Unexpected neighbor

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Un timido raggio di sole entrò dalla finestra a riscaldarmi il viso e mi svegliò. Appena aprii gli occhi, ancora stordita dal lungo sonno, ci misi un po' a rendermi conto di dove fossi. Misi a fuoco il grande televisore a schermo piatto davanti a me, la porta della cabina armadio alla mia sinistra e il resto della stanza. Ero davvero lì, non avevo sognato. Ero davvero stata lasciata in aeroporto, ero davvero partita ed ero davvero nella mia dependance.

Cercai a tastoni gli occhiali sul comodino e li infilai. Il telefono lo avevo abbandonato la sera prima sul letto e lo ritrovai sul bordo opposto a dove stavo dormendo io, in bilico. Lo presi e lo connessi al Wi-Fi. Non accedevo a Whatsapp da un giorno intero e di fatti mi ritrovai sommersa di messaggi. Tutte le mie amiche mi avevano scritto, per assicurarsi che stessi bene. Piuttosto che rispondere singolarmente, le aggiornai sui vari gruppi che avevamo in comune e poi lo notai. Faceva timidamente capolino tra la lista infinita di messaggi non letti: il nome di Andrea.

"Come stai? – diceva – Sei arrivata?"

Mi si riempirono gli occhi di lacrime e decisi di non rispondere. Mi alzai dal letto. Dovevo vedere gente, distrarmi. Ancora in pigiama indossai il cappotto e uscì dalla dependance, per raggiungere la famiglia in casa. Nel cortile di ingresso notai una macchina in più, piccola e bianca. Suonai il campanello.

"Chiara, cosa ci fai qui? – fece Katy, rivolgendomi un ampio sorriso – C'è la porta sul retro, puoi entrare direttamente da lì. Anzi, devo darti un mazzo di chiavi, anche perché la notte la chiudo. Ma a questo ci pensiamo dopo. Entra, – disse poggiandomi delicatamente la mano sulla spalla – ho appena finito di preparare la colazione, sei arrivata giusto in tempo."

La casa era meravigliosa. A destra vi era un ampio salotto, con una grande scala a chiocciola, in legno chiaro, che portava alle stanze al piano di sopra. A sinistra la cucina, che si connetteva al salotto tramite un area dedicata al pranzo. Era quasi sprovvista di tramezzi, ma gli spazi erano perfettamente studiati. L'arredamento era basico e moderno e vivacizzato dai colorati giochi dei bambini, sparsi qua e là.

Mentre mi dirigevo verso la cucina, Jack mi corse incontro per festeggiare il mio arrivo.

"Ciao cucciolo! – dissi con voce stridula, accarezzandolo – Buongiorno, ma buongiorno!"

"Sui pancakes preferisci cioccolato o sciroppo d'acero?" chiese Katy, brandendo due bottiglioni.

"Cioccolato, al diavolo i brufoli!"

"Ma sì, fai bene! Bambini! – fece lei, urlando verso il salotto – C'è Chiara qui, venite a salutarla. Ed è pronta la colazione."

Phil e Lexie arrivarono sgambettando, ancora in pigiama. Erano adorabili. Erano entrambi biondicci, capelli fini e lisci ed occhi incredibilmente azzurri. Erano praticamente identici e si sarebbe potuto tranquillamente pensare che fossero gemelli. Mi diedero un tenero bacio sulla guancia e si arrampicarono sui trespoli, per raggiungere il piatto sul tavolo alto da colazione.

"Beh!? Dormito bene?"

"Meravigliosamente! – risposi io mimando una faccia rilassata – Il letto è comodissimo!"

"Bene, sono contenta che ti piaccia. Ah, mi sono dimenticata che lì non ci sono tende, se ne hai bisogno dimmi pure, non farti problemi."

"No, ma tranquilla. Tanto le uniche finestre che si affacciano su altre case che non siano questa, sono quelle di destra. Evito semplicemente di cambiarmi di fronte a quelle, così mi risparmio di regalare spettacolini poco decorosi al vicino. – nominandolo mi venne in mente la scena della sera precedente e decisi di raccontarla – A proposito, ieri l'ho intravisto! E mi ha anche salutato. Ma non sono riuscita a vedere la faccia..."

London's callingDove le storie prendono vita. Scoprilo ora