Chapter 3 - Drowning in my mind.

362 27 8
                                    

Chapter 3. 




Luglio 1997.





Mi piaceva la mia auto.
Era una Mercedes di colore metallizzato che avevo acquistato il giorno del mio venticinquesimo compleanno ed ero ad essa molto affezionata.
Mi aveva accompagnata in molti paesi degli Stati Uniti, era stata mia amica fidata e compagna di viaggio e non l'avrei sostituita neanche se me ne avessero regalata un'altra migliore.
Le automobili erano come le persone, ma non tutti si comportavano con esse con dovuta accortezza e le abbandonavano non appena compariva sul mercato un nuovo modello più confortevole.
Quella sera sembrava essere proprio essa il mezzo che mi conduceva morbosamente verso le strade della East Hollywood, dove insegne luminose e vetrine ornate in modo eccessivo erano all'ordine del giorno.
La mia mente viaggiava altrove, era decisamente in tensione, mossa da una semplice preoccupazione che sembrava volesse infastidirla per qualche tempo e non darle tregua.
"Non credo di riuscire a tenere una serata del genere." – Dissi, seccata, sporgendo il mio polso verso l'apertura del finestrino.
Il sedile accanto al posto del guidatore era occupato da Janet, visibilmente eccitata a causa del party che si era premurata di organizzare in ogni minimo dettaglio per festeggiare l'uscita del suo ultimo progetto musicale.
"Lisa, è mio fratello e tu sei una delle mie migliori amiche. Non avrei mai potuto non invitare uno dei due, sarebbe stato scorretto." – Rispose, approfittando dello specchietto retrovisore per sistemarsi il trucco e i capelli.
L'idea di incontrare gente non mi entusiasmava e la presenza del mio ex marito non mi recava troppo disturbo, ma sapere che lo avrei rivisto dopo quei mesi trascorsi ognuno a casa propria non era per me un'iniezione di positività.
Stavo provando con insistenza a crearmi una nuova vita senza sentire il suo controllo su ogni cosa che facevo, avevo tentato di resettare tutto e di iniziare nuovamente, ma mi sentivo come se avessi agito male.
Mi sentivo come se fossi uscita fuori strada con ogni mia singola convinzione.
"Mi avevi detto che non sarebbe venuto." – Sussurrai.
"I suoi programmi sono cambiati nel corso degli ultimi giorni e sai quanto Michael tenga a me." – Iniziò.
"Quando ha saputo della tua presenza non ha reagito come te, è rimasto tranquillo ed ha sorriso." – Riprese.
"E' normale. Lui è riuscito a crearsi una nuova famiglia, è felice. Mi ha dimenticata in fretta." – Dissi, intervenendo frettolosamente e frenando la discussione sul nascere.
Non avevo idea di quale fossero i miei problemi, erano molteplici e tentare di spiegarli sarebbe stata una battaglia persa ancora prima di iniziarla.
Avevo amato Michael a differenza di quanto scritto sulle riviste del mondo intero, lo avevo amato moltissimo, anche più di quanto avessi amato Danny nella mia giovane età, ma adesso non sapevo più trovare un'identità a quell'amore.
Una parte di me, quella razionale, desiderava a tutti i costi decifrare quel sentimento che partiva dalla prima fibra del mio corpo e terminava con l'ultima, mentre all'altra non gliene importava.
Ero cosciente del fatto che il mio ex marito mi interessasse ancora parecchio, dal momento in cui era il protagonista dei miei desideri più intimi e nascosti, ma dall'altro lato non potevo pretendere che tornasse da me.
Un amore non scompariva nel giro di qualche mese, ma era come una malattia, un'ossessione che non cessava a terminare e procurava dolore.
"Ascoltami. So che non ti piace parlarne, ma devo farlo, perché voglio bene a te, così come ne voglio a mio fratello. Michael vuole parlare con te." – Disse Janet, facendomi cenno di fermare l'auto.
Feci secondo la sua decisione ed accostai nel parcheggio di un lussuosissimo hotel, il quale sembrava già adornato e costeggiato da numerosi fotografi intenti ad immortalare le star presenti alla festa.
Qualcuno era in trepidazione per la mia partecipazione e sperava in ogni modo di ottenere delle foto in compagnia del mio ex marito, stampando i nostri volti in copertina.
"Io non ho niente da dirgli."
"Tu no, ma lui si. Sei l'unica persona della quale si fida, fallo per me." – Mi supplicò, guardandomi con gli occhi lucidi, sperando che accettassi.
Annuii con un gesto del capo e scesi dall'auto, accompagnata da lei ed Alex al mio fianco, mentre ci facevamo strada tra gli impavidi giornalisti che aspiravano ad una nostra intervista.
