Capitolo 2 - Domande e Promesse

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Alaska uscì dal bagno scrollandosi i capelli con un asciugamano.
Tornata in camera, indossò uno dei suoi maglioni preferiti e scese in cucina.
Passando davanti alla camera dell'amico non sentì alcun rumore, perciò pensò che stesse ancora dormendo, dato il fatto che comunque erano a malapena le sette di mattina.
Entrando in cucina però tutte le sue idee furono smentite: Phil era proprio davanti a lei, le mani impiastricciate, i vestiti sporchi di farina, i capelli tirati all'indietro con una fascietta.
"Cosa stai facendo?" esordì Alaska.
"Merda!" esclamò lui, saltando all'indietro e sbattendo contro l'anta del mobile aperta alle sue spalle.
La ragazza rise mentre l'amico arrossì violentemente, voltandosi a controllare una padella messa sul fuoco dalla quale partiva un leggere sfrigolio.
"Oddio, Phil, sei unico...E con quella fascietta in testa sembri ancora più gay di quello che già sei! Puoi dirmi cosa stai combinando, comunque? Sembra sia esplosa una bomba di farina in questa cucina!" disse Alaska, una volta ripresasi dalle risate.
Effettivamente, l'intera mobilia della stanza era ricoperta da un leggero strato di polvere bianca, mentre nel bancone centrale erano disposte un paio di ciotole piene di un qualche impasto indefinito, che per la maggior parte però si trovava disperso sul pavimento.
"Ti ho sentito urlare nel sonno... Pensavo fosse una buona idea prepararti una bella colazione, così mentre ti facevi la doccia ho provato a fare dei pancakes... Penso comunque che qualcosa sia andato storto."
"Effettivamente provare è il verbo più adatto... Quello... Quello sarebbe uno dei pancakes?" disse la ragazza indicando un cerchio di impasto mezzo bruciato posato su un piatto dall'altra parte della cucina.
"Beh, sì..." disse Phil, poggiando la spatola che teneva in mano sul tavolo e incrociando le braccia al petto "lo so che sono un disastro, però ci tenevo a prepararti una buona colazione e .."
"Hei, Hei, amico, non c'è problema! Hai avuto un'ottima idea e per di più sto morendo di fame, quindi che ne dici se ora io finisco di cucinare e tu inizi a sistemare e a pulire un pochino?"
Dopo circa mezz'ora si sedettero a tavola, in silenzio.
"Sono deliziosi..." disse il ragazzo dopo un paio di minuti.
"Ovviamente, hai preparato un impasto fantastico! Un dosaggio degli ingredienti perfetto, come hai fatto? Io solitamente metto sempre troppa farina.." rispose Alaska continuando a mangiare.
"Tranquilla, non c'è bisogno che mi prendi in giro, se non fossi arrivata tu probabilmente avrei fatto scoppiare la cucina nel giro di dieci minuti."
"Non dire così Philly, è stato un pensiero dolcissimo da parte tua alzarti alle sette di mattina, quando solitamente dormi fino alle undici, solo per fare del tuo meglio in cucina per rendermi felice. Sei il migliore, te l'ho già detto."

Ed era veramente così, Phil era il miglior ragazzo che Alaska avesse mai conosciuto: disponibile, altruista, un occhio di riguardo sempre rivolto verso gli altri con l'intento di fare sempre del suo meglio per renderli felici, troppo spesso mettendo in secondo piano la propria felicità. Sin da quando si erano incontrati, lei continuava a farglielo notare, ma ogni volta lui smentiva il tutto o semplicemente fingeva di non aver sentito. Alaska non riusciva a spiegarselo: non concepiva come Phil, che aveva tutti i mezzi per rendere la sua vita straordinaria, preferisse vivere nella mediocrità e concentrare tutti i suoi sforzi per migliorare le vite altrui. Come stava facendo con lei.

