Capitolo2

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Decklan non aveva mai visto l'Olimpo.
Viveva a Larissa da dieci anni, aveva visto dozzine di volte il Monte Olimpo, certo, l'aveva persino scalato per andare incontro a Sameera, ma non era mai arrivato in cima, alla dimora degli Dei.
Apollo si materializzò assieme a lui in una stanza dalle pareti di pietra bianca, luminosa come se mancasse il soffitto e il sole potesse illuminarli dall'alto.
«Dove siamo?» chiese al Dio, mentre si guardava intorno. L'ambiente era completamente spogli0; c'erano soltanto due porte in legno bianco. Una era normale, ordinaria, e, dal lato opposto della sala, l'altra era a due battenti, enorme.
«È l'anticamera dell'anfiteatro» spiegò Apollo, «Tra pochi istanti presenteremo te e il tuo avversario a tutti gli Dei, prima di dare inizio ai giochi.»
Decklan annuì e si voltò verso la porta grande. Non aveva idea di chi si sarebbe presentato, ma chiunque fosse stato, l'avrebbe annientato. Era pronto allo scontro: aveva indossato la tuta di pelle nera dell'esercito dei Lykos, che gli avrebbe permesso di trasformarsi senza restare nudo e l'avrebbe reso più resistente agli attacchi.
Chiunque fosse entrato in quella stanza sarebbe stato l'unico ostacolo tra lui e Sameera, perciò Decklan avrebbe trovato il modo di liberarsene.
Quando le porte si spalancarono, vide una sagoma alta e possente scagliarsi contro una luce accecante e impiegò qualche istante per mettere a fuoco; alta statura, figura imponente, boccoli attorno al viso ed una folta barba color rame.
Era Zeus, il sovrano degli Dei.
Avanzò verso di loro e il viso severo si aprì in un sorriso.
«Ce l'hai fatta» disse al figlio, «Hai persuaso il Karà.»
Apollo inarcò le sopracciglia bionde e finse di guardarsi intorno.
«E tu, padre?» gli chiese, «Non vedo nessuno qui per te.»
Zeus rise.
«La tua arroganza non ha eguali, bellissimo tra gli Olimpi» lo sfotté, «Il mio guerriero è arrivato proprio ora.»
Alle loro spalle l'altra porta si spalancò, lasciando entrare un uomo. Basso, ma perfettamente proporzionato, era a torso nudo, mostrando i muscoli pompati e ben delineati. Era calvo e, nel viso spigoloso, occhi neri come la notte scrutarono la stanza. Ai polsi aveva due paia di bracciali dorati, identici ai due che gli stringevano il collo; quelli erano i simboli degli schiavi dell'Olimpo.
L'uomo, infatti, si limitò a mantenere la porta aperta in attesa che il guerriero l'attraversasse.
Decklan era pronto a tutto. Era pronto a qualunque nemico, era pronto a uccidere senza esitare chiunque fosse stato così stupido da accettare quella sfida, ma, Dei del cielo, non era pronto a quello che comparve sulla soglia.
Alto quasi due metri e spaventoso per la stazza imponente, indossava una t-shirt aderente al torace ampio, jeans e comodi anfibi ai piedi.
Capelli neri come petrolio grezzo, corti e lucenti. Nel viso, bello come solo quello di un semidio sarebbe mai potuto essere, splendevano occhi incredibili: uno verde, come smeraldo, e uno blu, come il mare in tempesta.
Era il Principe dei guerrieri.
E Decklan si sentì morire.
Perché di tutti gli avversari che avrebbe potuto incontrare, lui era davvero l'unico con il quale non avrebbe mai voluto scontrarsi.
Splendido e letale, il Principe avanzò nella stanza, il suo passo era deciso, ma sorprendentemente leggero per la sua stazza. Gli occhi diversi studiarono subito l'ambiente e impiegarono qualche istante per incontrare quelli ramati di Decklan.
Allora smise di camminare e subito si rivolse a Zeus.
«Che ci fa lui qui?» la sua voce era potente, come il rombo di un tuono che squarcia il silenzio della notte.
Zeus aggrottò le sopracciglia.
«Ti consiglio di riformulare la domanda, Principe.» Il suo tono era una velata minaccia e Damian si affrettò a rimediare.
«Chiedo scusa, mio Re» disse, «Sono solo sorpreso della scelta del mio avversario.»