Le loro urla sembravano non toccarmi, non prestai loro eccessiva importanza e seguii Janet, mano nella mano, sfoggiando uno dei miei più illusori sorrisi.
Regalai dei timidi saluti a chiunque me li chiedesse, scambiai brevi parole ed espressioni colloquiali con i presenti e poi, al termine dei convenevoli, mi sedetti al mio tavolo per la cena.
Salutai anche la famiglia Jackson senza tralasciare nessuno, rivedere Katherine mi fece molto piacere e mi portò un leggero buonumore quando mi regalò uno dei suoi soliti calorosi abbracci.
Mi disse che era felice di vedermi e mi augurò di trovare la serenità e la felicità della quale avevo bisogno, senza accennare minimamente al divorzio tra me e Michael.
Era una donna straordinaria, ricca di buonsenso e di una delicatezza che metteva ogni persona a proprio agio.
Fu proprio dopo aver incontrato la mia ex suocera che fece il suo ingresso in sala Michael, vestito in modo impeccabile con un completo nero, una camicia bianca al di sotto ed un paio di stivali di camoscio a punta.
Aveva legato i capelli e malgrado la mia distanza riuscii a notarli diversi, erano meno ricci del solito ed alcune ciocche scure gli cadevano lungo i contorni del volto.
Si mosse distintamente tra i tavoli, cosparse la folla con i suoi timidi sorrisi e dopo aver abbracciato ogni componente della famiglia prese posto su uno sfarzoso divano.
Accavallò le gambe, rispose al cellulare e trascorse qualche minuto in compagnia di Karen, la sua truccatrice che lo aveva accompagnato.
Avevo più volte immaginato il momento in cui lo avrei rivisto, perché ero certa che ci sarebbe stato e avevo permesso alla mia fantasia di disegnare qualche situazione per prepararmi a ciò che avrei subito.
Andò tutto decisamente oltre le mie aspettative.
Appena mi resi conto che fosse proprio lì, a pochi metri da me, avvertii una forza che mi impediva di distogliere lo sguardo da lui e mi bloccò ogni tentativo di reazione.
Mi accorsi che i suoi occhi incrociarono i miei per una frazione di secondo, seguirono la mia direzione e mutarono di espressione.
Si rese conto di avermi vicino ed ero sicura che mi avesse guardata, lo facemmo entrambi per un periodo di tempo tanto breve quanto lancinante, come una fitta che si arrestò al centro del nostro petto.
Non sapevo come decifrare la sua occhiata, fu un attimo in cui mi voltai casualmente nella sua direzione per perdermi tra la folla e invece mi andai a scontrare addosso a quell'uomo.
In quegli attimi l'indifferenza non mi accarezzò affatto la mente, dimenticai la medesima accumulata con il tempo che credevo fosse stato mio amico e mi persi.
Mi persi non in qualcuno, piuttosto in qualcosa, quel qualcosa rimasto intrappolato nell'ingegno del suo corpo, tra la fisicità e la trascendenza.
Gli appartenevo ancora, riuscivo a sentire la mia mente e il mio pensiero rivolti ad egli, così come lo era ogni filamento materiale che faceva parte di me.
Mi sentii devota a lui nel significato più mistico che potesse esistere, atterrò su di me una percezione esoterica modellata da colui che pareva assaporare la mia presenza.
Scoppiai in lacrime ancor prima che potessi accorgermene, come un'azione immediata, strappata dal mio controllo e trascinata lì dove si accentuava la mia mancanza di reazione.
"Se ti dicessi che hai degli occhi incantevoli, me li lasceresti ammirare per tutta la serata?" – Enunciò una voce profonda alle mie spalle, richiedendo la mia attenzione.
Mi voltai distrattamente, chinai il capo verso un lato e mostrai chiaramente un'espressione interrogativa nei confronti di un uomo mai visto prima di allora.
Si lasciò sfuggire una leggera risata, si morse il labbro con disinvoltura e poi si aggiustò il colletto della camicia.
"John Oszajca, estasiato." – Disse, stringendo debolmente la mia mano, tenendola per il dorso e stampando un breve bacio su di essa.
"Posso sedermi?" – Riprese, indicando il posto al mio fianco.
"Si, certo."
Mi aggiustai sulla poltrona e lanciai un'altra sbirciata in direzione di Michael, non curandomi dell'uomo che si era appena presentato e sembrava volesse intavolare una conversazione con me.
Il tempo trascorse molto lentamente, forse perché lo passai con la costante sensazione di avere delle occhiate scrutatrici su di me, mentre mi adulavano con illusori sguardi.
