fortipizzicotti dai due lati.Il Ghiro aprì lentamente gli occhi, e disse con voce debole e roca:- Io non dormivo! Ho sentito parola per parola ciò che avete detto.- Raccontaci una storiella! - disse la Lepre di Marzo.- Per piacere, diccene una! - supplicò Alice.- E sbrigati! - disse il Cappellaio, - se no ti riaddormenterai prima di finirla.- C'erano una volta tre sorelle, - cominciò in gran fretta il Ghiro. - Si chiamavano Elsa, Lucia eTilla; e abitavano in fondo a un pozzo...- Che cosa mangiavano? - domandò Alice, la quale s'interessava sempre molto al mangiare e al bere.- Mangiavano teriaca, - rispose il Ghiro dopo averci pensato un poco.- Impossibile, - osservò gentilmente Alice. - si sarebbero ammalate.- E infatti erano ammalate, - rispose il Ghiro, - gravemente ammalate.Alice cercò di immaginarsi quella strana maniera di vivere, ma ne fu più che confusa e continuò: -Ma perché se ne stavano in fondo a un pozzo?- Prendi un po' più di tè! - disse la Lepre di Marzo con molta serietà.- Non ne ho avuto ancora una goccia, - rispose Alice in tono offeso, - così non posso prenderne unpo' di più.- Vuoi dire che non ne puoi prendere meno. - disse il Cappellaio: - è molto più facile prenderne piùdi nulla che meno di nulla.- Nessuno ha domandato il tuo parere, - soggiunse Alice.- Chi è ora che fa delle osservazioni personali? - domandò il Cappellaio con aria di trionfo.Alice non seppe che rispondere; ma prese una tazza di tè con pane e burro, e volgendosi al Ghiro,gli ripetè la domanda: - Perché se ne stavano in fondo a un pozzo?Il Ghiro si prese un minuto o due per riflettere, e rispose: - Era un pozzo di teriaca.- Ma non s'è sentita mai una cosa simile! interruppe Alice sdegnata. Ma la Lepre di Marzo e ilCappellaio facevano: - St! st! - e il Ghiro continuò burbero: - Se non hai educazione, finisciti da tela storiella.- No, continua pure! - disse Alice molto umilmente: - Non ti interromperò più. Forse esiste unpozzo così.- Soltanto uno! - rispose il Ghiro indignato. A ogni modo acconsentì a continuare: - E quelle tresorelle... imparavano a trarne...- Che cosa traevano? - domandò Alice, dimenticando che aveva promesso di tacere.- Teriaca, - rispose il Ghiro, questa volta senza riflettere.- Mi occorre una tazza pulita, - interruppe il Cappellaio; - moviamoci tutti d'un posto innanzi.E mentre parlava si mosse, e il Ghiro lo seguì: la Lepre di Marzo occupò il posto del Ghiro, e Alicesi sedette di mala voglia al posto della Lepre di Marzo. Il solo Cappellaio s'avvantaggiò dellospostamento: e Alice si trovò peggio di prima, perché la Lepre di Marzo s'era rovesciato il vaso dellatte nel piatto.Alice, senza voler offender di nuovo il Ghiro disse con molta discrezione: - Non comprendo bene.Di dove traevano la teriaca?- Tu puoi trarre l'acqua da un pozzo d'acqua? - disse il Cappellaio; - così immagina, potresti trarreteriaca da un pezzo di teriaca... eh! scioccherella!- Ma esse erano nel pozzo, - disse Alice al Ghiro.- Sicuro, e ci stavano bene, - disse il Ghiro.- Imparavano a trarre, - continuò il Ghiro, sbadigliando e stropicciandosi gli occhi, perché cadeva disonno; - e traevano cose d'ogni genere... tutte le cose che cominciano con una T...- Perché con una T? - domandò Alice.- Perché no? - gridò la Lepre di Marzo.Alice non disse più sillaba.Il Ghiro intanto aveva chiusi gli occhi cominciando a sonnecchiare; ma, pizzicato dal Cappellaio, sidestò con un grido, e continuò: - Che cominciano con una T. come una trappola, un topo, unatopaia, un troppo... già tu dici: «il troppo stroppia», oh, non hai mai veduto come si tira il troppostroppia?»- Veramente, ora che mi domandi, - disse Alice, molto confusa, - non saprei...- Allora stai zitta, - disse il Cappellaio.Questo saggio di sgarbatezza sdegnò grandemente Alice, la quale si levò d'un tratto e se ne uscì. IlGhiro si addormentò immediatamente, e nessuno degli altri due si accorse che Alice se n'era andata,benché ella si fosse voltata una o due volte, con una mezza speranza d'essere richiamata: l'ultimavolta vide che essi cercavano di tuffare il Ghiro nel vaso del tè.- Non ci tornerò mai più, - disse Alice entrando nel bosco. - È la più stupida gente che io m'abbiamai conosciuta.Mentre parlava così osservò un albero con un uscio nel tronco. «Curioso, - pensò Alice. - Ma ognicosa oggi è curiosa. Credo che farò bene ad entrarci subito». Ed entrò.Si trovò.di nuovo nella vasta sala, e presso il tavolino di cristallo. - Questa volta saprò far meglio, -disse, e prese la chiavetta d'oro ed aprì la porta che conduceva nel giardino. Poi si mise asbocconcellare il fungo (ne aveva conservato un pezzetto in tasca), finché ebbe un trenta centimetrid'altezza o giù di lì: percorse il piccolo corridoio: e poi si trovò finalmente nell'ameno giardino inmezzo alle aiuole fulgide di fiori, e alle freschissime fontane. VIIIIL CROQUET DELLA REGINAUn gran cespuglio di rose stava presso all'ingresso del giardino. Le rose germogliate erano bianche,ma v'erano lì intorno tre giardinieri occupati a dipingerle rosse. «È strano!» pensò Alice, e s'avvicinòper osservarli, e come fu loro accanto, sentì dire da uno: - Bada, Cinque! non mi schizzare la tuatinta addosso!- E che vuoi da me? - rispose Cinque in tono burbero. - Sette mi ha urtato il braccio.Sette lo guardò e disse: - Ma bene! Cinque dà sempre la colpa agli altri!- Tu faresti meglio a tacere! - disse Cinque. - Proprio ieri la Regina diceva che tu meriteresti diessere decapitato!- Perché? - domandò il primo che aveva parlato.- Questo non ti riguarda, Due! - rispose Sette.Sì, che gli riguarda! - disse Cinque; - e glielo dirò io... perché hai portato al cuoco bulbi di tulipaniinvece di cipolle.Sette scagliò lontano il pennello, e stava lì lì per dire: - Di tutte le cose le più ingiuste... - quandoincontrò gli occhi di Alice e si mangiò il resto della frase. Gli altri similmente si misero a guardarlae le fecero tutti insieme una profonda riverenza.Volete gentilmente dirmi, - domandò Alice, con molta timidezza, - perché state dipingendo quellerose?Cinque e Sette non risposero, ma diedero uno sguardo a Due. Due disse allora sottovoce: - Perchéquesto qui doveva essere un rosaio di rose rosse. Per isbaglio ne abbiamo piantato uno di rosebianche. Se la Regina se ne avvedesse, ci farebbe tagliare le teste a tutti. Così, signorina, facciamo ilpossibile per rimediare prima ch'essa venga a...In quell'istante Cinque che guardava attorno pieno d'ansia, gridò: - La Regina! la Regina! - e i tregiardinieri si gettarono immediatamente a faccia a terra. Si sentì un gran scalpiccìo, e Alice si volsecuriosa a veder la Regina.Prima comparvero dieci soldati armati di bastoni: erano della forma dei tre giardinieri, bislunghi epiatti, le mani e i piedi agli angoli: seguivano dieci cortigiani, tutti rilucenti di diamanti; e sfilavanoa due a due come i soldati. Venivano quindi i principi reali, divisi a coppie e saltellavano a due adue, tenendosi per mano: erano ornati di cuori.Poi sfilavano gli invitati, la maggior parte re e regine, e fra loro Alice riconobbe il Coniglio Biancoche discorreva in fretta nervosamente, sorridendo di qualunque cosa gli si dicesse. Egli passòinnanzi senza badare ad Alice. Seguiva il fante di cuori, portando la corona reale sopra un cuscinodi velluto rosso; e in fondo a tutta questa gran processione venivano IL RE E LA REGINA DICUORI.Alice non sapeva se dovesse prosternarsi, come i tre giardinieri, ma non poté ricordarsi se ci fosseun costume simile nei cortei reali.«E poi, a che servirebbero i cortei, - riflettè, - se tutti dovessero stare a faccia per terra e nessunopotesse vederli?»Così rimase in piedi ad aspettare.Quando il corteo arrivò di fronte ad Alice, tutti si fermarono e la guardarono; e la Regina gridò concipiglio severo: - Chi è costei? - e si volse al fante di cuori, il quale per tutta risposta sorrise es'inchinò.- Imbecille! - disse la Regina, scotendo la testa impaziente; indi volgendosi ad Alice, continuò adire: - Come ti chiami, fanciulla?- Maestà, mi chiamo Alice, - rispose la fanciulla con molta garbatezza, ma soggiunse fra sé: «Non èche un mazzo di carte, dopo tutto? Perché avrei paura?»- E quelli chi sono? - domandò la Regina indicando i tre giardinieri col viso a terra intorno al rosaio;perché, comprendete, stando così in quella posizione, il disegno posteriore rassomigliava a quellodel resto del mazzo, e la Regina non poteva distinguere se fossero giardinieri, o soldati, o cortigiani,o tre dei suoi stessi figliuoli.- Come volete che io lo sappia? - rispose Alice, che si meravigliava del suo coraggio. - È cosa chenon mi riguarda.La Regina diventò di porpora per la rabbia e, dopo di averla fissata selvaggiamente come una bestiaferoce, gridò: - Tagliatele la testa, subito!...- Siete matta! - rispose Alice a voce alta e con fermezza; e la Regina tacque.Il Re mise la mano sul braccio della Regina, e disse timidamente: - Rifletti, cara mia, è unabambina!La Regina irata gli voltò le spalle e disse al fante: - Voltateli!Il fante obbedì, e con un piede voltò attentamente i giardinieri.- Alzatevi! - gridò la Regina, e i tre giardinieri, si levarono immediatamente in piedi, inchinandosiinnanzi al Re e alla Regina, ai principi reali, e a tutti gli altri.- Basta! - strillò la regina. - Mi fate girare la testa. - E guardando il rosaio continuò: - Che facevatequi?- Con buona grazia della Maestà vostra, - rispose Due umilmente, piegando il ginocchio a terra,tentavamo...- Ho compreso! - disse la Regina, che aveva già osservato le rose, - Tagliate loro la testa! - E ilcorteo reale si rimise in moto, lasciando indietro tre soldati, per mozzare la testa agli sventuratigiardinieri, che corsero da Alice per esserne protetti.- Non vi decapiteranno! - disse Alice, e li mise in un grosso vaso da fiori accanto a lei. I tre soldativagarono qua e là per qualche minuto in cerca di loro, e poi tranquillamente seguirono gli altri.- Avete loro mozzata la testa? - gridò la Regina.- Maestà, le loro teste se ne sono andate! - risposero i soldati.- Bene! - gridò la Regina. - Si gioca il croquet?I soldati tacevano e guardavano Alice, pensando che la domanda fosse rivolta a lei.- Sì! - gridò Alice.Venite qui dunque! - urlò la Regina. E Alice seguì il corteo, curiosa di vedere il seguito.- Che bel tempo! - disse una timida voce accanto a lei. Ella s'accorse di camminare accanto alConiglio bianco, che la scrutava in viso con una certa ansia.- Bene, - rispose Alice: - dov'è la Duchessa?- St! st! - disse il Coniglio a voce bassa, con gran fretta. Si guardò ansiosamente d'intorno levandosiin punta di piedi, avvicinò la bocca all'orecchio della bambina: - È stata condannata a morte.- Per qual reato? - domandò Alice.- Hai detto: «Che peccato?» - chiese il Coniglio.- Ma no, - rispose Alice: - Ho detto per che reato?- Ha dato uno schiaffo alla Regina... -cominciò il coniglio.Alice ruppe in una risata.- Zitta! - bisbigliò il Coniglio tutto tremante. - Ti potrebbe sentire la Regina! Sai, è arrivata tardi, ela Regina ha detto...- Ai vostri posti! - gridò la Regina con voce tonante. E gl'invitati si sparpagliarono in tutte ledirezioni, l'uno rovesciando l'altro: finalmente, dopo un po', poterono disporsi in un certo ordine, e ilgiuoco cominciò. Alice pensava che in vita sua non aveva mai veduto un terreno più curioso pergiocare il croquet; era tutto a solchi e zolle; le palle erano ricci, i mazzapicchi erano fenicotteri vivi,e gli archi erano soldati vivi, che si dovevano curvare e reggere sulle mani e sui piedi.La principale difficoltà consisteva in ciò, che Alice non sapeva come maneggiare il suo fenicottero;ma poi riuscì a tenerselo bene avviluppato sotto il braccio, con le gambe penzoloni; ma quando gliallungava il collo e si preparava a picchiare il riccio con la testa, il fenicottero girava il capo e poi simetteva a guardarla in faccia con una espressione di tanto stupore che ella non poteva tenersi dalloscoppiare dalle risa: e dopo che gli aveva fatto abbassare la testa, e si preparava a ricominciare, eccoche il riccio si era svolto, e se n'andava via. Oltre a ciò c'era sempre una zolla o un solco là dovevoleva scagliare il riccio, e siccome i soldati incurvati si alzavano e andavan vagando qua e là, Alicesi persuase che quel giuoco era veramente difficile.I giocatori giocavano tutti insieme senza aspettare il loro turno, litigando sempre e picchiandosi acagion dei ricci; e in breve la Regina diventò furiosa, e andava qua e là pestando i piedi e gridando:- Mozzategli la testa! - oppure: - Mozzatele la testa! - almeno una volta al minuto.- Alice cominciò a sentirsi un po' a disagio: e vero che non aveva avuto nulla da dire con la Regina;ma poteva succedere da un momento all'altro, e pensò: «Che avverrà di me? Qui c'è la smania ditroncar teste. Strano che vi sia ancora qualcuno che abbia il collo a posto!»E pensava di svignarsela, quando scorse uno strano spettacolo in aria. Prima ne restò sorpresa, madopo aver guardato qualche istante, vide un ghigno e disse fra sé: «È Ghignagatto: potrò finalmenteparlare con qualcuno.»- Come va il giuoco? - disse il Gatto, appena ebbe tanto di bocca da poter parlare.Alice aspettò che apparissero gli occhi, e poi fece un cenno col capo. «È inutile parlargli, - pensò, -aspettiamo che appaiano le orecchie, almeno una.» Tosto apparve tutta la testa, e Alice depose il suofenicottero, e cominciò a raccontare le vicende del giuoco, lieta che qualcuno le prestasseattenzione. Il Gatto intanto dopo aver messa in mostra la testa, credé bene di non far apparire il restodel corpo.- Non credo che giochino realmente, - disse Alice lagnandosi. - Litigano con tanto calore che nonsentono neanche la loro voce... non hanno regole nel giuoco; e se le hanno, nessuno le osserva... Epoi c'è una tal confusione con tutti questi oggetti vivi; che non c'è modo di raccapezzarsi. Peresempio, ecco l'arco che io dovrei attraversare, che scappa via dall'altra estremità del terreno...Proprio avrei dovuto fare croquet col riccio della Regina, ma è fuggito non appena ha visto il mio.- Ti piace la Regina? - domandò il Gatto a voce bassa.- Per nulla! - rispose Alice; - essa è tanto... - Ma s'accorse che la Regina le stava vicino in ascolto, econtinuò -...abile al giuoco, ch'è inutile finire la partita.La Regina sorrise e passò oltre.- Con chi parli? - domandò il Re che s'era avvicinato ad Alice, e osservava la testa del Gatto congrande curiosità.- Con un mio amico... il Ghignagatto, - disse Alice; - vorrei presentarlo a Vostra Maestà.- Quel suo sguardo non mi piace, - rispose il Re; - però se vuole, può baciarmi la mano.- Non ho questo desiderio, - osservò il Gatto.- Non essere insolente, - disse il Re, - e non mi guardare in quel modo. - E parlando si rifugiò dietroAlice.- Un gatto può guardare in faccia a un re, - osservò Alice, - l'ho letto in qualche libro, ma nonricordo dove.