Uno, nessuno e centomila

619 27 5
                                    


— "Quando si sia fatta l'abitudine di vivere in un certo modo, andare in qualche luogo insolito e nel silenzio avvertire come un sospetto che ci sia qualcosa di misterioso a noi, da cui, pur lì presente, il nostro spirito è condannato a restar lontano, è un'angoscia indefinita, perché si pensa che, se potessimo entrarci, forse la nostra vita si aprirebbe in chi sa quali sensazioni nuove, tanto da parerci di vivere in un altro mondo."

Federico, quel giorno, si sentiva perso. Proprio come tutti i giorni. Era stravaccato sul divano a fumarsi una canna quando sentì qualcuno bussare al campanello del suo appartamento. Pensò che avrebbe potuto essere il signor Bianchi che voleva - giustamente - gli arretrati del suo affitto. Oppure Guido, che voleva indietro - altrettanto giustamente - i soldi che gli aveva prestato. Ma quando aprì la porta si trovò davanti un ragazzo che non aveva mai visto. Era alto e gracilino, con un enorme borsone scuro nella presa di una mano, le labbra secche e le occhiaie scure ma non troppo visibili. Federico aveva la sua porta socchiusa con ancora la catenella di sicurezza agganciata e guardava lo sconosciuto di sbieco.

«Ho leto sul giornale che ti serve un coinquilino per dividere l'affitto.»

Federico annuì e lo squadrò per un attimo. Non gli sembrava proprio un ragazzo a posto, ma d'altronde neanche lui lo era. Quindi lo lasciò entrare.

-

Federico - anche a distanza di tre mesi - poteva dire di non conoscere affatto Michael. Il riccio usciva di casa verso le otto di sera per lavorare e tornava la mattina presto - così presto che Federico non era mai riuscito a restare sveglio così tanto da vederlo rientrare. Però sapeva che Michael andava a lavoro con il suo grosso borsone di cui era molto geloso, e dall'orario immaginò che dovesse lavorare in un ristorante o in un bar. O fare il barman in un night club. O cose del genere, probabilmente. Un sola volta glielo chiese, e da come Michael non rispose, capì che era meglio lasciar perdere.

Quella volta Michael era sdraiato sul suo letto ancora sfatto e stava fumando una sigaretta, puntellato sui gomiti a pancia in su e con le ginocchia piegate. Michael non fumava spesso, o perlomeno non tutti i giorni. Non come Federico. E non fumava neanche erba, a differenza di Federico.

«Devi smeterla con quella roba. Fa male.»

Michael lo disse, ma in realtà non sembrava che volesse dirlo davvero. Forse lo stava pensando ad alta voce, mentre guardava assorto il filtro della sua sigaretta stretta tra le dita.

«Anche le sigarette fanno male.»

«Ma almeno ho i miei neuroni.»

Michael rise leggermente con quella risata che Federico trovava agghiacciante il più delle volte. Sembrava come il cigolio di una vecchia porta di legno.

Federico tirò una boccata di fumo e poi la lasciò andare.

«Che lavoro fai, Michael?»

Michael non l'aveva guardato, semplicemente aveva sorriso e aspirato dell'altro fumo dalla sigaretta.

«Perché lo vuoi sapere?»

Federico scrollò le spalle e rispose serio.

«Potresti essere un serial killer, per quanto ne so.»

Michael mantenne il sorriso sul suo volto.

«Non te lo direi se fossi un serial killer.»

Non rispose comunque alla sua domanda, e Federico prese mentalmente l'appunto di non domandarglielo più.

"Ma che colpa abbiamo, io e voi, se le parole, per sé, sono vuote? Vuote, caro mio. E voi le riempite del senso vostro, nel dirmele; e io, nell'accoglierle, inevitabilmente, le riempio del senso mio. Abbiamo creduto d'intenderci; non ci siamo intesi affatto."

Uno, nessuno e centomilaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora