Chapter eleven

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Inutile dire che dopo quella piacevole conversazione con Harry ho girato sui tacchi e sono corsa a casa, ancora troppo scossa per riflettere per bene sulle sue parole. Una volta arrivata, con ancora la testa tra le nuvole, non mi accorgo che mio padre sta uscendo dalla cucina e ci scontriamo.

«Stiamo preparando del pesce» mi avvisa con tono forzatamente allegro, sapendo che non ho voglia di parlare del funerale e tentando di indirizzare la conversazione verso un terreno neutro; ma il solo pensiero di mangiare qualcosa mi fa star male.

«Non ho fame» gli dico infatti, e corro su per le scale con passo pesante.

«Devi mangiare qualcosa, Sam, è da ieri che non tocchi cibo!» mi urla preoccupato dal piano inferiore. Ha ragione; l'ultima cosa che ho mangiato sono state le patatine al formaggio a casa di Jane, poi più niente. Il mio stomaco non tollera nulla.

Mi volto a guardarlo, accennando un sorrisino. «Mangerò qualcosa dopo, te lo prometto. Adesso non ce la faccio.» Una volta chiusa in camera, lascio uscire un sospiro profondo.

Senza stare troppo tempo a rifletterci prendo il telefono che avevo lanciato sul comodino, componendo il numero di Kim: devo incontrare lei e Matt. Non ce la faccio più a tenermi dentro questo segreto, sto per scoppiare. Un demone psicopatico vuole ammazzarmi lentamente e dolorosamente e ho bisogno di parlarne con i miei migliori amici, punto.

Mi mordicchio nervosamente le unghie, e quando il telefono inizia a squillare, presa dal panico, attacco. Ma a che cavolo sto pensando? Non posso dirglielo. Se Harry ha ucciso Jane per colpa di quella bocca larga di Kim, non oso pensare cosa farebbe a loro se io parlassi. Non posso rischiare, il solo pensiero di perdere anche loro mi fa risalire la bile in gola; devo stare zitta.

Mi butto pesantemente sul letto, nascondendo la faccia nel cuscino, e in preda all'isteria lancio un urlo; avevo bisogno di farlo da un po'. Poi mi giro a pancia in su, guardando il soffitto bianco, e lascio andare l'ennesimo sospiro. Non posso e non voglio essere il maledetto sacrificio umano di Harry; devo pensare a qualcosa, qualunque cosa, ma io non morirò in un maledetto rituale per far tornare in vita uno psicopatico. Diavolo, no. Mi rifiuto.

Passano alcuni minuti, ma restare chiusa qui nella mia stanza mi sta facendo impazzire: ho bisogno di aria fresca. Prendo a caso un jeans e una felpa dall'armadio e vado in bagno, decisa a farmi una doccia veloce e cambiarmi. Non sopporto più questo triste vestito addosso; e poi è lo stesso che misi al funerale di Sophie.

Probabilmente lo brucerò.

«Dove stai andando?» Sussulto, imprecando sottovoce. Harry è stravaccato sul mio letto come se ne fosse il proprietario, e mi segue con lo sguardo mentre appallottolo il vestito e lo lancio in un angolo della stanza.

«Fuori» sbotto.

«Ti vedo un po' sconvolta.» Ridacchia, divertito; io mi giro per lanciargli un'occhiataccia.

«Beh, sai com'è, mi hanno appena detto che verrò uccisa per permettere a un fottuto mostro di tornare dal regno dei morti, quindi sì, sono un po' sconvolta» ironizzo, alzando le braccia al cielo e facendole ricadere inerti lungo i fianchi.

Lui ride. «Non esserlo, avrai tutto il tempo per preoccuparti. Manca ancora un po'.»

«Questo sì che mi consola, davvero» continuo, pungente.

Harry si alza, mettendo le mani nelle tasche. «Andiamo, ti porto in un posto.»

«Cosa?» Non sono sicura di aver sentito bene.

«Mi hai sentito. Andiamo.» Fa un cenno verso la porta.

«Diavolo, no. Non vado da nessuna parte con te.» Scuoto la testa, amara.