John mi parlò costantemente e nel frattempo pose ogni sua attenzione verso la mia persona, mi raccontò la sua passione per la musica e ci ritrovammo entrambi a discuterne i valori su un divanetto, bevendo un distinto vino rosso.
Le persone ci giravano intorno, alcune di esse si avvicinavano a me per barattare voci comuni e sfuggiti sorrisi, poi si voltavano di spalle e proseguivano per la loro strada.
Il pubblico sembrava apprezzare l'album di Janet, la festa andava a gonfie vele e nessuno si lamentava della grande dose di divertimento che iniziava a diffondersi soprattutto nelle ore notturne.
Io rimasi in disparte, guidata soltanto da un paio di sguardi fuggiaschi di Alex e dai discorsi magnetici di John che volevano attrarmi, inducendomi ad una caduta verso un abbandono da lui creato.
Era visibilmente interessato ad un rapporto con me, i suoi occhi erano decisi a lucidarsi nei miei, proprio come lo erano quelli di Michael, il quale era rimasto isolato, seduto su una poltrona.
Osservava la scena mantenendo inalterata la sua espressione del viso, era distaccato e disinteressato, con i lineamenti freddi ed apatici come non li avevo mai notati.
Avevo imparato nel corso degli anni che era proprio quando un uomo mostrava la sua indifferenza che desiderava a tutti i costi mostrare l'esatto contrario, ovvero un'attrazione ben mascherata al di sotto del suo travestimento.
"Il tuo ex marito non ha smesso un attimo di guardarti." – Disse John, avvicinando le sue labbra al mio orecchio, in modo che ascoltassi soltanto io le sue parole.
Mi scansai di qualche centimetro dalla sua presenza quasi soffocante e l'idea che anche egli si fosse accorto di una cosa simile mi provocò disagio.
"Come fai ad essere sicuro che stia guardando proprio me?"
"Tutti sono andati a ballare, siamo gli unici in questa sala, a parte lui." – Mormorò, assaggiando del vino.
Rimasi in silenzio, colpita dalla sua affermazione che pareva non fare una piega.
"Mi offri una sigaretta?" - Domandai, disinvolta.
"Certo, ma prima rispondi alla mia domanda. Cosa spinge la figlia di Elvis Presley a chiedere una sigaretta ad un comune musicista come me?"
Scoppiai in una fragorosa risata che non riuscii a trattenere e che, nel giro di qualche istante, iniziò a decorare le pareti di quella stanza come se fosse stata una melodia di sottofondo.
L'abuso di alcol era il principale responsabile della mia esorbitante euforia e della mia difficoltà nel trovare delle parole adatte ad esprimermi.
Ci pensai su una manciata di istanti, mi passai una mano sul viso e mi spinsi la schiena contro lo schienale comodo del divano.
"Il vino, perché non riesco a ricordare dove io abbia messo le mie." – Dissi, coprendomi il volto con entrambe le mani, subito dopo.
Faceva caldo lì dentro, fin troppo.
John mi sorrise, sfilò dalla tasca della sua giacca un pacchetto di Philip Morris e me lo porse, rialzando l'estremità posta all'apertura.
"Andiamo fuori?" – Domandò, indicando con il pollice l'uscita.
"No, rimaniamo qui, si sta così bene."
Mi portai il filtro della sigaretta alla bocca e lo strinsi tra le labbra, un braccio di egli attraversò silenziosamente la mia schiena per cingermi la vita e mi irrigidii.
Il suo tocco non lo conoscevo e mi causava un fastidio che non riuscivo a controllare, era un qualcosa che andava oltre il mio controllo fisico e psicologico.
Avevo un'estrema difficoltà nel farmi anche soltanto sfiorare da altre persone e malgrado Alex avesse tentato nel corso dei mesi di risolvere quella situazione, entrambe non avevamo ancora trovato una risposta ai nostri quesiti.
Mi mostrò il suo accendino, un Ronson anni '70 color argento e mi invitò a consumare la colonna di tabacco mediante il suo aiuto.
Ebbi la precedenza, come il manuale della galanteria prevedeva ed aspirai a fondo, permettendo ad un fitto turbine di fumo di coprire la mia figura.
"Ronson." – Notai.
"Un regalo di elevato valore affettivo." – Sussurrò, richiudendolo e posandolo nella tasca dei suoi pantaloni.
Il secondo tiro ebbe come protagonista Michael e non per puro caso; lo guardai ed ero sicura che anche egli avesse fatto lo stesso, ormai i suoi occhi non ammiravano altro e mi portai di nuovo la sigaretta alle labbra e gettai il fumo nella sua direzione.
Con indifferenza, ovviamente.
Non era un uomo che meritava le mie considerazioni.



Cocaine. (Heroine's sequel)Where stories live. Discover now