Incontri speciali

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Per tanto tempo ho lavorato un giorno qua e un giorno là, una settimana qui e la settimana dopo lì e ho visto e conosciuto davvero tanti bambini. Alcuni visi e alcuni nomi li ho purtroppo dimenticati, ma qualche bel ricordo mi è rimasto e voglio raccontarlo anche a voi per farvi sorridere.

Comincerò parlandovi di Michele. Faceva quarta. Io sono rimasta nella sua classe solo una settimana. Il primo mattino arrivo trafelata in classe e mi accomodo. Dopo circa dieci minuti Michele viene da me vicino alla cattedra.

«Maestra come sei bella! Appena sei entrata ti ho vista ed ho pensato che sei proprio bella. Mi hai fatto proprio un effetto così.»

«Grazie Michele, sei molto gentile, ora torna al posto però.»

Michele torna al posto e dopo circa 5 minuti, o forse erano secondi, ritorna.

«Maestra, però sei bella!»

E io di nuovo.

«Ok Michele, grazie davvero però devi fare il bravo e tornare al posto.»

Lui con santa pazienza ritorna al posto. Questa volta ci resta un pochino di più. Credo perché stesse pensando bene alla frase che mi avrebbe dovuto dire di lì a poco. A un certo punto si rialza e viene da me convinto e con sguardo da duro.

«Maestra, ci ho pensato. Me lo dai il tuo numero?»

Giuro che è vero.

Poco tempo dopo incontrai Camilla, faceva quinta ed era più alta di me di un bel pezzo. Ero la sua insegnante di sostegno, ma con tutto l'affetto che mi dava era più lei a sostenere me. Camilla aveva un vizio: voleva sempre e a tutti i costi prendermi in braccio! Un giorno non riuscii a svincolarmi e mi ci prese sul serio. Ricordo che eravamo in corridoio perché stavamo andando a prendere delle tempere nel laboratorio di pittura. Ovviamente prendermi in braccio per lei voleva dire volermi bene, dimostrare affetto nei miei confronti. Quella volta in corridoio però fu piuttosto imbarazzante. Camilla se ne fregava altamente e mi teneva in braccio stretta stretta, io cercavo di divincolarmi ma con aria serena, come a voler far vedere che era tutto ok, la situazione era sotto controllo. Insomma passò il bidello e io smisi un attimo di divincolarmi proprio per sottolineare che avevo la situazione in pugno. Il bidello non venne ad aiutarmi. Si limitò a chiedermi: «Tutto bene maestra?»

E io con aria calma e come se tutto fosse davvero ok.

«Sì, sì tutto bene, tranquillo, stiamo facendo una sorta di esperimento.»

Sì certo, che esperimento? In ogni caso Camilla pensava a tutto tranne che a mettermi giù!

«Camilla dai mettimi giù»

«Maestra non posso»

«Ma come non puoi? E dai Camillina fai la brava!»

Niente da fare. Camilla voleva tenermi in braccio e per un pochino mi portò anche avanti e indietro per il corridoio tutta felice.

Io non sapevo se ridere o piangere!

Mi mise giù quando lo decise lei. In fondo fu divertente!

Camilla aveva anche un altro vizio, voleva andare sotto il banco e sdraiarsi beata a pancia in sù con le braccia e le gambe ben tese. Era talmente beata quando si sdraiava che mi scocciava convincerla a rialzarsi. Lei ovviamente voleva che mi sdraiassi anche io ma come avrei potuto farlo? Ero alle prime armi, non mi conosceva ancora nessuno in quella scuola e nemmeno nelle altre, per la verità... avrei rischiato un po' ad assecondare Camilla... Mi avrebbero probabilmente additata declamando strani epiteti per definirmi.

Brutto dover essere per forza conformisti, anche quando essere conformisti non serve a nulla.

Mi sdraiai anch'io.

E ora spaparanzate a pancia in sù, cara Camilla, godiamoci il nostro personalissimo e fantastico angolo di cielo stellato!

