Capitolo 1.

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"I signori passeggeri sono pregati di allacciare le cinture, tra pochi minuti è previsto l'atterraggio all'aeroporto di Monaco, grazie"

La voce metallica dell'assistente di volo risuona in tutto l'aereo dando il via ad una serie di schiamazzi e urla di eccitazione da parte di tutta la mia classe.
Finisco l'ultimo goccio d'acqua dalla bottiglietta, che avevo comprato prima dall'hostess, e continuo a guardare fuori dal finestrino.
Abbiamo superato da poco la coltre di nuvole e adesso sono molto ben visibili le strade e la città. Non so dire di preciso su cosa stiamo sorvolando, ma ció che vedo sono semplicemente dei campi ben curati  e leggermente innevati.
Sento la pressione spingermi verso il sedile e il fastidio alle orecchie inizia a diminuire.

Alcuni dicono che ci sono solo due emozioni su un aeroplano: noia e terrore. Io non provavo nessuna delle due. Sarà perché ho già preso l'aereo in passato, per Barcellona e Parigi, ma per quanto possa ricordare, non mi sembra di aver avuto paura o di essermi annoiata.
Avevo passato quasi le precedenti due ore a leggere ed ascoltare contemporaneamente la musica, mentre il resto dei miei compagni si facevano foto o spaventavano coloro che avevano paura iniziando a muovere freneticamente il loro sedile.

Finalmente riuscí a vedere l'asfalto della pista d'atterraggio e potei percepire perfettamente il momento esatto in cui le ruote dell'aereo toccarono il suolo.
Tutti i passeggeri applaudirono per il volo andato bene, e poco dopo iniziammo a prendere le nostre cose.

"Tieni Lydia", Lele mi porse il mio zaino e il mio giacchetto che aveva preso dai depositi sopra di noi. Lo ringraziai mentalmente perché si trovano troppo in alto e sicuramente avrei fatto una figura orribile degna di Oscar.

Lele è  il mio migliore amico, ci conosciamo da quando avevamo tre anni più o meno. Le nostre madri si sono conosciute al primo anno di liceo e da li non si sono più separate.
È un bel tipo, sia caratterialmente che fisicamente. Una montagna di capelli neri gli circonda il viso dalla pelle olivastra e un paio di occhi scuri gli danno quel tocco da "cattivo ragazzo" che, a quanto pare, le ragazze adorano.
Alto più di un metro e ottanta, quando camminiamo insieme sembriamo sempre il "tappo e la bottiglia".

Riusciamo finalmente a raggiungere il piano per ritirare i nostri bagagli e mentre aspettiamo che arrivino anche quelli per gli altri ragazzi e la professoressa, lascio a Lele tutte le mie cose e faccio un veloce salto al bagno.

C'è una fila allucinante e se non fosse che me la stia facendo sotto aspetterei di arrivare in albergo.

Prendo il telefono e controllo i vari messaggi che mi arrivano da parte di gestori telefonici stranieri.
Approfitto del momento per mandare anche un messaggio a mia madre avvisandola di essere viva e vegeta e ripogo il telefono nella tasca dei jeans.

Una donna sulla cinquantina davanti a me sta urlando al telefono in tedesco.
Non ho la minima idea di cosa stia dicendo, io e il tesesco non abbiamo nessun tipo di affinità. Due mondi opposti, incompatibili.

Riemergo dal bagno ed esco per raggiungere il resto dei miei compagni prima che mi abbandonino qui.
Mentre mi lavo le mani osservo il volto della signora di prima che nel giro di minuti era diventato rosso dalla rabbia.
Nel momento in cui supero la porta un ragazzo non molto alto, uscito dal bagno degli uomini, mi finisce completamente contro facendomi sbattere contro il muro.

"Mi dispiace, mi dispiace! Scusami non ti ho visto. Ti ho fatto male? Oh mio dio scusami, scusami tanto, non so neanche se parli la mia lingua e se capisci ciò che sto dicendo, probabilmente sarai tedesca e parli una lingua che, senza offesa, mi sembra peggio dell'arabo e ..." Guardai per tutto il tempo quel ragazzo che continuava a blaterare in preda all'ansia frasi assurde, ma alla sua ultima affermazione scoppiai a ridere quasi con le lacrime.

"Ahh! Quindi mi capisci! Grazie a dio, davvero scusami scusami!" Continuava a scusarsi in un modo molto carino e imbarazzato, faceva tenerezza. Probabilmente è più grande di me di qualche anno.
Per fortuna mia madre fin da piccola mi parlò inglese ed è per questo che riuscì a capirlo.
È un bel ragazzo comunque, capelli castani spettinati e occhi come il cielo, minuto e con delle gambe che facevano invidia alle mie.

"Non preoccuparti non mi sono fatta male" gli sorrisi e lui ricambiò con un sorriso smagliante.

"Ah menomale, io sono Louis piacere!"
Mi tese la mano e -"Lydia"- risposi accettandola.
"Allora anche tu sei inglese, sei la prima che incontro da quando sono atterrato, pensavo di essere atterrato in Cina! È pieno di cinesi!"
Risi di gusto

"In realtà sono Italiana, ma conosco la tua lingua"
"Italiana? Figo! Sono stato a Milano qualche anno fà... È carina. Forse troppa nebbia ma è carina" mi sorrise.

"Loueh muoviti che perdiamo il bus" urló un ragazzo altissimo e riccio sulla soglia del bagno richiamando il suo amico.

"Arrivo Haz! Scusami devo andare. Bhe che dire è stato un piacevole e veloce incontro. Scusami ancora per la spinta!" Mi disse mentre si incamminó velocemente verso l'uscita salutandomi con la mano.

"Anche per me!" Urlai a mia volta.

Raggiunsi il mio gruppo, trovando un esemplare maschio di Lele frustato dal fatto che gli abbia lasciato tutte le mie cose ed essere scomparsa in bagno per ben dieci minuti.

Indossai il giacchetto, misi lo zaino in spalla e presi con nonchalance l'enorme valigia che il mio migliore amico aveva, gentilmente, tenuto d'occhio.

Riusciti a sopravvivere a tutta quella gente all'interno dell'aeroporto, raggiungemmo il bus che ci avrebbe portato finalmente in albergo.
Diedi all'autista il mio bagaglio e salí, seguita da Lele. Ci sedemmo agli ultimi posti e io, ovviamente, ero dalla parte del finestrino.
Indossai una cuffietta e diedi l'altra a Lele che nel frattempo aveva posato i nostri giacchetti sul soppalco sopra la nostra testa. Si appoggiò sulla mia spalla ed entrambi reclinammo i sedili indietro.

Non ricordo di aver sentito il bus muoversi, a quanto pare la stanchezza aveva preso il sopravvento prima.

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