1. Sana e incolmabile routine

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"Daniele svegliati! " ecco come iniziava la mia giornata ai tempi del liceo. Le sette del mattino rappresentavano il momento cruciale della mia vita: l'inizio di una giornata vissuta in quell'edificio così triste e malinconico, la scuola.

Ecco che allora mi alzavo, facevo colazione e con quel fetido pullman pieno di scritte senza senso e vecchie come i sedili, mi recavo direttamente a passare sei ore di inferno.

Per fortuna c'erano i miei compagni che tirandomi su un po' il morale, mi facevano apprezzare almeno un pochino le giornate.

Ritenevo la scuola un luogo del tutto inutile; un posto dove si ripete inesorabile il meccanismo input-output di una fabbrica. Domande scontate, riposte ovvie, solo per ottenere degli inutili numeri trascritti sul libretto degli "assegni culturali". Si, li chiamavo così i voti, delle cifre vuote, utili solo per quelle persone che dovevano finire i programmi entro il termine dell'anno scolastico per portarsi a casa mille euro al mese: gli insegnanti.

Finalmente quel giorno di un freddo settembre scesi dal pullman e mi recai nell'edificio.

Quotidianamente si ripeteva quella sensazione di angoscia mista a noia che non riuscivo a scacciare dalla mia mente e che era destinata a rimanere dentro di me per altri due lunghi anni. Già, ero all'inizio della quarta e mancavano ancora quattrocento giorni alla fine di un incubo iniziato inconsapevolmente nel 2003.

Entrando nell'aula c'era un'atmosfera di solidarietà. Tutti aiutavano tutti, sembrava un sogno, tutti cordiali, tutti speciali, solo per ottenere una versione di latino o degli esercizi di francese dal compagno di banco più esperto. Esperto a fare cosa poi? Specializzato a riempire l'orgoglio dei professori.

Io non chiedevo mai niente, poche volte mi è capitato di copiare le risposte di qualcun altro.. Forse avrei fatto anche bene, ma ero il più masochista, mi sentivo in colpa se non mi arrangiavo da solo.

Il suono angosciante della campanella si fece sentire e il professore di francese entrò. Era lui, il professor Mantelli, in tutto il suo splendore, pantaloni blu di velluto che non si cambiava mai e la sua solita camicia a quadretti. Doveva averne una varietà infinita nel suo guardaroba, dato che ogni giorno ne aveva una uguale ma di colore differente.

Tutti in silenzio, aspettavamo il suo monologo arricchito da quella pronuncia enfatizzata che comprendeva solo lui.

"Chi vuole correggere gli esercizi?" chiese.

Nessuno fiatava. L'imbarazzo pervase l'atmosfera.

"Marco, vediamo come te la cavi.." continuò, per metterlo in difficoltà.

Povero Marco, non faceva nulla tutto l'anno e per lui era iniziata la pacchia. Già, perché per lui l'anno scolastico cominciava a giugno e finiva a settembre, tutto il resto era vacanza.

Con quella sua voce un po' strozzata iniziò a leggere la prima domanda dell'esercizio con un pessimo accento, francese misto a bergamasco neanche pronunciato tanto bene.

La risposta non era malaccio, ma si capiva benissimo che Mantelli lo idealizzava e dando la sua risposta al quesito assegnato, da bravo studente modello iniziò a dilungarsi in quei suoi discorsi filosofici che, essendo comunque intelligenti (purtroppo lo devo ammettere), erano fuori tema e soprattutto fuori luogo.

"Bravo Corelli, hai azzeccato proprio il succo della questione!" rispondeva il suo insegnante preferito, permettendogli di chiudere un occhio su quella sua pronuncia veramente orrenda e compensando con i suoi pensieri da Platone dei poveri. Almeno Platone aveva delle idee, Marco invece peccava di anonimato. Poco convinto, poco impegnato nei suoi compiti, ma molto abile a farsi "amare".

Dopo due ore di italiano e due di matematica, la giornata si concluse e un altro ostacolo si affacciò all'orizzonte: il pullman di rientro a casa.

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⏰ Last updated: Feb 13, 2016 ⏰

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Daniele, svegliati!Where stories live. Discover now