Lui si avvicina con passo lento, e quando le sue punte dei piedi sfiorano le mie e tra i nostri corpi ci sono solo pochi centimetri a separarci, abbassa la testa per portare gli occhi all'altezza dei miei. «E invece tu verrai con me.» Il suo respiro freddo colpisce le mie labbra, e le serro.

«Non farmi del male» sussurro, immobilizzata sul posto dal suo sguardo.

Mi sorride. «Non mettermi nelle condizioni di farlo, allora. Ci vediamo fuori.» Poi scompare.

Deglutisco, chiudendo gli occhi che iniziano a pizzicare fastidiosamente. Prendo un respiro profondo e scendo le scale. «Io esco!» dico ai miei facendo capolino in cucina.

Loro stanno mangiando, ma alle mie parole mia madre si alza di scatto, fissandomi inquieta. «Dove vai?» mi chiede.

«Mi vedo con Kim, mangiamo qualcosa insieme» invento, sperando così di far contento mio padre; loro si scambiano uno sguardo, poi lei annuisce.

Quando esco di casa vedo Harry che mi sta aspettando fuori al giardino, e appena lo raggiungo mi prende inaspettatamente per mano, intrecciando le mie dita con le sue. Dire che sono sconvolta è l'eufemismo del secolo.

«È davvero necessario?» sbotto, non avendo però il coraggio di levare la mia mano dalla sua. Sul perché, però, cerco di non concentrarmi troppo.

«Cosa?» O è davvero stupido, o finge di esserlo. Opterei per la prima.

«Le mani» puntualizzo.

«Beh, mi stavo solo chiedendo–»

Lo interrompo. «Per favore, non di nuovo la stronzata del "volevo sentire cosa si provava".» Alzo gli occhi al cielo.

Lui scoppia a ridere, ride così allegramente che mi fa quasi dimenticare di tenere il diavolo per mano. Quasi. «Beh, allora dovrei stare zitto.»

«Finalmente una buona idea» borbotto; lui sorride, continuando a camminare, e sono segretamente sollevata che la prenda sul ridere e non cerchi di strapparmi le corde vocali per farmi stare zitta, invece.

La passeggiata non è per niente strana, non come avevo pensato potesse essere passeggiare mano nella mano con un demone. Anzi, sembra quasi piacevole.

Normale.

Di nuovo, evito di starci troppo a pensare su, e mi lascio semplicemente guidare da lui; dopo poco mi risulta chiaro che mi sta portando nella periferia di Riverside Hill. Posso dirlo perché il terreno inizia a farsi più sconnesso e in pendenza, e le case abitate lasciano il posto a un paesaggio più scarno, più incolto. Il fiato inizia ormai a mancarmi quando saliamo su una piccola collina, ma per fortuna ci fermiamo prima che il cuore mi scoppi e che io stramazzi al suolo.

Arriviamo finalmente sulla cima del pianoro, e silenziosamente cammino verso il bordo, lasciandomi Harry alle spalle; non siamo molto in alto, ma lo siamo abbastanza da riuscire a vedere la cittadella che si estende sotto di noi. Il sole sta iniziando a tramontare e per strada i lampioni sono già accesi, accompagnati dalle luci nelle case, facendo sembrare la città una distesa di puntini luminosi. È uno spettacolo davvero mozzafiato.

«Sono colpita» asserisco con il fiato ancora mozzo, non so se per la salita o per il panorama; poi mi volto a guardarlo.

Lo sguardo di Harry non è rivolto alla veduta alla mie spalle, ma è interamente concentrato su di me. «Da cosa?» mi chiede, avvicinandosi. Stavolta non mi ritraggo.

«Da te, veramente.» Lui alza un sopracciglio ma non dice niente, invitandomi a continuare. «Non pensavo potessi apprezzare la bellezza di questo posto» mormoro, tornando a guardarmi intorno. La piacevole sensazione di staticità viene interrotta dalla sua risata, ma questa volta mi fa rabbrividire.

«Bellezza? Beh, forse questo posto ha una sua bellezza. Ma indovina un po'? Sarà il posto dove tu morirai.»

Ouija [h.s. au]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora