Capitolo 1 - Flashback

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"Non crederai mica che te la passerai liscia nuovamente, vero?"
"Thomas, giuro su Dio che questa è l'ultima volta che mi succede, ora slegami per favore."
"No, abbiamo già rischiato troppo a lungo. Non sei affidabile e non mi resta che ucciderti."
"Thomas, ti prego, non puoi dire sul serio, forza metti via quella pistola e slegami."
"Ti avevo avvertito, non posso mettere i ragazzi in pericolo un'altra volta. Ti sono state date fin troppe possibilità " e cosi dicendo caricò la sua calibro trentacinque.
"Thomas, siamo cresciuti insieme, sai che sei come un fratello per me, metti giù quella cazzo di pistola e ascoltami. Non puoi farmi questo, dopo tutto quello che abbiamo condiviso, dopo tutte le volte che ti sono rimasta a fianco, anche quando per me sarebbe stato meglio andarmene. Non puoi trattarmi come chiunque altro, io sono diversa... Thomas che cazzo fai. Thomas non puntarmela in testa... Merda Thomas piantala di fare il coglione, non lo farò mai più giuro, ora posa quell'arma... Thomas cazzo!". Urlava Alaska, urlava disperatamente e chiedeva pietà a quel ragazzo per il quale fino a pochi minuti prima sarebbe stata disposta a dare la vita, agitandosi sulla sedia e guardandosi intorno alla ricerca di una via di fuga.
Aveva a lungo sperato di morire, perché era talmente debole da non riuscire ad uccidersi da sola, ma ora aveva paura perché da poco aveva assaporato la vita vera e non voleva perderla.
La ragazza chiuse gli occhi mentre sentiva la fredda canna in metallo dell'arma appoggiarsi alla sua tempia, il sangue che colava dal taglio sulla fronte a causa del colpo col manico della pistola inflittogli per poterla legare a quella seggiola.
I polsi le dolevano a causa della stretta che la corda esercitava, tutti i suoi muscoli erano in tensione, eppure non riusciva a pensare ad altro che non fosse quanto amasse il ragazzo che ora le stava per uccidere.
"Mi dispiace Alaska." disse il giovane, e dicendo ciò premette sul grilletto e un colpo risuonò nell'aria.

Alaska si svegliò di soprassalto, la fronte imperlata di sudore, il cuore che batteva a mille e le lacrime che scorrevano velocemente sulle sue guance.
"Non piangere, i-idiota" sussurrò a se stessa mentre osservava il tremore delle sue mani.
Le succedeva quasi ogni notte, di sognare quella scena.
Si voltò verso la sveglia: le 05:55.
Si alzò lentamente e si avviò verso il bagno.
"Una bella doccia fresca non può che farmi bene, tanto oramai non sarei più riuscita a dormire".
Mentre l'acqua le batteva sul viso le immagini di quel giorno le riaffiorarono alla mente e, per quanto cercasse di ricacciarle indietro, non poté che rivivere tutto un'ennesima volta.

"Mi dispiace Alaska." disse il giovane, e dicendo ciò premette sul grilletto e un colpo risuonò nell'aria.
Alaska rimase ferma immobile, gli occhi serrati, chiedendosi quanto ci avrebbe impiegato a morire.
Dubbiosa, provò ad alzare lo sguardo e davanti a se vide Thomas, gli occhi e la bocca spalancati, mentre una macchia di sangue si espandeva sulla sua maglietta bianca . Il ragazzo abbassò lo sguardo al suo petto e lo rialzò lentamente per incrociare quello di Alaska , per poi cadere a terra, morto, con un tonfo sonoro.
La ragazza non riusciva ad alzare gli occhi dal cadavere.
Cos'era successo? Com'era possibile?
Quando si riscosse e riuscì a guardarsi intorno vide, proprio al suo fianco, un ragazzo dai lunghi capelli corvini e gli occhi azzurri, tenere con mano tremolante una pistola, ancora puntata di fronte a se.

Phil.
Il ragazzo dagli occhi di ghiaccio che aveva conosciuto casualmente in uno dei suoi giri di ricognizione nel quartiere.
Ecco chi l'aveva salvata, l'ennesima volta, da morte certa.
Lo stesso ragazzo con cui ora condivideva un piccolo appartamento in uno dei condomini più isolati del ghetto di Londra.
Phil non l'aveva solamente aiutata ad uscire da quella spirale di dipendenze in cui era finita dopo aver iniziato a spacciare, ma la aveva anche salvata da tutti quei segreti oppressi e pensieri suicidi che si portava dentro da anni.
Aveva riacceso la speranza nel cuore della ragazza e aveva riportato la luce in quella vita triste e buia che da sola si era costruita.
Alaska non avrebbe mai pensato un giorno di potersi sentire di nuovo viva. Invece quando aveva iniziato ad uscire più spesso con Phil aveva compreso che ci sarebbe riuscita.
Ancora ora era nitido nella sua mente il ricordo della prima vera risata.

"Non ci credo."
"Invece devi credermi, caro, io sono una Francesina DOC." disse ammiccando all'amico.
"E allora che ci fai qui?"
"Ci siamo dovuti trasferire dopo delle discussioni in famiglia... Sai, hanno idee piuttosto all'antica e sono molto patriottici. Ho rischiato più volte di farmi ammazzare da mio nonno ad una delle cene organizzate da mia zia con la speranza di riunire la famiglia. Una volta gli dissi che era un vecchio marmittone e che quando gli americani avrebbero totalmente dimostrato la loro supremazia su tutti gli altri Stati avrebbe passato il resto della sua futile vita a piangere in un angolo stringendosi al petto le sue medaglie al valore di una guerra che se non fosse stata per gli americani stessi avrebbe perso sicuramente. Mezzo secondo dopo mi scaraventò un'insalatiera in testa e mi inseguì per tutto il soggiorno puntandomi contro una baguette mezza masticata."
Il ragazzo scoppiò a ridere, buttando la testa all'indietro mentre con le braccia si stringeva la pancia.
Alaska osservò attentamente formarsi delle piccole rughe all'angolo dei suoi occhi cristallini , ora lucidi e socchiusi a causa delle risate e come si morsicasse la punta della lingua, continuando comunque a ridere a crepapelle. Riempì le sue orecchie della sua risata e la assaporò per una manciata di secondi. Brillante, acuta e contagiosa. Talmente contagiosa che pochi attimi dopo la ragazza si trovò distesa sull'erba a fianco dell'amico, una risata forte e sincera che riecheggiava nell'aria primaverile del parco le usciva dai polmoni, dagli occhi, dal cuore.
Ecco cosa si provava ad essere vivi.

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