Protezione - Capitolo 1

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If I could tear you from the ceiling
I know best have tried

I'd fill your every breath with meaning
and find a place we both could hide

Placebo – "Blind"

Se potessi strapparti dal cielo
so che i migliori ci hanno già provato
riempirei di significato ogni tuo respiro
e troverei un posto che entrambi potremmo nascondere.

Placebo – "Blind"


Aprile 2012- Capitolo 1


Quando entrò nella piccola cucina del suo appartamento, Sofia preparò il caffè con una vecchia moka d'acciaio e si sedette, aspettando che fosse pronto. Appoggiò i gomiti al tavolo e il mento sulle mani, sospirando sconsolata.
Lanciò un'occhiata tralice al libro di Biochimica posato di fronte a lei, dalla cui copertina l'immagine di una molecola d'acqua sembrava rimproverarla, con quei piccoli atomi di idrogeno che parevano orecchie.
«Ti odio» ringhiò al libro, «Ma giuro che ti imparerò.»
«Cosa?» chiese una ragazza dal salotto.
Sofia sospirò e gridò: «Niente. Parlavo con il libro di Biochimica.»
La sua coinquilina entrò in cucina, avvolta in una nube di Chanel che quasi la stordì.
«Ti è caduto il profumo addosso o era intenzionale?» le chiese, sbuffando.
La ragazza agitò la mano con noncuranza.
«L'olfatto è importante, Sissi. È uno dei sensi con cui gli uomini scelgono la loro compagna.»
«Fammi capire, Sam» la sfotté, appoggiando la schiena allo schienale della sedia in legno e paglia, «Stai andando ad un colloquio di lavoro o a rimorchiare?»
Samantha era la sua coinquilina, compagna di corso e, suo malgrado, unica amica. Aveva corti riccioli biondi attorno ad un viso talmente bello che era in grado di imbambolare tutti i produttori di testosterone del pianeta.
Ovviamente, attaccato ad un viso del genere, poteva esserci soltanto un corpo da favola. Samantha era una di quelle rare ragazze che non aveva mai bisogno di provare niente nei negozi: il più insulso degli stracci le cadeva addosso come un abito di sartoria.
Quel pomeriggio, per il suo colloquio di lavoro alla GILDA farmaceutici, aveva deciso di indossare un decisamente poco sobrio abitino di lana lilla e degli stivaletti con tacco a spillo da tredici centimetri.
«Fare un colloquio è come rimorchiare» le rispose, «Devi
conquistarli, ammaliarli, fargli pensare "si, l'assumo, così potrò scoparla".»
Aprì il frigorifero e prese uno dei suoi yogurt light; praticamente si nutriva soltanto di quella robaccia insapore e inodore che aveva un apporto calorico in negativo.
«Spero che tu dica queste cose soltanto a me» sorrise Sofia, «Altrimenti potrebbero pensare che sei una disinibita puttanella.»
Samantha ridacchiò, aprendo lo yogurt e leccando la carta prima di gettarla nel sacchetto accanto al frigorifero.
La moka borbottò e Sofia spense il fornello, versando il caffè bollente in una tazzina.
«Domani andiamo a prendere la mia macchina nuova e poi a studiare a casa di Giorgio» le disse Samantha, «Perché non prendi uno dei miei vestiti da puttanella? Così magari Marco ti guarderà.»
Sofia sbuffò, sedendosi di nuovo.
«Non voglio che Marco mi guardi. E non so più come devo dirtelo.»
Samantha affondò il cucchiaino nello yogurt, scuotendo la testa e facendo ondeggiare i suoi riccioli dorati. Poi leccò il cucchiaino, assaporando lo spuntino insapore, e lo puntò verso di lei.
«Tu hai bisogno di essere sbattuta con ferocia, tesoro. E Marco può fare al caso tuo.»