Qualche mese dopo fu la volta di Alessandro. Anche per lui ero l'insegnante di sostegno. Alessandro era veramente troppo simpatico e mi faceva spesso sorridere. Io e lui a volte usciamo dall'aula perché non sempre riusciva a concentrarsi. Bene, Alessandro adorava le parolacce così ogni volta che ci dirigevamo verso la nostra piccola auletta dove potevamo lavorare in santa pace non perdeva occasione per sfoggiare il suo linguaggio colorito con il bidello. Sempre il bidello! Ma un altro, non quello di Camilla. Comunque il signor Franco si prendeva sempre delle belle sgridate da Alessandro che inspiegabilmente ogni santa volta che lo vedeva gli puntava il dito contro agitando bene il braccio, a quel punto diceva:

«Cacchio vuoi?»

Ho provato a spiegare ad Alessandro che sarebbe stato meglio non usare certe parole, ma lui mi ha detto:

«Cacchio vuoi?»

Dovevo trovare un altro modo per fargli capire che sarebbe stato meglio non usare certe espressioni. Ci voleva la ramanzina della maestra modello! Gli feci un piccolo discorso ben articolato, convincente, mi sentivo in gamba, sicura di me, con la situazione assolutamente in pugno. Insomma alla fine Alessandro sembrava aver capito. Poco dopo gli venne da starnutire e dalla sua narice uscì una super caccola razzo spaziale che andò a finire sul grembiule nero. In un secondo ci guardammo tutti e due con occhi sbarrati e ci venne anche un po'da ridere ma ci trattenemmo.

Lui disse: «E la Madonna!!!»

Gli uscì proprio dal cuore!

Però da qual giorno parolacce non ne disse più.

Un'altra volta successe una cosa ugualmente simpatica. Alessandro essendo testimone di Geova non festeggiava il compleanno, né il Natale. Ciò vuol dire che non credeva a Babbo Natale. Sembra una cosa da niente, ma invece diventa un'enorme problema dal momento in cui i suoi compagni di prima elementare ci credevano eccome!

Un pomeriggio tutta la classe stava facendo un lavoretto su Babbo Natale. Immaginatevi un'atmosfera più che sognante. Musiche natalizie di sottofondo, disegni da colorare di Babbo Natale, delle renne, dell'albero, lustrini, luccichini, regali sperati, tutti sorridenti e felici e inebetiti dall'atmosfera natalizia. Anche io. A un certo punto, mentre Alessandro colora un disegno di Babbo Natale lo vedo agitarsi. Mi sveglio in un baleno dal mio stato di torpore perché mi rendo conto che sta per succedere qualcosa di irreparabile. Alessandro si alza in piedi spostando la sedia e il banco con gran rumore, io cerco di intercedere e di evitare la tragedia tipo portiere che tenta di parare un rigore, lo guardo con sguardo supplichevole come a voler dire: «Ti prego, non farlo!»

Troppo tardi, lui comincia a urlare in mezzo alla classe scandendo bene le parole come a voler proprio rimarcare il concetto:

«Babbo Natale non esiste! Babbo Natale non esiste!»

Tutti i bambini si girano verso di lui al rallentatore, qualcuno sta quasi per piangere, qualcun altro gli urla che invece Babbo Natale esiste, noi maestre ci guardiamo allibite e cerchiamo di placare gli animi... un disastro! Che ridere però!

La spontaneità di Alessandro non la dimenticherò mai.

L'anno dopo insegnai in una quarta e incontrai Karim, un ragazzino simpaticissimo che per farti capire di che pasta fosse fatto appena poteva si esibiva cantando e ballando: «Mi piace se ti muovi, mi piace se ti muovi, mi piace quel che muovi e allora muovi!» Già questo basterebbe a farlo passare alla storia visto che riusciva a muoversi esattamente come i lemuri, piccoli protagonisti del cartone animato da cui è tratta la canzone, ma c'è di meglio, un giorno stavo rimproverando un gruppetto della classe per qualcosa che avevano combinato e facevo la predica. Karim, che ovviamente faceva parte della gang band, continuava imperterrito a fare di testa sua. Ribadii altre due o tre volte lo stesso concetto e a un certo punto mi rivolsi proprio a lui, che era il più recidivo e gli dissi innervosita: «Dai Karim ma come te lo devo dire? In arabo???»

E lui con una certa aplomb: «Se vuoi sì maestra, tanto io sono arabo e capisco!»

Ecco, appunto.

Storie di classeWhere stories live. Discover now