Capitolo 2

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Il battito del mio cuore riecheggiava per i corridoi vuoti dell'ospedale. I miei passi non erano da meno: non ero mai stata molto agile e quando si trattava di muoversi in modo furtivo riuscivo ad imitare il suono di una mandria di elefanti che attraversa un fiume. Simon probabilmente sapeva che lo stavo seguendo, ma non si voltava. Tra scale e corridoi arrivammo fino al quarto piano dell'edificio. Cosa doveva fare lì? Da quanto sapevo non c'erano stanze in quella sezione, solo depositi e celle frigorifere. Ad un tratto si fermò davanti ad una porta e feci appena in tempo a nascondermi dietro un muro. Lo vidi afferrare con decisione la maniglia e trattenni il respiro. Ovviamente anziché aprire la porta si girò verso il mio nascondiglio e mi venne incontro -Non è carino seguire la gente, sai. Ti avevo chiesto di fare silenzio in camera tua- sibilò. Beccata. Uscii lentamente da dietro il muro e facendomi coraggio lo guardai negli occhi -Non è carino entrare in un ospedale di notte, da una finestra e cercare di aprire una porta per rubare chissà cosa al suo interno- ribattei, mentre sentivo le mie guance infiammarsi. -Posso sapere cosa volevi fare?- chiesi con insistenza. Il suo sguardo si addolcì -Niente. Mia sorella è ricoverata qui e volevo farle vista, ma ho sbagliato stanza-. Quella voce aveva un effetto ammaliante su di me. Lo aveva sempre avuto, eppure stavolta c'era qualcosa di diverso. La mia mente era offuscata e il mio cuore era pronto a credergli ciecamente. Ma da qualche parte, mel profondo della mia anima sapevo che non era così. Peccato che questa convinzione non riuscì a venir fuori. -Se è così mi dispiace...- un mormorio mi uscì dalla labbra senza che lo volessi. -Torno nella mia stanza allora- la mia mano si alzò per fare un cenno. -Aspetta, ti accompagno- mi venne vicino e posò la sua mano sulla mia spalla. Il suo tocco era gelido, paragonabile a quello di una piuma. Per tutto il tragitto mi sentii come in una sfera d'acqua. Il mio corpo non riusciva a rispondere ai comandi e perfino la mia vista si era offuscata. Arrivata in camera mi aiutò a sedermi sul letto e si avviò verso la finestra -Buonanotte, domani quando ti sveglierai non ricorderai nulla. Io non sono mai stato qui e non abbiamo mai parlato-. Feci per annuire, ma qualcosa mi bloccò. Ripensai all'ultima frase: non abbiamo mai parlato. Ma lo avevamo fatto e non volevo dimenticarmene. Per quanto il nostro dialogo non fosse stato brillante, era significato molto per me, dato che da tempo desideravo scambiare due parole con lui. Ora che finalmente era successo non lo avrei lasciato andare facilmente. -Aspetta.- dissi con fermezza. Mi guardò incredulo. -tu frequenti la mia stessa scuola- continuai. L'agitazione mi aveva tolto ogni parola di bocca e non mi venne in mente niente di meglio da dire. -Si, sono al terzo anno- fece di rimando lui, iniziando a mostrare curiosità. -Io al secondo... ah, mi chiamo Rot- sorrisi e gli porsi la mano. -Io sono Simon... Rot vuol dire rosso in tedesco, giusto?- me la strinse. Una mano fredda, priva di battito, ma in quel momento non ci feci caso. Annuii e lui continuò -rosso come i tuoi capelli... io vengo da New York comunque- La città del sogno... scacciai subito questo pensiero. -Come mai ti sei trasferito qui a Berlino?- -Per stare vicino a mia sorella... te l'ho detto, è ricoverata qui- La sua faccia si rabbuiò. -Oh...- non trovai niente di meglio da dire. -Senti, come mai non sei venuto di giorno? Sono sicura che le infermiere ti avrebbero dato indicazioni...- suggerii. -È un po complicata la faccenda- rispose guardandomi negli occhi -Non sono sicuro che Rebecca sarebbe felice di vedermi... ma non ne voglio parlare ora. Tu piuttosto come mai sei qui?- Ed ecco la parte imbarazzante. Con un'altra persona mi sarei inventata una bugia, ma a lui sentii il bisogno di dire la verità -Ho mangiato troppo cioccolato- Sospirai notando che la sua espressione si era fatta divertita -Cioccolato bianco per precisare, ne sono drogata. Non chiedermi il motivo perché non ne sono a conoscenza neanch'io- Lui non riuscì a trattenere una risata e gli diedi un pugnetto sulla spalla -Sono passato anch'io in una fase del genere- commentò pensieroso, tornando serio -e posso aiutarti ad uscirne se...- Non riuscì a completare la frase, perché sentimmo dei passi risuonare fuori dalla mia stanza: le risate dovevano aver attirato l'attenzione di qualcuno. -Vai!- lo spinsi via. Scattò sul davanzale della finestra con una velocità sovrumana. Prima di saltare giù si voltò verso di me -Torno domani Rot. Aspettami.- sorrise. Il mio cuore fece così tante capriole che rischiai l'infarto. -Va bene... a domani- l'ultima cosa che vidi fu il suo agile corpo che si lanciava nel vuoto. Feci appena in tempo a chiudere gli occhi e a tirare su le coperte, che un infermiera entrò per monitorare la situazione. Torno domani... aspettami. Quelle parole continuarono a risuonare nella mia mente per tutta la notte.

White Chocolate & Red Blood||Simon LewisDove le storie prendono vita. Scoprilo ora