L'unica cosa

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*Finnick*
Fissavo la televisione con gli occhi sbarrati. Era lo scontro finale dei settantesimi Hunger Games. Lo schermo mostrava due ragazzi: per il Distretto 2 un ragazzo di cui non ricordavo il nome, per il Distretto 4 Annie. Guardai la sua faccia impaurita. Sapevo che non aveva speranze in uno scontro corpo a corpo: finora era sopravvissuta stando prima con l'altro tributo del 4, poi nasondendosi. Avevo paura per lei. Erano anni che ci conoscevamo, ma stavamo assieme solo da due. Il nostro rapporto non era stato facile: cinque anni fa mi ero offerto volontario per i giochi, pensando che in questo modo avrei fatto colpo su di lei. Ero forte, intelligente e bello: non avrei avuto problemi a farmi degli sponsor e vincere gli Hunger Games. E poi mi ero allenato quattordici anni per quello. In effetti era stato semplice per me. Solo che la mia ingenua mente da quattordicenne non aveva calcolato il dopo. Vedere ragazzi uccidersi, ucciderne numerosi io stesso, vederne morire così tanti in una dozzina di giorni... queste cose si erano impresse in modo indelebile nella mia mente. Non passava una notte senza che i ricordi tornassero a tormentarmi. Per non parlare delle cose che ero costretto a fare per garantire la sopravvivenza di coloro che amavo. Solo a pensarci rabbrividivo e provavo schifo verso me stesso, verso il presidente, verso Capital City e verso tutti coloro che avevano ideato la cosa. Avevo solo diciannove anni e dovevo vendere il mio corpo a uomini e donne che lo consideravano un gioco. E quell'anno avevano fatto entrare in quell'incubo anche la mia Annie. A differenza di me era stata sorteggiata: non era così stupida da offrirsi volontaria. Quando ci eravamo salutati, prima che lei partisse, mi aveva abbracciato dicendo tra una lacrima e l'altra che avrebbe vinto per me. Io avevo continuato a stringerla a me in silenzio, cercando di fissarmi nella mente il suo odore di sale, la sensazione dei suoi capelli scuri tra le mie dita, il colore verdemare dei suoi occhi, il suo viso a forma di cuore... Avevo paura di perderla. Ma lei aveva più paura di me: sapeva che non sarebbe riuscita a vincere, ma non aveva mostrato nemmeno un briciolo di quella paura. Eravamo rimasti abbracciati finche i Pacificatori non mi avevano portato via. Avevo guardato tutti i giochi, non che avessi altra scelta. Per un po' era sparita dalla circolazione e tutti pensavano che fosse morta, ma poi era uscita dal suo nascondiglio e adesso si trovava ad un passo dalla vittoria.
Il ragazzo del 2 arrivò di corsa con dei coltelli in mano. Annie lo vide e scagliò verso di lui la lancia che impugnava, mancandolo solo di qualche centimetro. Allungò la mano dietro la schiena per prendere il coltello attaccato alla cintura, ma ormai era stata raggiunta. Il ragazzo la colpì al viso con uno dei coltelli che impugnava, anche se - per fortuna - solamente di striscio. Al secondo coltello non fu così fortunata: esso le si impiantò nel fianco in profondità, facendola sanguinare copiosamente. Il ragazzo le saltò addosso ma, quando sembrava che fosse finita, la situazione si ribaltò. La diga che si vedeva in lontananza si ruppe, inondando la landa deserta.1 L'acqua travolse i due ragazzi. Si sentì un colpo di cannone. Il panico mi travolse con la stessa forza dell'acqua dell'arena. No, non poteva essere Annie. Lei sapeva nuotare, veniva dal Distretto 4. Ma la corrente era forte e lei era ferita. Pregai tutti coloro che potevano essere pregati affinchè vivesse. Quando ormai ero ad un passo da una crisi di panico, la testa di Annie riemerse e la voce di Claudius la annunciò come vincitrice. Iniziai a piangere dalla gioia. Ce l'aveva fatta. Era sopravvissuta.

*

Il treno era arrivato puntuale. Ne era uscita un'Annie sconvolta accompagnata dal suo mentore. La gente aveva iniziato ad urlare entusiasta, ma si era fermata inorridita quando lei si era tappata le orecchie e aveva lanciato un grido. Era un grido di terrore che ben esprimeva gli orrori dell'arena. A vederla in quello stato mi si era spezzato il cuore. Dopo circa due seconti non ce l'avevo più fatta. Sgomitando e facendomi largo tra la folla, l'avevo raggiunta. L'avevo stretta a me in un abbraccio e trascinata via dal centro dell'attenzione.
Adesso eravamo nella mia casa al Villaggio dei Vincitori più precisamente nella mia stanza. Lei era rannicchiata sul mio letto, avvolta da una coperta e con la testa sulle mie gambe, lo sguardo rivolto verso un punto indefinito della parete di fronte colmo di terrore. Io ero seduto accanto a lei e la stringevo a me, mormorando parole di conforto; lei però sembrava non sentirmi. Non aveva più gridato dalla scenata davanti al treno, così, quando si addormentò, scesi in cucina a preprarle una tisana. Avevo appena messo il bollitore sul fuoco, quando un grido agghiacciante risuonò nel silenzio della casa, facendomi venire la pelle d'oca e gli occhi pieni di lacrime. Cos'hanno fatto alla mia Annie? mi chiesi mentre le lacrime mi rigavano le guance. Salii le scale più veloce che potei e in un attimo le fui di nuovo affianco. Si era messa seduta e, tappandosi le orecchie, mormorava parole incomprensibili. Delicatamente le tolsi le mani dalle orecchie e feci in modo che mi vedesse in faccia. «Shh, amore, va tutto bene» mormorai. Se fino a quel momento nn aveva dato segno di riconoscermi, ora sbattè le palpebre un paio di volte come per mettermi a fuoco e balbettò: «F- Fin- Finnick»
Era la prima volta che parlava da quando era uscita dal treno. Fui invaso dal sollievo. «Si, amore sono qui» le risposi.
Lei chiuse gli occhi come se avesse visto qualcosa di orribile. «L'arena è... è... e James... la sua testa... quello del 7...» James era il tributo del nostro distretto che era andato con lei nell'arena. Annie aveva visto il tributo del 7 decapitarlo. Lei era nascosta, quindi il ragazzo del 7 non l'aveva vista.
«Amore, è tutto finito. Calma, sei di nuovo a casa» le dissi con tono di voce più dolce possibile. Lei scosse la testa per scacciare i ricordi e mi abbracciò, mentre le sue lacrime le rigavano le guance e mi bagnavano la maglietta. Rimanemmo abbracciati per minuti, o anche ore. Il tempo non aveva più importanza. L'unica cosa che importava era qui e questo mi bastava. Non mi importava del passato nè del futuro, ma solo del presente e di Annie che mi abbracciava.

[1] Dato che non ho trovato altre informazioni, ho immaginato l'arena come una grande landa deserta e piatta in cui in lontananza si vedono da un lato una montagna fatta di tanti massi sovrapposti (ho immaginato la montagna piena di nascondigli, quindi che Annie si fosse nascosta lì per tutto quel tempo) e dall'altro lato una grande diga irraggiungibile.

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