- Ma bisogna mandarlo via, - disse il Re risoluto; e chiamò la Regina che passava in quel momento:- Cara mia, vorrei che si mandasse via quel Gatto!La Regina conosceva un solo modo per sciogliere tutte le difficoltà, grandi o piccole, e senzaneppure guardare intorno, gridò: - Tagliategli la testa!- Andrò io stesso a chiamare il carnefice, - disse il Re, e andò via a precipizio.Alice pensò che intanto poteva ritornare per vedere il progresso del gioco, mentre udiva da lontanola voce della Regina che s'adirava urlando. Ella aveva sentito già condannare a morte tre giocatoriche avevano perso il loro turno. Tutto ciò non le piaceva, perché il gioco era diventato una talconfusione ch'ella non sapeva più se fosse la sua volta di tirare o no. E si mise in cerca del suoriccio.Il riccio stava allora combattendo contro un altro riccio; e questa sembrò ad Alice una buonaoccasione per batterli a croquet l'uno contro l'altro: ma v'era una difficoltà: il suo fenicottero eradall'altro lato del giardino, e Alice lo vide sforzarsi inutilmente di volare su un albero.Quando le riuscì d'afferrare il fenicottero e a ricondurlo sul terreno, la battaglia era finita e i duericci s'erano allontanati. «Non importa, - pensò Alice, - tanto tutti gli archi se ne sono andatidall'altro lato del terreno.» E se lo accomodò per benino sotto il braccio per non farselo scapparepiù, e ritornò dal Gatto per riattaccare discorso con lui.Ma con sorpresa trovò una gran folla raccolta intorno al Ghignagatto; il Re, la Regina e il carneficeurlavano tutti e tre insieme, e gli altri erano silenziosi e malinconici.Quando Alice apparve fu chiamata da tutti e tre per risolvere la questione. Essi le ripeterono i loroargomenti; ma siccome parlavano tutti in una volta, le fu difficile intendere che volessero.Il carnefice sosteneva che non si poteva tagliar la testa dove mancava un corpo da cui staccarla; chenon aveva mai avuto da fare con una cosa simile prima, e che non voleva cominciare a farne alla suaetà.L'argomento del Re, era il seguente: che ogni essere che ha una testa può essere decapitato, e che ilcarnefice non doveva dire sciocchezze.L'argomento della Regina era questo: che se non si fosse eseguito immediatamente il suo ordine,avrebbe ordinato l'esecuzione di quanti la circondavano. (E quest'ingiunzione aveva dato a tuttiquell'aria grave e piena d'ansietà.)Alice non seppe dir altro che questo: - Il Gatto è della Duchessa: sarebbe meglio interrogarla.- Ella è in prigione, - disse la Regina al carnefice: - Conducetela qui. - E il carnefice volò come unasaetta.Andato via il carnefice, la testa del Gatto cominciò a dileguarsi, e quando egli tornò con la Duchessanon ce n'era più traccia: il Re e il carnefice corsero qua e là per ritrovarla, mentre il resto dellabrigata si rimetteva a giocare.IXSTORIA DELLA FALSA TESTUGGINE- Non puoi immaginare la mia gioia nel rivederti, bambina mia! - disse la Duchessa infilandoaffettuosamente il braccio in quello di Alice, e camminando insieme.Alice fu lieta di vederla di buon umore, e pensò che quando l'aveva vista in cucina era stato il pepe,forse, a renderla intrattabile. «Quando sarò Duchessa, - si disse (ma senza soverchia speranza), - nonvorrò avere neppure un granello di pepe in cucina. La minestra è saporosa anche senza pepe. È ilpepe, certo, che irrita tanta gente, continuò soddisfatta d'aver scoperta una specie di nuova teoria, -l'aceto la inacidisce... la camomilla la fa amara... e i confetti e i pasticcini addolciscono il caratteredei bambini. Se tutti lo sapessero, non lesinerebbero tanto in fatto di dolci.»In quell'istante aveva quasi dimenticata la Duchessa, e sussultò quando si sentì dire all'orecchio: -Tu pensi a qualche cosa ora, cara mia, e dimentichi di parlarmi. Ora non posso dirti la morale, mame ne ricorderò fra breve.- Forse non ne ha, - Alice si arrischiò di osservare.- Zitta! zitta! bambina! - disse la Duchessa. - Ogni cosa ha la sua morale, se si sa trovarla - .E le sistrinse più da presso.Ad Alice non piaceva esserle così vicina; primo; perché la Duchessa era bruttissima; secondo,perché era così alta che poggiava il mento sulle spalle d'Alice, un mento terribilmente aguzzo! Manon volle mostrarsi scortese, e sopportò quella noia con molta buona volontà.- Il giuoco va meglio, ora, - disse per alimentare un po' la conversazione.- Eh sì, - rispose la Duchessa, - e questa è la morale: «È l'amore, è l'amore che fa girare il mondo.»- Ma qualcheduno ha detto invece, - bisbigliò Alice, - se ognuno badasse a sé, il mondo andrebbemeglio.- Bene! È lo stesso, - disse la Duchessa, conficcando il suo mento aguzzo nelle spalle d'Alice: - E lamorale è questa: «Guardate al senso; le sillabe si guarderanno da sé.»(«Come si diletta a trovare la morale in tutto!» pensò Alice.)- Scommetto che sei sorpresa, perché non ti cingo la vita col braccio, - disse la Duchessa dopoqualche istante, - ma si è perché non so di che carattere sia il tuo fenicottero. Vogliamo far la prova?- Potrebbe morderla, - rispose Alice, che non desiderava simili esperimenti.- È vero, - disse la Duchessa, - i fenicotteri e la mostarda non fanno che mordere, e la morale èquesta: «Gli uccelli della stessa razza se ne vanno insieme.»- Ma la mostarda non è un uccello, - osservò Alice.- Bene, come sempre, disse la Duchessa, - tu dici le cose con molta chiarezza!- È un minerale, credo, - disse Alice.- Già, - rispose la Duchessa, che pareva accettasse tutto quello che diceva Alice; - in questi dintornic'è una miniera di mostarda e la morale è questa: «La miniera è la maniera di gabbar la genteintera.»- Oh lo so! - esclamò Alice, che non aveva badato a queste parole; - è un vegetale, benché nonsembri.- Proprio così, - disse la Duchessa, - e la morale è questa: «Sii ciò che vuoi parere» o, se vuoi che tela dica più semplicemente: «Non credere mai d'essere diversa da quella che appari agli altri di essero d'esser stata, o che tu possa essere, e l'essere non è altro che l'essere di quell'essere ch'è l'esseredell'essere, e non diversamente.»- Credo che la intenderei meglio, - disse Alice con molto garbo, - se me la scrivesse; non possoseguir con la mente ciò che dice.- Questo è nulla rimpetto a quel che potrei dire, se ne avessi voglia, - soggiunse la Duchessa.- Non s'incomodi a dire qualche altra cosa più lunga, - disse Alice.- Non mi parlar d'incomodo! - rispose la Duchessa. - Ti faccio un regalo di ciò che ho detto finora. «Un regalo che non costa nulla, - pensò Alice; - meno male che negli onomastici e nei genetliacinon si fanno regali simili». - Ma non osò dirlo a voce alta.- Sempre pensosa? - domandò la Duchessa, dando alla spalla della bambina un altro colpo del suomento acuminato.- N'ho ben ragione! - rispose vivamente Alice, perché cominciava a sentirsi un po' seccata.E la Duchessa:- La stessa ragione che hanno i porci di volare: e la mora...A questo punto, con gran sorpresa d'Alice, la voce della Duchessa andò morendo e si spense inmezzo alla sua favorita parola: morale. Il braccio che era in quello d'Alice cominciò a tremare. Alicealzò gli occhi, e vide la Regina ritta di fronte a loro due, le braccia conserte, le ciglia aggrottate,come un uragano.- Maestà che bella giornata! - balbettò la Duchessa con voce bassa e fioca.Vi avverto a tempo, - gridò la Regina, pestando il suolo; - o voi o la vostra testa dovranno andarseneimmediatamente! Scegliete!La Duchessa scelse e in un attimo sparì.