Vita

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Sbatto le palpebre permettendo alla luce di attraversare l'iride marrone chiaro dei miei occhi. La temperatura nella stanza è perfetta e mi piace assorbirne il calore. Infatti, pur essendo giugno ed essendoci fuori un bel calduccio, quella stanza calda e bianca mi ricorda i nove mesi, compiuti l'altro ieri, nella pancia della mia mamma.

I ricordi che ho di quel periodo non sono molto vividi però ripensandoci ora, avverto come delle sensazioni. Mi ricordo, infatti, uno strano senso di solletico all'inizio, causata dal formarsi delle cellule che velocemente nascevano, si riproducevano e morivano lasciando il posto ad altre più giovani. Rammento come mi sentissi bene in quel periodo, il solletico mi piaceva e poi mi sentivo come i robot dei film che venivano montati a poco a poco. Così dopo due settimane, quando ancora la mamma non sapeva di aspettarmi, ero diventato un embrione e cominciava il mio viaggio verso la vita. In questo periodo della gravidanza sentivo ancora quel solletichino che a volte diventava quasi un pizzico e faceva pure un po' male. Ogni giorno che passava, diventavo sempre più contento e dalle quattro settimane, quando il mio sistema nervoso iniziò a crearsi, cominciai a dirittura a comprendere tutto. Infatti, ricordo le risate che mi facevo quando ancora la mamma e il papà non sapevano. La maggior parte della mia fase embrionale passò, appunto, così tra solletico e risa.

Dopo circa tre mesetti diventai un feto e lì la mamma iniziò ad accorgersi che, forse, c'era qualcosa che non andava. La vedevo spesso dubbiosa mentre allo specchio si vedeva, ogni giorno, sempre più gonfia e si chiedeva un po' stupidamente se fosse ingrassata o fosse qualcos'altro di sicuro migliore. Così un giorno decise di rispondere a tutte le sue domande: andò in farmacia e comprò un test per la gravidanza. Per lei sono il suo primo figlio e, quindi, ricordo ancora i dubbi che circolavano nel suo cervello. Poco dopo mia mamma scoprì di essere incinta. Per un primo momento reagì in un modo strano non riusciva a parlare e non sapevo se fosse per la tristezza o la gioia. Mi ricordo, infatti, che iniziò confusa a sistemare casa e a cucinare una cena meravigliosa per papà, pur non amando particolarmente la cucina e l'attività ai fornelli. Io nel grembo ero un po' abbattuto perché mi aspettavo una reazione migliore, mentre, invece, la mamma sembrava strana e incredula. Lo ammetto quei pensieri erano un po' stupidi e ne abbi la prova subito dopo. Infatti, improvvisamente la mamma iniziò ad accarezzare il suo grembo già un po' più gonfio con affetto e soprattutto con amore. Quelle coccole sulla pancia mi piacevano e mi sentivo sempre più attratto dal contatto materno. I dubbi che si aggiravano nella mia testolina scomparvero e a poco a poco mi sentii sempre più attratto da quella dolce, bella e amorevole carezza che su di me fece l'effetto di una calamita. Mi avvicinai, infatti, sempre più alla liscia ed umida parete del grembo e risposti a quelle carezze porgendo la piccola testolina, un po' come fanno i gatti. Forse, per la prima volta, avevo sperimentato la vera gioia della famiglia, anche se fin ora quello era un tacito accordo solo con la mamma. Dopo un pomeriggio passato in compagnia delle dolci carezze e parole a cui io avrei voluto poter rispondere, il papà tornò dal lavoro. Appena entrato, notò c'era una strana atmosfera, percependo che c'era davvero qualcosa che non andava, anche perché la mamma sembrava strana e soprattutto aveva cucinato da sola e questo era un po' bizzarro da parte sua. Così si avvicinò e cercò di indagare sia con gli sguardi, sia con le parole su cosa fosse successo, non capendo però. Dalla mia comoda posizione io mi sbellicavo dalle risate godendomi la scena e i tentativi di mio padre che cercava di scoprire il mistero. I miei cenarono insieme e, forse, per la prima volta mi sentii parte davvero di quella famiglia riunita per mangiare assieme. Infatti, anche per me era arrivata l'ora di cena e mi deliziavo col cibo preparato dalla mamma che scendeva giù dal cordone. Dopo cena venne, finalmente, il fatidico momento di rivelare a mio padre della mia esistenza. Così la mamma gli diede un piccolo scatolo con delle scarpette per neonati, lasciando a lui il compito di capire quale fosse il messaggio nascosto sotto quel gesto. Se avete potuto immaginare a stento la reazione della mamma, non potrete sicuramente vagheggiare quella di mio padre. Infatti, appena seppe la bellissima notizia, rimase scioccato e guardò la mamma con uno sguardo sognante e con la mascella spalancata. Sembrava così strano che anche la mamma si mise a ridere insieme con me prima di abbracciarlo forte e fargli sentire tutta la sua gioia. Anche lui dopo un po' accarezzo il grembo ed io provai un po' d'ammirazione per quell'uomo che in futuro mi avrebbe insegnato a cadere ed a rialzarmi, a non mollare mai ed ad affrontare la vita da uomini. Finalmente tutti in casa lo sapevano ed io mi sentivo davvero in famiglia.

