Varðeldur

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I dorati raggi del sole mattutino penetrano nell'angusta stanza.

Annunciano sorridenti il nuovo giorno.

Un nuovo giorno, già.

Un altro ancora.

L'ennesimo di questa strana e singolare esperienza.

La vita? La storia?

Che importa.

Fatico ad alzarmi, fatico a reggermi sulle ormai deboli gambe.

Sono stanca, la schiena si piega, la colonna vertebrale sembra volersi spezzare.

La luce del mattino bacia le vuote pareti, ogni singolo atomo di questo ambiente sembra rallegrarsi del nuovo giorno.

Fuori è primavera, quasi posso sentire la freschezza della rugiada che ozia sulle verdi foglie, sui rossi petali dei fiori appena sbocciati. 

Ma è tutto così distante, contrastante.

La mia presenza qui, perchè?

I fiori appena sbocciati lì fuori, su quei calmi prati.

Il fiore appassito dei miei anni, qui, in questa tetra stanza.

I petali di quel rosso vivo, i miei capelli di quel rosso spento.

I maestosi alberi.

Il mio esile fisico minato dalla vecchiaia, dalle disgrazie, dalla solitudine.

I miei occhi sono spenti.

La luce entra.

Provo a sfiorarla con le grinzose dita, allungo un braccio, poi un altro.

Metafora della vita.

Scivola via, quella luce, e fuori un usignolo inizia a cantare.

Così vana, così vacua, quella luce sfuggente, quel sogno mai realizzato, quel desiderio mai esaudito.

Quella felicità, sì, l'ho mai sperimentata?

Se sì, non lo ricordo.

Sono passati troppi anni, tanti da logorarmi il viso, da disegnarmi rughe sul volto, linee intricate sul collo, sporgono pericolosamente le clavicole dal petto, sede di un cuore stanco di battere.

Qualcosa non va?

Ho sempre scosso la testa, no, va tutto bene.

Puoi parlarmene.

No, va tutto meravigliosamente bene.

Perchè parlarne non mi porta da nessuna parte.

Perchè parlarne non cancella ciò che è stato.

Non succederà mai.

Perchè parlarne mi costa troppo.

Rivivo ciò che è stato.

Non si tratta di immergermi nuovamente nelle acque del passato, si tratta annegare in esse.

Sprofondarne, per poi non riuscire più ad uscirne.

La corrente del fiume mi tracina, io non so nuotare, non posso fare altro che lasciarmi trascinare.

Ma il presente è troppo lontano, il futuro pare irraggiungibile.

Il futuro non è all'orizzonte, il futuro giace sul buio fondale, lì dove la luce non riesce ad arrivare, lì dove i mostri attendono la prossima vittima del destino.

Riesco a sentirli ghignare, affilare gli artigli, le zanne in bella mostra.

Così mi addentro nell'oscurità.

Sprofondo, inesorabilmente.

La luce si affievolisce, inesorabilmente.

Cado, inesorabilmente.

Il buio, la morte, inesorabilmente.

Chiudo gli occhi.

L'usignolo canta.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Feb 14, 2016 ⏰

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