- Ritorniamo al giuoco, - disse la Regina ad Alice; ma Alice era troppo atterrita, e non risposesillaba, seguendola lentamente sul terreno.Gl'invitati intanto, profittando dell'assenza della Regina, si riposavano all'ombra: però appena lavidero ricomparire, tornarono ai loro posti; la Regina accennò soltanto che se avessero ritardato unmomento solo, avrebbero perduta la vita.Mentre giocavano, la Regina continuava a querelarsi con gli altri giocatori, gridando sempre: -Tagliategli la testa! - oppure: - Tagliatele la testa! - Coloro ch'erano condannati a morte eranoarrestati da soldati che dovevano servire d'archi al gioco, e così in meno di mezz'ora, non c'erano piùarchi, e tutti i giocatori, eccettuati il Re, la Regina e Alice, erano in arresto e condannati nel capo.Finalmente la Regina lasciò il giuoco, senza più fiato, e disse ad Alice: - Non hai veduto ancora laFalsa-testuggine?- No, - disse Alice. - Non so neppure che sia la Falsa-testuggine.- È quella con cui si fa la minestra di Falsa-testuggine, - disse la Regina.- Non ne ho mai veduto, né udito parlare, - soggiunse Alice.- Vieni dunque, - disse la Regina, ed essa ti racconterà la sua storia.Mentre andavano insieme, Alice sentì che il Re diceva a voce bassa a tutti i condannati: - Facciograzia a tutti.- Oh come sono contenta! - disse fra sé Alice, perché era afflittissima per tutte quelle condanneordinate dalla Regina. Tosto arrivarono presso un Grifone sdraiato e addormentato al sole. (Se voinon sapete che sia un Grifone, guardate la figura.) - Su, su, pigro! - disse la Regina, - conducetequesta bambina a vedere la Falsa-testuggine che le narrerà la sua storia. Io debbo tornare indietroper assistere alle esecuzioni che ho ordinate. - E andò via lasciando Alice sola col Grifone. Nonpiacque ad Alice l'aspetto della bestia, ma poi riflettendo che, dopo tutto, rimaner col Grifone erapiù sicuro che star con quella feroce Regina, rimase in attesa.Il Grifone si levò, si sfregò gli occhi, aspettò che la Regina sparisse interamente e poi si mise aghignare:- Che commedia! - disse il Grifone, parlando un po' per sé, un po' per Alice.- Quale commedia? - domandò Alice.- Quella della Regina, - soggiunse il Grifone. - È una sua mania, ma a nessuno viene tagliata la testa,mai. Vieni!- Qui tutti mi dicono: «Vieni!» - osservò Alice, seguendolo lentamente. - Non sono mai statacomandata così in tutta la mia vita!Non s'erano allontanati di molto che scorsero in distanza la Falsa-testuggine, sedutamalinconicamente sull'orlo d'una rupe. Avvicinatasi un po' più, Alice la sentì sospirare come se le sirompesse il cuore. N'ebbe compassione. - Che ha? - domandò al Grifone, e il Grifone rispose quasicon le stesse parole di prima: - È una mania che l'ha presa, ma non ha nulla. Vieni! E andarono verso la Falsa-testuggine, che li guardò con certi occhioni pieni di lagrime, ma senza farmotto.- Questa bambina, - disse il Grifone, - vorrebbe sentire la tua storia, vorrebbe.- Gliela dirò, - rispose la Falsa-testuggine, con voce profonda. - Sedete, e non dite sillaba, prima cheio termini.E sedettero e per qualche minuto nessuno parlò. Alice intanto osservo fra sé: «Come potrà mai finirese non comincia mai?» Ma aspettò pazientemente.- Una volta, - disse finalmente la Falsa-testuggine con un gran sospiro, - io ero una testuggine vera.Quelle parole furono seguite da un lungo silenzio, interrotto da qualche «Hjckrrh!» del Grifone e dacontinui e grossi singhiozzi della Falsa-testuggine. Alice stava per levarsi e dirle: - Grazie dellavostra storia interessante, - quando pensò che ci doveva essere qualche altra cosa, e sedettetranquillamente senza dir nulla.- Quando eravamo piccini, - riprese finalmente la Falsa-testuggine, un po' più tranquilla, ma sempresinghiozzando di quando in quando, - andavamo a scuola al mare. La maestra era una vecchiatestuggine... - e noi la chiamavamo tartarug...- Perché la chiamavate tartaruga se non era tale? - domandò Alice.- La chiamavamo tartaruga, perché c'insegnava, - disse la Falsa-testuggine con dispetto: Hai pocosale in zucca!- Ti dovresti vergognare di fare domande così semplici, - aggiunse il Grifone; e poi tacquero edentrambi fissarono gli occhi sulla povera Alice che avrebbe preferito sprofondare sotterra.Finalmente il Grifone disse alla Falsa-testuggine: - Va innanzi, cara mia! e non ti dilungare tanto!E così la Falsa-testuggine continuò:- Andavamo a scuola al mare, benché tu non lo creda...- Non ho mai detto questo! - interruppe Alice.- Sì che l'hai detto, - disse la Falsa-testuggine .- Zitta! - soggiunse il Grifone, prima che. Alice potesse rispondere. La Falsa-testuggine continuò:- Noi fummo educate benissimo... infatti andavamo a scuola tutti i giorni...Anch'io andavo a scuola ogni giorno, - disse Alice; - non serve inorgoglirsi per così poco.- E avevate dei corsi facoltativi? - domandò la Falsa-testuggine con ansietà.- Sì, - rispose Alice; - imparavamo il francese e la musica.- E il bucato? - disse la Falsa-testuggine.- No, il bucato, no, - disse Alice indignata.- Ah! e allora che scuola era? - disse la Falsa-testuggine, come se si sentisse sollevata. - Nellanostra, c'era nella fine del programma: Corsi facoltativi: francese, musica, e bucato.- E vivendo in fondo al mare, - disse Alice, - a che vi serviva?- Non ebbi mai il mezzo per impararlo, - soggiunse sospirando la Falsa-testuggine; - così seguiisoltanto i corsi ordinari.- Ed erano? - domandò Alice.- Annaspare e contorcersi, prima di tutto, - rispose la Falsa-testuggine. - E poi le diverse operazionidell'aritmetica... ambizione, distrazione, bruttificazione, e derisione.- Non ho mai sentito parlare della bruttificazione, - disse Alice. - Che cos'è?Il Grifone levò le due zampe in segno di sorpresa ed esclamò: - Mai sentito parlare dibruttificazione! Ma sai che significhi bellificazione, spero.- Sì, - rispose Alice, ma un po' incerta: - significa... rendere... qualche cosa... più bella.Ebbene, - continua il Grifone, - se non sai che significa bruttificazione mi par che ti manchi ilcomprendonio.Alice non si sentiva incoraggiata a fare altre domande. Così si volse alla Falsa-testuggine e disse: -Che altro dovevate imparare?- C'era il mistero, rispose la Falsa-testuggine, contando i soggetti sulle natatoie... - il mistero anticoe moderno con la marografia: poi il disdegno... il maestro di disdegno era un vecchio grongo, eveniva una volta la settimana: c'insegnava il disdegno, il passaggio, e la frittura ad occhio.- E che era? - disse Alice. - Non te la potrei mostrare, - rispose la Falsa-testuggine, - perché vedi son tutta d'un pezzo. E ilGrifone non l'ha mai imparata.- Non ebbi tempo, - rispose il Grifone: ma studiai le lingue classiche e bene. Ebbi per maestro unvecchio granchio, sapete.- Non andai mai da lui, - disse la Falsa-testuggine con un sospiro: - dicevano che insegnasse Catinoe Gretto.- Proprio così, - disse il Grifone, sospirando anche lui, ed entrambe le bestie si nascosero la facciatra le zampe.- Quante ore di lezione al giorno avevate? - disse prontamente Alice per cambiar discorso.- Dieci ore il primo giorno, - rispose la Falsa-testuggine: - nove il secondo, e così di seguito.- Che strano metodo! - esclamò Alice.- Ma è questa la ragione perché si chiamano lezioni, - osservò il Grifone: - perché c'è una lesioneogni giorno.- Era nuovo per Alice, e ci pensò su un poco, prima di fare questa osservazione: - Allora l'undecimogiorno era vacanza?- Naturalmente, - disse la Falsa-testuggine.- E che si faceva il dodicesimo? - domandò vivamente Alice.- Basta in quanto alle lezioni: dille ora qualche cosa dei giuochi, - interruppe il Grifone, in tonomolto risoluto. XIL BALLO DEI GAMBERILa Falsa-testuggine cacciò un gran sospiro e si passò il rovescio d'una natatoia sugli occhi. GuardòAlice, e cercò di parlare, ma per qualche istante ne fu impedita dai singhiozzi.- Come se avesse un osso in gola, - disse il Grifone, e si mise a scuoterla e a batterle la schiena.Finalmente la Falsa-testuggine ricuperò la voce e con le lagrime che le solcavano le gote, riprese:- Forse tu non sei vissuta a lungo sott'acqua... ( - Certo che no, - disse Alice) - e forse non sei maistata presentata a un gambero... (Alice stava per dire: - Una volta assaggiai... - ma troncò la frase edisse: - No mai): - così tu non puoi farti un'idea della bellezza d'un ballo di gamberi?- No, davvero, - rispose Alice. - Ma che è mai un ballo di gamberi?- Ecco, - disse il Grifone, - prima di tutto si forma una linea lungo la spiaggia...- Due! - gridò la Falsa-testuggine. - Foche, testuggini di mare, salmoni e simili: poi quando si sontolti dalla spiaggia i polipi...- E generalmente così facendo si perde del tempo, - interruppe il Grifone.- ...si fa un avant-deux.- Ciascuno con un gambero per cavaliere, - gridò il Grifone.- Eh già! - disse la Falsa-testuggine: - si fa un avant-deux, e poi un balancé...- Si scambiano i gamberi e si ritorna en place, - continuò il Grifone.- E poi capisci? - continuò la Falsa-testuggine, - si scaraventano i...- I gamberi! - urlo il Grifone, saltando come un matto....nel mare, più lontano che si può...- Quindi si nuota dietro di loro! - strillò il Grifone.- Si fa capitombolo in mare! - gridò la Falsa-testuggine, saltellando pazzamente qua e la.- Si scambiano di nuovo i gamberi! - Vociò il Grifone.- Si ritorna di nuovo a terra, e... e questa è la prima figura, - disse la Falsa-testuggine, abbassando dinuovo la voce. E le due bestie che poco prima saltavano come matte, si accosciaronomalinconicamente e guardarono Alice.- Vuoi vederne un saggio? - domandò la Falsa-testuggine.- Mi piacerebbe molto, - disse Alice.- Coraggio, proviamo la prima figura! disse la Falsa-testuggine al Grifone. - Possiamo farla senzagamberi. Chi canta?- Canta tu, - disse il Grifone. - Io ho dimenticate le parole.E cominciarono a ballare solennemente intorno ad Alice, pestandole i piedi di quando in quando, eagitando le zampe anteriori per battere il tempo. La Falsa-testuggine cantava adagio adagiomalinconicamente:Alla chiocciola il nasello: «Su, dicea, cammina presto;mi vien dietro un cavalluccio - che uno stinco m'ha già pesto:vedi quante mai testuggini - qui s'accalcan per ballare!»Presto vuoi, non vuoi danzare?Presto vuoi, non vuoi danzare?«Tu non sai quant'è squisita - come è dolce questa danzaquando in mar ci scaraventano - senza un'ombra di esitanza!»Ma la chiocciola rispose: - «Grazie, caro, è assai lontano,e arrivar colà non posso - camminando così piano.»Non potea, volea danzare!Non potea, volea danzare!«Ma che importa s'è lontano» - all'amica fe' il nasello«dèi saper che all'altra sponda - c'è un paese assai più bello!Più lontan della Sardegna - più vicino alla Toscana.Non temer, vi balleremo - tutti insieme la furlana.»Presto vuoi, non vuoi danzare?Presto vuoi, non vuoi danzare?- Grazie, è un bel ballo, - disse Alice, lieta che fosse finito; - e poi quel canto curioso del nasello mipiace tanto!- A proposito di naselli, - disse la Falsa-testuggine, - ne hai veduti, naturalmente?- Sì, - disse Alice, - li ho veduti spesso a tavo... - E si mangiò il resto.- Non so dove sia Tavo, - disse la Falsa-testuggine - ma se li hai veduti spesso, sai che cosa sono.- Altro! - rispose Alice meditabonda, - hanno la coda in bocca e sono mollicati.- Ma che molliche! - soggiunse la Falsa-testuggine, - le molliche sarebbero spazzate dal mare. Peròhanno la coda in bocca; e la ragione è questa...E a questo la Falsa-testuggine sbadigliò e chiuse gli occhi. - Digliela tu la ragione, - disse alGrifone.- La ragione è la seguente, - disse il Grifone. - Essi vollero andare al ballo; e poi furono buttati inmare; e poi fecero il capitombolo molto al di là, poi tennero stretta la coda fra i denti; e poi nonpoterono distaccarsela più; e questo è tutto.- Grazie, - disse Alice, - molto interessante. Non ne seppi mai tanto dei naselli.- Presto facci un racconto delle tue avventure, - disse il Grifone.- Ne potrei raccontare cominciando da stamattina, - disse timidamente Alice; - ma è inutileraccontarvi quelle di ieri, perché... ieri io ero un altra.- Come un'altra? Spiegaci, - disse la Falsa-testuggine.- No, no! prima le avventure, - esclamò il Grifone impaziente; - le spiegazioni occupano tantotempo.Così Alice cominciò a raccontare i suoi casi, dal momento dell'incontro col Coniglio bianco; matosto si cominciò a sentire un po' a disagio, chè le due bestie le si stringevano da un lato e l'altro,spalancando gli occhi e le bocche; ma la bambina poco dopo riprese coraggio. I suoi uditori simantennero tranquilli sino a che ella giunse alla ripetizione del «Sei vecchio, caro babbo», da leifatta al Bruco. Siccome le parole le venivano diverse dal vero originale, la Falsa-testuggine cacciòun gran sospiro, e disse: - È molto curioso!- È più curioso che mai! - esclamò il Grifone.- È scaturito assolutamente diverso! - soggiunse la Falsa-testuggine, meditabonda. - Vorrei che ellaci recitasse qualche cosa ora. Dille di cominciare.E guardò il Grifone, pensando ch'egli avesse qualche specie d'autorità su Alice.- Levati in piedi, - disse il Grifone, - e ripetici la canzone: «Trenta quaranta...»- Oh come queste bestie danno degli ordini, e fanno recitar le lezioni! - pensò Alice; - sarebbemeglio andare a scuola subito!A ogni modo, si levò, e cominciò a ripetere la canzone; ma la sua testolina era così piena di gamberie di balli, che non sapeva che si dicesse, e i versi le venivano male:«Son trenta e son quaranta,» - il gambero già canta,«M'ha troppo abbrustolito - mi voglio inzuccherare,In faccia a questo specchio - mi voglio spazzolare,E voglio rivoltare - e piedi e naso in su!»- Ma questo è tutto diverso da quello che recitavo da bambino, - disse il Grifone.- È la prima volta che lo sento, - osservò la Falsa-testuggine; - ed è una vera sciocchezza!Alice non rispose: se ne stava con la faccia tra le mani, sperando che le cose tornassero finalmenteal loro corso naturale.- Vorrei che me lo spiegassi, - disse la Falsa-testuggine.- Non sa spiegarlo, - disse il Grifone; - comincia la seconda strofa.- A proposito di piedi, - continuò la Falsa-testuggine, - come poteva rivoltarli, e col naso, pergiunta?- È la prima posizione nel ballo, - disse Alice; ma era tanto confusa che non vedeva l'ora di mutardiscorso.- Continua la seconda strofa, - replicò il Grifone con impazienza; - comincia: «Bianca la sera.»Alice non osò disubbidire, benché sicura che l'avrebbe recitata tutt'al rovescio, e continuò tremante:«Al nereggiar dell'alba - nel lor giardino, in fretta,tagliavano un pasticcio - l'ostrica e la civetta.»- Perché recitarci tutta questa robaccia? interruppe la Falsa-testuggine; - se non ce la spieghi? Faitanta confusione!- Sì, sarebbe meglio smettere, - disse il Grifone. E Alice fu più che lieta di terminare.