Subito, Apollo si intromise.
«Chi meglio del mio Karà potrebbe rappresentarmi in quest'occasione?»
Zeus sbuffò, spazientito.
«Ci stiamo perdendo in chiacchiere» disse, «Visto che entrambi abbiamo un partecipante, direi di dare inizio ai giochi.»
«Mi sembra giusto, padre» convenne Apollo. Allungò un braccio a indicare la grande porta e Zeus si mosse per primo, attraversandola. Poi, prima di seguire il padre, Apollo si voltò verso i guerrieri.
«Restate qui» ordinò, «Gli schiavi vi diranno quando entrare.»
Entrambi osservarono il Dio uscire e gli uomini chiudere le porte alle sue spalle.
Damian si voltò verso il lupo, ma Decklan fu più veloce: con due passi lunghi lo raggiunse, piantandogli le mani sul petto e spingendolo.
Il Principe indietreggiò di un passo e il Karà gridò:
«Perché sei qui?»
Damian lo sovrastava di abbondanti dieci centimetri ed era molto più largo e possente. Oltre al fatto che era immortale, quindi, tecnicamente, il suo corpo aveva dieci anni in meno di quello del lupo, ma questo non intimorì affatto Decklan.
Non aveva più paura di lui, da molto tempo, ormai.
Damian spalancò le braccia.
«Che cazzo ci fai tu qui?» ruggì, «Hai deciso di farti ammazzare?»
«Apollo mi ridarà Sam se vincerò i giochi» disse Decklan, con tono più pacato, «Quindi vattene, Dam, ti prego.»
Damian strinse gli occhi, lasciando ricadere le braccia lungo i fianchi.
Non aveva dimenticato di essere lui la causa per cui Sameera si trovava a vivere sull'Olimpo e, in qualunque altro momento, avrebbe aiutato il suo amico.
«Credi che io sia venuto qui per divertimento?» ringhiò, «Anch'io ho bisogno di vincere.»
Decklan rimase immobile, con il respiro mozzato. Scrutò il viso del Principe, pregando che stesse scherzando, ma, quando si rese conto che non era così, la rabbia lo infiammò.
«Di che altro puoi avere bisogno?» gli chiese, «Sei invincibile, immortale e hai un maledetto esercito al tuo servizio. Che puoi volere di più?»
Damian si irrigidì. Lanciò un'occhiata agli schiavi, come di pietra di fronte alla porta, e poi mormorò:
«Mi hanno ridato Sofia.»
Gli occhi di Decklan si spalancarono per lo stupore, ogni traccia di rabbia lo abbandonò e l'unica cosa che riuscì a chiedere fu:
«Sissi è viva?»
Damian lanciò un'altra occhiata agli schiavi.
«Sì» rispose, «È viva.»
Decklan indietreggiò di un passo, come se quelle parole fossero difficili da gestire.
«Perché non mi hai chiamato?» gli chiese.
Damian alzò le spalle.
«È successo pochi mesi fa e ci sono stati un po' di problemi. Nemmeno io sono ancora...»
«Avresti dovuto chiamarmi!» sbottò il lupo, spingendolo, «Avresti dovuto lasciare che la vedessi, lei è...»
Ma Damian non lo lasciò finire, spingendolo a sua volta.
«Non si ricorda niente, Deck! Non sa chi sono io, men che meno chi sia tu.»
Decklan barcollò all'indietro per mantenere l'equilibrio e Damian abbassò la voce.
«Zeus mi ha promesso che le restituirà i suoi ricordi» scosse piano la testa, «Non avrei mai accettato se avessi saputo che l'avversario eri tu.»
Decklan si sentì come se il mondo gli fosse appena crollato addosso.
Aveva combattuto al fianco del Principe dei guerrieri, sapeva quanto fosse letale. Affrontarlo in una sfida, significava non avere chances. Significava perdere Sameera per sempre.
D'un tratto, tutta la speranza che l'aveva animato fino a quel momento sembrò come dissolversi, lasciando il posto a un'amara disperazione.
«Ritirati» il suo tono fu supplichevole, «Dam, ti prego, lascia stare.»
Damian scosse piano la testa, lanciando un'altra occhiata agli schiavi.
«Non posso» disse soltanto.
Decklan avrebbe insistito, ma in quel momento altri servi spalancarono le porte.
«È ora» disse uno, «Fatevi avanti.»

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