Alaska era un casino, e lo sapeva benissimo; una ragazza problematica tormentata dai demoni del suo passato, dei quali aveva ancora troppa paura per riuscire ad affrontarli. Era un casino e a sua volta portava con se solo casini, guai di ogni genere. Perchè Phil si ostinava a volerle rimanere accanto? La vita del ragazzo sarebbe stata cento volte più semplice se non la avesse avuta in mezzo ai piedi. Alaska glielo aveva ripetuto tante volte, come erano tante le volte che gli aveva chiesto semplicemente di andarsene e lasciarla sola, per sempre, convinta che fosse quello che le spettasse, ma lui ogni volta ripeteva che era impossibile e che non lo avrebbe mai fatto, nemmeno se sotto minaccia.

"Phil?"

"Si?" biascicò il ragazzo con la bocca piena di pancakes.

"Se la pistola fosse stata puntata verso di te quel giorno e lui ti avesse chiesto di dimenticarti di me e non parlarmi mai più in cambio della tua vita, avresti comun..."

"Si'" la interruppe Phil "avrei comunque detto di no."

"Anche se ciò implicava perdere la vita?"

"Anche se ciò implicava perdere la vita." ripeté lui.

"Ma non ha senso! Perchè rinunciare alla tua vita intera per prendersi il fardello della mia esistenza sulle spalle? Lo sai che..."

"Lo sai cosa? Cosa devo sapere? Che la mia vita sarebbe più facile senza di te? Che non ha senso starti accanto perchè porti solo brutte cose? Che sei inutile e potrei benissimo fare a meno della tua amicizia? Vuoi sapere una cosa, Alaska?" disse Phil, la voce tremolante e gli occhi che si riempivano all'improvviso di lacrime "Ogni volta che mi fai queste domande cerco di darti una risposta che ti convinca, ma sembra che non la trovi mai."

Il viso del ragazzo si rigò di lacrime, mentre il suo corpo iniziava a tremare, mostrando quanto nel profondo quel discorso lo toccase. La vista di Alaska si fece anch'essa appannata dalle lacrime, sconvolta dalla reazione improvvisa e così forte dell'amico.

"Però questa volta penso di averla trovata, e anche se non fosse così, e ancora tu non fossi convinta di quanto per me sia essenziale starti vicino, ti obbligo a non chiedermi mai più nulla di simile."

Alaska annuì mentre portava la mano verso il viso di Phil e delicatamente asciugava una delle tante lacrime che vi scorrevano.

"La mia vita senza di te non sarebbe più facile. Sai cosa sarebbe?" disse con la voce ormai spezzata dal pianto "Più triste. Estremamente più triste. Ecco tutto ciò che sarebbe la mia vita senza di te. Non voglio neanche immaginarmela una vita senza di te, perchè sarebbe cosi triste che non sarei in grado di affrontarla. Ho bisogno di te Alaska. Forse anche più di quanto tu ne abbia di me"

I due ragazzi si guardarono negli occhi per qualche istante, in silenzio, la mano di Alaska ancora ferma sul viso di Phil, le lacrime che scorrevano, come se per un attimo il mondo intero avesse smesso di girare.

Poi, nel giro di una frazione di secondo, scattarono in piedi e si strinsero in un abbraccio, entrambi tremanti e singhiozzanti, il peso delle parole del ragazzo che riempiva ancora il loro piccolo soggiorno, in quel palazzo malridotto, in quel luogo dimenticato da tutti, ma che nei loro cuori era casa, perchè bastava loro essere insieme, due giovani vite rovinate troppo presto e ingiustamente dai mali che spesso il mondo ci mette d'innanzi, ma che si erano incrociate per salvarsi a vicenda e ora non si sarebbero mai più separate.

Fu in quel momento che Alaska capì che anche se mai avesse voluto veramente allontanare quei due occhi cristallini dalla sua vita per il loro bene, non sarebbe mai riuscita a farlo. Perché sì, ne aveva bisogno, aveva terribilmente bisogno di Phil, ma soprattutto perché lui aveva bisogno di lei, e Alaska avrebbe fatto di tutto per colui che le aveva salvato la vita.

Stringendo più forte a se l'amico e serrando gli occhi, Alaska si disse che se Phil non avesse avuto intenzione di lottare per la propria di felicità, non c'era problema, lo avrebbe fatto lei per lui.

"Voglio solo che tu sia felice, Phil"

"E allora resta con me."

"Lo farò. Sarò sempre con te. Lo prometto".

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