- Vogliamo provare un'altra figura del ballo dei gamberi? - continuò il Grifone. - O preferirestiinvece che la Falsa-testuggine cantasse lei?- Oh, sì, se la Falsa-testuggine vorrà cantare! - rispose Alice; ma con tanta premura, che il Grifoneoffeso gridò: - Ah tutti i gusti sono gusti. Amica, cantaci la canzone della «Zuppa di testuggine.»La Falsa-testuggine sospirò profondamente, e con voce soffocata dai singhiozzi cantò così:Bella zuppa così verdein attesa dentro il tondochi ti vede e non si perdenel piacere più profondo?Zuppa cara, bella zuppa,zuppa cara, bella zuppa,bella zuppa, bella zuppa,zuppa cara,bella bella bella zuppa!Bella zuppa, chi è il meschinoche vuol pesce, caccia od altro?Sol di zuppa un cucchiainopreferir usa chi è scaltro.Solo un cucchiain di zuppa,cara zuppa, bella zuppa,cara zuppa, bella zuppa,zuppa cara,bella bella bella zuppa!- Ancora il coro! - gridò il Grifone.E la Falsa-testuggine si preparava a ripeterlo, quando si udì una voce in distanza:- Si comincia il processo!- Vieni, vieni! - gridò il Grifone, prendendo Alice per mano, e fuggiva con lei senza aspettare lafine. - Che processo? - domandò Alice; ma il Grifone le rispose: - Vieni! - e fuggiva più veloce, mentre ilvento portava più flebili le melanconiche parole:Zuppa cara,bella bella bella zuppa! XICHI HA RUBATO LE TORTE?Arrivati, videro il Re e la Regina di cuori seduti in trono, circondati da una gran folla di uccellini, dibestioline e da tutto il mazzo di carte: il Fante stava davanti, incatenato, con un soldato da un lato el'altro: accanto al Re stava il Coniglio bianco con una tromba nella destra e un rotolo di pergamenanella sinistra. Nel mezzo della corte c'era un tavolo, con un gran piatto di torte d'apparenza cosìsquisita che ad Alice venne l'acquolina in bocca.«Vorrei che si finisse presto il processo, - pensò Alice, - e che si servissero le torte!» Ma nessuno simuoveva intanto, ed ella cominciò a guardare intorno per ammazzare il tempo.Alice non aveva mai visto un tribunale, ma ne aveva letto qualche cosa nei libri, e fu lieta diriconoscere tutti quelli che vedeva.«Quello è il giudice, - disse fra sé, - perché porta quel gran parruccone. - E quello è il banco deigiurati, - osservò Alice, - e quelle dodici creature, - doveva dire «creature», perché alcune eranoquadrupedi, ed altre uccelli, - sono sicuramente i giurati.» E ripetè queste parole due o tre volte,superba della sua scienza, perché giustamente si diceva che pochissime ragazze dell'età suasapevano tanto.I dodici giurati erano affaccendati a scrivere su delle lavagne. - Che fanno? - bisbigliò Alicenell'orecchio del Grifone. - Non possono aver nulla da scrivere se il processo non è ancoracominciato.- Scrivono i loro nomi, - bisbigliò il Grifone; - temono di dimenticarseli prima della fine delprocesso.- Che stupidi! - esclamò Alice sprezzante, ma tacque subito, perché il Coniglio bianco, esclamò: -Silenzio in corte! - e il Re inforcò gli occhiali, mettendosi a guardare ansiosamente da ogni lato perscoprire i disturbatori.Alice vedeva bene, come se fosse loro addosso, che scrivevano «stupidi», sulle lavagne: osservòaltresì che uno di loro non sapeva sillabare «stupidi», e domandava al vicino come si scrivesse.«Le lavagne saranno tutte uno scarabocchio prima della fine del processo!» pensò Alice.Un giurato aveva una matita che strideva. Alice non potendo resistervi, girò intorno al tribunale, gligiunse alle spalle e gliela strappò di sorpresa. Lo fece con tanta rapidità che il povero giurato (eraGuglielmo, la lucertola) non seppe più che fosse successo della matita. Dopo aver girato qua e là perritrovarla, fu costretto a scrivere col dito tutto il resto della giornata. Ma a che pro, se il dito nonlasciava traccia sulla lavagna?- Usciere! leggete l'atto d'accusa, - disse il Re.Allora il Coniglio diè tre squilli di tromba, poi spiegò il rotolo della pergamena, e lesse così:«La Regina di cuorifece le torte in tutto un dì d'estate:Tristo, il Fante di cuoridi nascosto le torte ha trafugate!»- Ponderate il vostro verdetto! - disse il Re ai giurati.- Non ancora, non ancora ! - interruppe vivamente il Coniglio. - Vi son molte cose da fare prima!- Chiamate il primo testimone, - disse il Re; e il Coniglio bianco diè tre squilli di tromba, e chiamò:- Il primo testimone!Il testimone era il Cappellaio. S'avanzò con una tazza di tè in una mano, una fetta di pane imburratonell'altra.- Domando perdono alla maestà vostra, disse, - se vengo con le mani impedite; ma non avevoancora finito di prendere il tè quando sono stato chiamato.- Avreste dovuto finire, - rispose il Re. Quando avete cominciato a prenderlo?Il Cappellaio guardò la Lepre di Marzo che lo aveva seguito in corte, a braccetto col Ghiro. - Credoche fosse il quattordici di marzo, - disse il Cappellaio.- Il quindici, - esclamò la Lepre di Marzo.- Il sedici, - soggiunse il Ghiro.- Scrivete questo, - disse il Re ai giurati.E i giurati si misero a scrivere prontamente sulle lavagne, e poi sommarono i giorni riducendoli alire e centesimi.- Cavatevi il cappello, - disse il Re al Cappellaio.- Non è mio, - rispose il Cappellaio.- È rubato allora! - esclamò il Re volgendosi ai giurati, i quali subito annotarono il fatto.- Li tengo per venderli, - soggiunse il Cappellaio per spiegare la cosa: - Non ne ho di miei. Sonocappellaio.La Regina inforcò gli occhiali, e cominciò a fissare il Cappellaio, che diventò pallido dallospavento.- Narraci quello che sai, - disse il Re, - e non aver paura... ti farò decapitare immediatamente.Queste parole non incoraggiarono il testimone, che non si reggeva più in piedi. Guardavaangosciosamente la Regina, e nella confusione addentò la tazza invece del pane imburrato.Proprio in quel momento, Alice provò una strana sensazione, che la sorprese molto finché non se nediede ragione: cominciava a crescere di nuovo; pensò di lasciare il tribunale, ma poi riflettendocimeglio volle rimanere finché per lei ci fosse spazio.- Perché mi urti così? - disse il Ghiro che le sedeva da presso. - Mi manca il respiro.- Che ci posso fare? - disse affabilmente Alice. - Sto crescendo.- Tu non hai diritto di crescere qui, - urlò il Ghiro.- Non dire delle sciocchezze, - gridò Alice, - anche tu cresci.- Sì, ma io cresco a un passo ragionevole, soggiunse il Ghiro, - e non in quella maniera ridicola. - Ebrontolando si levò e andò a mettersi dall'altro lato.Intanto la Regina non aveva mai distolto lo sguardo dal Cappellaio e mentre il Ghiro attraversava lasala del tribunale, disse a un usciere: - Dammi la lista dei cantanti dell'ultimo concerto!A quest'ordine il Cappellaio si mise a tremare così che le scarpe gli sfuggirono dai piedi.- Narraci quello che sai, - ripetè adirato il Re, - o ti farò tagliare la testa, abbi o no paura.- Maestà: sono un povero disgraziato, - cominciò il Cappellaio con voce tremante, - e ho appenacominciato a prendere il tè... non è ancora una settimana... e in quanto al pane col burro che siassottiglia... e il tremolio del tè.- Che tremolio? - esclamò il re.Il tremolio cominciò col tè, - rispose il Cappellaio.- Sicuro che «tremolio» comincia con un T! - disse vivamente il Re. - M'hai preso per un allocco?Continua.- Sono un povero disgraziato, - continuò il Cappellaio, - e dopo il tè tremavamo tutti... solo la Lepredi Marzo disse...- Non dissi niente! - interruppe in fretta la Lepre di Marzo.- Sì che lo dicesti! - disse il Cappellaio.