Continuo a muovermi nella culla. Raccontare mi ha fatto venire fame ed avverto il bisogno di fare i capricci e di andare dalla mamma, così inizio a protestare e a lamentarmi come gli altri bambini. Fortunatamente, non devo aspettare molto, infatti, dopo poco, un infermiera mi avvolge in una copertina e mi porta nella stanza di mia mamma: è arrivato l'orario delle visite. Per me quello è il momento più bello della giornata perché, in primis, posso rivedere il papà e anche perché adoro prendermi tutti i complimenti dei visitatori specialmente della nonna. Per evitare di fare i capricci dopo, gli infermieri mi portano un po' prima dalla mamma per cibarmi a sazietà e stare un po' con lei tra le sue braccia mentre mi coccola e mi dà il latte caldo e dolce. Le infermiere mi lasciano, così, tra le braccia della mamma ed io appoggio la piccola bocca ai seni gonfi di latte, non c'è cosa più bella... appena sazio, faccio un ruttino mentre arrivano molti dei miei parenti e degli amici dei miei genitori. Diciamo che li avevo conosciuti un po' tutti prima, durante la gravidanza, ma ora vederli di persona e non da dentro un grembo è diverso, perché per la prima volta vedo la mia intera famiglia al completo: le nonne, le zie, gli zii e, addirittura, anche i cugini piccoli e per ultimo, ma non meno importante, accanto alla mamma è seduto papà. Dopo esser stato per un po' tra le braccia materne, faccio un po' di capricci per attirare l'attenzione degli altri. Fortunatamente, le nonne, le più esperte in materia, capiscono il mio intento e mi stringono tra le braccia cullandomi e cantando antiche canzoni popolari, quasi quasi più contente dei miei genitori. In fondo, è come se avessero un altro figlio... Dopo le nonne è mio padre a prendermi un po' in braccio e, rivolto verso i miei cugini, mi fa intravedere le loro facce buffe e gonfie che mi fanno tanto ridere. Dopo questo "spettacolino" altre persone mi prendono in braccio: gli amici, gli zii e le zie. Ognuno mi coccola e mi fa versetti stupidi e nel contempo si riempie di gioia. Anche io stando in mezzo all'attenzione mi diverto molto e mi piace passare di mano in mano. Nonostante la gioia però, quando una delle mie zie mi prende in braccio, sento una sensazione diversa. Mi ricordo bene della zia in questione perché, quando ero ancora nel grembo della madre, ci fu un giorno molto triste per tutti, così triste che anche il mio entusiasmo si spense un po'. Il papà, infatti, aveva saputo che una delle sue due sorelle si era ammalata di una strana malattia di nome "cancro" che purtroppo era inguaribile... Mi ricordo anche la tristezza della mamma e specialmente della nonna paterna che vedeva in pericolo di vita una sua figlia, prima ancora di sé stessa. Fu un giorno molto cupo che perfino io rinuncia ai soliti calcetti o ai movimenti che facevo per chiedere un po' più di attenzione, fino a sera quando la mamma si mise ad accarezzare il pancione amorevolmente, coinvolgendo anche il papà. Così mia zia mi prende in braccio ed è come se tra noi avvenisse uno scambio quasi fatale. Stando vicino a lei sento, infatti, lo stesso solletichino che sentivo nella pancia e che era quella forza naturale che mi creava, pezzo per pezzo. La guardo negli occhi ed anche se nessuno se ne accorge, è come se le parlassi con le ciglia. Non so perché questo empatia tra noi, ma, infondo, non siamo noi le facce di quella grande medaglia che è la vita? Tra le sue braccia sento la forza delle sue cellule che si riproducono stanche e malate e che cozzano contro le mie piccole e neonate come in una scala di contrasti: bianco e nero, cielo e mare, vittoria e sconfitta, morte e vita. Non è una nuova sensazione per me e non mi sorprende che questo richiamo avvenga in nostra funzione. Così io la guardo nei suoi occhi stanchi e cerco di concederle un po' della mia forza di vita, lei sorride e ricambia lo sguardo, facendomi assaporare quello che è l'agrodolce della vita: la dolcezza gioiosa di momenti come la nascita, le feste, gli amici, i baci, ma l'acido delle delusioni, delle perdite e della morte... così rimango un po' tra le sue braccia, creando un po' una sorta di paradosso nel tessuto dell'universo tra due confini contrastanti della vita.

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