Era rossa fra i capelli, fragili e sottili e ghiacciati di cristalli di brina, come avesse corso veloce alle quattro del mattino, avevano le radici erano più chiare, quasi bionde, mentre le punte agglomerate di acqua le accarezzavano le efelidi.
Era zuppa d'acqua, i vestiti fradici e strappati, due bottoni della sua camicetta erano volati via, strattonati, la gonna era a brandelli, colava lungo i collant smagliati, rivoletti di sangue le cingevano le cosce, affluenti di graffi a forma di unghiate, circondati dalle impronte dei morsi.
Zoppicava, le ciocche incollate al volto e al collo, ricadenti sulle scapole, con le mani tentava di coprirsi, senza riuscirci, un seno le sgusciava fra le braccia, incastonato di sangue e saliva, singhiozzava.
Vistosamente, cercando di non smettere di respirare, mentre da sotto le ginocchia fiorite di lividi colore geranio, si ammucchiavano terra e acqua e sangue.
Cadde.
In avanti, a quattro zampe, guaendo, come una gatta prima di partorire pensò la nera, cadde col volto verso il basso, e poi si accasciò sul fianco, im posizione fetale.
L'altra le si avvicinò, tastandole la carotide, sentendole il battito mordendosi le labbra carnose, africane.
Le spostò i capelli dagli occhi, raccogliendole col dito un po' di quel sangue secco che le colava da una narice. Le macchiò il polpastrello in modo così perfetto che non potè fare a meno di portarselo alle labbra, e assaggiarlo.
Così dolce, inaspettatamente non sapeva neppure di metallo, la nera sorrise. La distese, la accarezzó.
Lentamente l'altra smise di piangere, si addormentó.Sognò sua madre nel Midwest, tutte le domeniche nella luce dorata di una sacrestia, mentre la polvere turbinava nell'aria. Sognò di saltare con la corda, i capelli rossi e lumghissimi, in due trecce roteanti mentre contava i salti, e quando arrivó a cento smise di contare, iniziando a recitare convulsamente troppe avemaria,cercando di fare stare più salti possibili fra una parola e l'altra.
Nel rosa pieno di luce delle palpebre semichiuse vedeva una macchia di pelle nera che la toccava, ripulendola, sciogliendole grumi di sangue.
Nel suo sogno quella macchia si trasformó nella tonaca scura del suo pastore, mentre le faceva ripetere comandamenti e invocazioni, mentre guardava lei e le sue amiche giocare, mentre le separava quando si azzuffavano, riportandole in riga a solenni sculacciate, indugiando attorno alle loro acerbe fanciullezze forse più del necessario.
Tutto divenne nero nella tela scura del trolley dove aveva infilato i suoi molti vestiti e il suo solitario paio di pantaloni, partendo per il college.
"Marnie", fu la sua ultima cosciente parola.
"Ricordati di fare la brava e renderci fieri di te. A presto".
La terza, era bianca.
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Lontane da Qui
General FictionÉ una sala d'aspetto? É un ospedale? E voi, chi siete? Perchè siamo qui? Cosa ci inchioda a questo posto? Cosa abbiamo in comune, noi tre?