- Lo nego! - replicò la Lepre di Marzo.- Lo nega, - disse il Re: - ebbene, lascia andare.- Bene, a ogni modo il Ghiro disse...E il Cappellaio guardò il Ghiro per vedere se anche lui volesse dargli una smentita: ma quegli,profondamente addormentato, non negava nulla.- Dopo di ciò, - continuò il Cappellaio, - mi preparai un'altra fetta di pane col burro...- Ma che cosa disse il Ghiro? - domandò un giurato.- Non lo posso ricordare, - disse il Cappellaio.- Lo devi ricordare, - disse il Re, - se no ti farò tagliare la testa. L'infelice Cappellaio si lasciò cadere la tazza, il pane col burro e le ginocchia a terra, e implorò: -Sono un povero mortale!- Sei un povero oratore, - disse il Re.Qui un Porcellino d'India diè un applauso, che venne subito represso dagli uscieri del tribunale. (Edecco come: fu preso un sacco che si legava con due corde all'imboccatura; vi si fece entrare a testain giù il Porcellino, e gli uscieri vi si sedettero sopra.)- Sono contenta d'avervi assistito, - pensò Alice. - Ho letto tante volte nei giornali, alla fine deiprocessi: «Vi fu un tentativo di applausi, subito represso dal presidente»; ma non avevo maicompreso che cosa volesse dire.- Se è questo tutto quello che sai, - disse il Re, - puoi ritirarti.- Non posso ritirarmi, - disse il Cappellaio, - sono già sul pavimento.- Allora siediti, - disse il Re.Qui un altro Porcellino d'India diè un applauso, ma fu represso.- Addio Porcellini d'India! Non vi vedrò più! - disse Alice. - Ora si andrà innanzi meglio.- Vorrei piuttosto finire il tè, - disse il Cappellaio, guardando con ansietà la Regina, la quale leggevala lista dei cantanti.- Puoi andare, - disse il Re, e il Cappellaio lasciò frettolosamente il tribunale, senza nemmenorimettersi le scarpe.-...E tagliategli la testa, - soggiunse la Regina, volgendosi a un ufficiale; ma il Cappellaio era giàsparito prima che l'ufficiale arrivasse alla porta.- Chiamate l'altro testimone! - gridò il Re. L'altro testimone era la cuoca della Duchessa. Aveva ilvaso del pepe in mano, e Alice indovinò chi fosse anche prima di vederla, perché tutti quelli viciniall'ingresso cominciarono a starnutire.- Che cosa sai? - disse il Re.- Niente, - rispose la cuoca.Il Re guardò con ansietà il Coniglio bianco che mormorò:- Maestà, fatele delle domande.- Bene, se debbo farle, le farò, - disse il Re, e dopo aver incrociate le braccia sul petto, e spalancatigli occhi sulla cuoca, disse con voce profonda: - Di che cosa sono composte le torte?- Di pepe per la maggior parte, - rispose la cuoca.- Di melassa, - soggiunse una voce sonnolenta dietro di lei.- Afferrate quel Ghiro! - gridò la Regina. - Tagliategli il capo! Fuori quel Ghiro! Sopprimetelo!pizzicatelo! Strappategli i baffi!Durante qualche istante il tribunale fu una Babele, mentre il Ghiro veniva afferrato; e quandol'ordine fu ristabilito, la cuoca era scomparsa.- Non importa, - disse il Re con aria di sollievo. - Chiamate l'altro testimone. - E bisbigliò allaRegina: - Cara mia, l'altro testimone dovresti esaminarlo tu. A me duole il capo.Alice stava osservando il Coniglio che esaminava la lista, curiosa di vedere chi fosse mai l'altrotestimone, - perché non hanno ancora una prova, - disse fra sé. Figurarsi la sua sorpresa, quando ilConiglio bianco chiamò con voce stridula: Alice!XIILA TESTIMONIANZA DI ALICE- Presente! - rispose Alice.Dimenticando, nella confusione di quell'istante di esser cresciuta enormemente, saltò con tanta frettache rovesciò col lembo della veste il banco de' giurati, i quali capitombolarono con la testa in giùsulla folla, restando con le. gambe in aria. Questo le rammentò l'urtone dato la settimana prima a unglobo di cristallo con i pesciolini d'oro.- Oh, vi prego di scusarmi! - ella esclamò con voce angosciata e cominciò a raccoglierli con moltasollecitudine, perché invasa dall'idea dei pesciolini pensava di doverli prontamente raccogliere erimettere sul loro banco se non li voleva far morire.- Il processo, - disse il Re con voce grave, - non può andare innanzi se tutti i giurati non saranno alloro posto... dico tutti, - soggiunse con energia, guardando fisso Alice.Alice guardò il banco de' giurati, e vide che nella fretta avea rimessa la lucertola a testa in giù. Lapoverina agitava melanconicamente la coda, non potendosi muovere. Subito la raddrizzò. «Non giàperché significhi qualche cosa, - disse fra sé, - perché ne la testa né la coda gioveranno al processo.»Appena i giurati si furono rimessi dalla caduta e riebbero in consegna le lavagne e le matite, simisero a scarabocchiare con molta ansia la storia del loro ruzzolone, tranne la lucertola, che eraancora stordita e sedeva a bocca spalancata, guardando il soffitto.- Che cosa sai di quest'affare? - domandò il Re ad Alice.- Niente, - rispose Alice.- Proprio niente? - replicò il Re.- Proprio niente, - soggiunse Alice.- È molto significante, - disse il Re, volgendosi ai giurati.Essi si accingevano a scrivere sulle lavagne, quando il Coniglio bianco li interruppe:- Insignificante, intende certamente vostra Maestà, - disse con voce rispettosa, ma aggrottando leciglia e facendo una smorfia mentre parlava.- Insignificante, già, è quello che intendevo - soggiunse in fretta il Re; e poi si mise a dire a bassavoce: «significante, insignificante, significante...» - come se volesse provare quale delle due parolesonasse meglio.Alcuni dei giurati scrissero «significante», altri «insignificante.»Alice poté vedere perché era vicina, e poteva sbirciare sulle lavagne: «Ma non importa», pensò.Allora il Re, che era stato occupatissimo a scrivere nel suo taccuino, gridò: - Silenzio! - e lesse dalsuo libriccino: «Norma quarantaduesima: - Ogni persona, la cui altezza supera il miglio deve usciredal tribunale.»Tutti guardarono Alice.- Io non sono alta un miglio, - disse Alice.- Sì che lo sei, - rispose il Re.- Quasi due miglia d'altezza, - aggiunse la Regina.- Ebbene non m'importa, ma non andrò via, - disse Alice. - Inoltre quella è una norma nuova; l'aveteinventata or ora.- Che! è la più vecchia norma del libro! - rispose il Re.- Allora dovrebbe essere la prima, - disse Alice.Allora il Re diventò pallido e chiuse in fretta il libriccino.- Ponderate il vostro verdetto, - disse volgendosi ai giurati, ma con voce sommessa e tremante.- Maestà, vi sono altre testimonianze, - disse il Coniglio bianco balzando in piedi. - Giusto adessoabbiamo trovato questo foglio.- Che contiene? - domandò la Regina Non l'ho aperto ancora, disse il Coniglio bianco; - ma sembra una lettera scritta dal prigioniero a... aqualcuno.- Dev'essere così - disse il Re, - salvo che non sia stata scritta a nessuno, il che generalmente nonavviene.- A chi è indirizzata - domandò uno dei giurati.- Non ha indirizzo, - disse il Coniglio bianco, - infatti non c'è scritto nulla al di fuori. - E aprì ilfoglio mentre parlava, e soggiunse: - Dopo tutto, non è una lettera; è una filastrocca in versi.- Sono di mano del prigioniero? - domandò un giurato.- No, no, -rispose Il Coniglio bianco, questo è ancora più strano. (I giurati si guardarono confusi.)- Forse ha imitato la scrittura di qualcun altro, - disse il Re.(I giurati si schiarirono.)- Maestà, - disse il Fante, - io non li ho scritti, e nessuno potrebbe provare il contrario. E poi non c'èalcuna firma in fondo.- Il non aver firmato, - rispose il Re, non fa che aggravare il tuo delitto. Tu miravi certamente a unreato; se no, avresti lealmente firmato il foglio.Vi fu un applauso generale, e a ragione, perché quella era la prima frase di spirito detta dal Re inquel giorno.- Questo prova la sua colpa, - affermò la Regina.- Non prova niente, - disse Alice.- Ma se non sai neppure ciò che contiene il foglio!- Leggilo! - disse il re.Il Coniglio bianco si mise gli occhiali e domandò: - Maestà, di grazia, di dove debbo incominciare ?- Comincia dal principio, - disse il Re solennemente... - e continua fino alla fine, poi fermati.Or questi erano i versi che il Coniglio bianco lesse:«Mi disse che da lei te n'eri andato,ed a lui mi volesti rammentar;lei poi mi diede il mio certificatodicendomi: ma tu non sai nuotar.Egli poi disse che non ero andato(e non si può negar, chi non lo sa?)e se il negozio sarà maturato,oh dimmi allor di te che mai sarà?Una a lei diedi, ed essi due le diero,tu me ne desti tre, fors'anche più;ma tutte si rinvennero, - o mistero!ed eran tutte mie, non lo sai tu?Se lei ed io per caso in questo affaremisterioso involti ci vedrem,egli ha fiducia d'esser liberatoe con noi stare finalmente insiem.Ho questa idea che prima dell'accesso,(già tu sai che un accesso la colpì),un ostacol per lui, per noi, per essofosti tu solo in quel fatale dì.Ch'egli non sappia chi lei predilige(il segreto bisogna mantener);sia segreto per tutti, chè qui vige la impenetrabile legge del mister.»- Questo è il più importante documento di accusa, - disse il Re stropicciandosi le mani; - ora igiurati si preparino.- Se qualcuno potesse spiegarmelo, - disse Alice (la quale era talmente cresciuta in quegli ultimiminuti che non aveva più paura d'interrompere il Re) - gli darei mezza lira. Non credo che ci sia inesso neppure un atomo di buon senso.I giurati scrissero tutti sulla lavagna: «Ella non crede che vi sia in esso neppure un atomo di buonsenso».Ma nessuno cercò di spiegare il significato del foglio.- Se non c'è un significato, - disse il Re, - noi usciamo da un monte di fastidi, perché non ènecessario trovarvelo. E pure non so, - continuò aprendo il foglio sulle ginocchia e sbirciandolo, -ma mi pare di scoprirvi un significato, dopo tutto... «Disse... non sai mica nuotar.» Tu non sainuotare, non è vero? - continuò volgendosi al Fante.Il Fante scosse tristemente la testa e disse: - Vi pare che io possa nuotare? (E certamente, no, perchéera interamente di cartone).- Bene, fin qui,-, disse il Re, e continuò: - «E questo è il vero, e ognun di noi io sa.» Questo è senzadubbio per i giurati. - «Una a lei diedi, ed essi due gli diero.» - Questo spiega l'uso fatto delle torte,capisci...Ma, - disse Alice, - continua con le parole: «Ma tutte si rinvennero».- Già, esse son la, -disse il Re con un'aria di trionfo, indicando le torte sul tavolo. - Nulla di piùchiaro. Continua:«Già tu sai che un accesso la colpì»,- tu non hai mai avuto degli attacchi nervosi,cara mia, non è vero?- soggiunse volgendosi alla Regina.- Mai! - gridò furiosa la Regina, e scaraventò un calamaio sulla testa della lucertola. (Il poveroGuglielmo! aveva cessato di scrivere sulla lavagna col dito, perché s'era accorto che non nerimaneva traccia; e in quell'istante si rimise sollecitamente all'opera, usando l'inchiostro che gliscorreva sulla faccia, e l'usò finche ne ebbe.)- Dunque a te questo verso non si attacca, - disse il Re, guardando con un sorriso il tribunale. E vi fugran silenzio.È un bisticcio - soggiunse il Re con voce irata, e tutti allora risero. - Che i giurati ponderino il loroverdetto - ripetè il Re, forse per la ventesima volta quel giorno.- No, disse la Regina. - Prima la sentenza, poi il verdetto.- È una stupidità - esclamò Alice. - Che idea d'aver prima la sentenza!- Taci! - gridò la Regina, tutta di porpora in viso.- Ma che tacere! - disse Alice.- Tagliatele la testa! urlò la Regina con quanta voce aveva. Ma nessuno si mosse.- Chi si cura di te? - disse Alice, (allora era cresciuta fino alla sua statura naturale.); - Tu non sei chela Regina d'un mazzo di carte.A queste parole tutto il mazzo si sollevò in aria vorticosamente e poi si rovesciò sulla fanciulla: essadiede uno strillo di paura e d'ira, e cercò di respingerlo da sé, ma si trovò sul poggio, col capo sulleginocchia di sua sorella, la quale le toglieva con molta delicatezza alcune foglie secche che le eranocadute sul viso.- Risvegliati, Alice cara,- le disse la sorella, - da quanto tempo dormi, cara!- Oh! ho avuto un sogno così curioso! - disse Alice, e raccontò alla sorella come meglio poté, tuttele strane avventure che avete lette; e quando finì, la sorella la baciò e le disse:- È stato davvero un sogno curioso, cara ma ora, va subito a prendere il tè; è già tardi. - E così Alicesi levò; e andò via, pensando, mentre correva, al suo sogno meraviglioso.Sua sorella rimase colà con la testa sulla palma, tutta intenta a guardare il sole al tramonto,pensando alla piccola Alice, e alle sue avventure meravigliose finché anche lei si mise a sognare, efece un sogno simile a questo:Prima di tutto sognò la piccola, Alice, con le sue manine delicate congiunte sulle ginocchia di lei ecoi grandi occhioni lucenti fissi in lei. Le sembrava di sentire il vero suono della sua voce, e divedere quella caratteristica mossa della sua testolina quando rigettava indietro i capelli che volevanovelarle gli occhi. Mentre ella era tutta intenta ad ascoltare, o sembrava che ascoltasse, tutto il. luogod'intorno si popolò delle strane creature del sogno di sua sorella.L'erba rigogliosa stormiva ai suoi piedi, mentre il Coniglio passava trotterellando e il Topoimpaurito s'apriva a nuoto una via attraverso lo stagno vicino. Ella poteva sentire il rumore delletazze mentre la Lepre di Marzo e gli amici suoi partecipavano al pasto perpetuo; udiva la stridulavoce della Regina che mandava i suoi invitati a morte. Ancora una volta il bimbo Porcellinostarnutiva sulle ginocchia della Duchessa, mentre i tondi e i piatti volavano e s'infrangevanod'intorno e l'urlo del Grifone, lo stridore della matita della Lucertola sulla lavagna, la repressione deiPorcellini d'India riempivano l'aria misti ai singhiozzi lontani della Falsa-testuggine. Si sedette, congli occhi a metà velati e quasi si credè davvero nel Paese delle Meraviglie; benché sapesse cheaprendo gli occhi tutto si sarebbe mutato nella triste realtà. Avrebbe sentito l'erba stormire al soffiardel vento, avrebbe veduto lo stagno incresparsi all'ondeggiare delle canne. L'acciottolio, delle tazzesi sarebbe mutato nel tintinnio della campana delle pecore, e la stridula voce della Regina nella vocedel pastorello, e gli starnuti del bimbo, l'urlo del Grifone e tutti gli altri curiosi rumori si sarebberomutati (lei lo sapeva) nel rumore confuso d'una fattoria, e il muggito lontano degli armenti avrebbesostituito i profondi singhiozzi della Falsa-testuggine.Finalmente essa immaginò come sarebbe stata la sorellina già cresciuta e diventata donna: Aliceavrebbe conservato nei suoi anni maturi il cuore affettuoso e semplice dell'infanzia e avrebberaccolto intorno a sé altre fanciulle e avrebbe fatto loro risplendere gli occhi, beandole con moltestrane storielle e forse ancora col suo sogno di un tempo: le sue avventure nel Paese delleMeraviglie. Con quanta tenerezza avrebbe ella stessa partecipato alle loro innocenti afflizioni, e conquanta gioia alle loro gioie, riandando i beati giorni della infanzia e le felici giornate estive!FINE