Sofia scoppiò a ridere, facendosi andare il caffè di traverso. Tossì un paio di volte, battendosi la mano sul petto.
«Tu sei pazza!» l'accusò, tra un colpo di tosse e l'altro.
Samantha alzò teatralmente gli occhi al soffitto.
«Non sono pazza, sono realista. Quando è stata la tua ultima volta?» Sofia aprì la bocca per rispondere, ma l'altra la precedette, «Si, con Riccardo. Sei mesi fa» inarcò le sopracciglia annoiata e sventolò il cucchiaino per sottolineare le sue parole, «Grande storia d'amore, l'uomo della tua vita, ma si è scopato l'assistente di laboratorio, tante lacrime, bla bla bla.» Strinse gli occhi azzurri a guardarla, «Tu non fai sesso da sei mesi. Se un ginecologo ti visitasse in questo momento, la tua vagina lo morderebbe per quanto è affamata di cazzo.»
«Oh buon Dio!» esclamò Sofia alzandosi in piedi e posando la tazzina vuota nel lavandino, «Sam, smettila!»
Samantha rise della sua espressione scandalizzata e guardò l'orologio, prima di dire:
«Mi piacerebbe continuare la nostra chiacchierata da peschereccio, ma devo andare. Tu lavori stasera?»
Sofia si sciacquò le mani.
«Sì. Ma è giovedì, non dovrei fare tardi.»
E mentre Sam portava la nube di Chanel fuori dall'appartamento, Sofia entrò nel piccolo bagno.
Si fece una doccia veloce, riflettendo su quello che le aveva detto la sua coinquilina.
Samantha era decisamente cruda, per certi versi un po' rustica, ma su una cosa aveva ragione: aveva bisogno di essere sbattuta ferocemente. Solo che Sofia non ci riusciva proprio.
Non che non provasse quell'istinto innato alla riproduzione, anzi, il sesso le piaceva eccome.
Ma aveva preso troppi colpi in testa e coltellate nella schiena per avere voglia di lasciarsi andare di nuovo.
Il suo primo vero ragazzo, Giulio, era durato ben due anni: alla fine l'aveva lasciata, accusandola di aver passato troppo tempo sui libri e non averne dedicato abbastanza a lui.
Lei aveva pianto, aveva affogato il dolore in un paio di sbronze e un'infinità di libri, ma si era rialzata.
Allora, aveva creduto che uno studente di Medicina come lei avrebbe potuto capire i suoi orari, le sue necessità. Ma dopo un anno insieme, Riccardo era andato a letto con l'assistente di laboratorio. Nel laboratorio.
Sofia non aveva più toccato il piano di lavoro sotto la cappa per parecchie settimane dopo averli beccati.
Si scrutò con occhio critico nel riflesso dello specchio sopra il lavandino.
Aveva lunghi capelli neri e mossi, e un viso rotondo, con le labbra carnose e grandi occhi nocciola.
Era in forma, anche se non magra come Samantha: aveva seni piccoli e sodi e i fianchi larghi tipicamente mediterranei. Si mise di profilo per osservare la linea piatta del ventre.
E va bene; un po' di palestra forse non le avrebbe fatto male, ma il fatto di non sembrare un fuscello quando si guardava di lato non poteva essere una buona motivazione per mangiare il cibo retrocalorico della sua coinquilina.
Tutto sommato, era molto carina.
Certo, avrebbe potuto curarsi di più: gli occhiali da lettura che teneva come cerchietto tra i capelli, abbinati agli abiti sformati e comodissimi che tanto le piacevano, non erano proprio la tenuta da rimorchio che le avrebbe consigliato Samantha, ma non era disposta a rinunciare alla sua personalità per trovarsi un uomo.
Si voltò di nuovo per essere di fronte allo specchio e si accarezzò il ventre.
Tra l'ombelico e l'anca, nel suo incarnato olivastro, spiccava una grande voglia bianca.
Era a forma di sole.
Quello era l'unico indizio che aveva su suo padre.
Sua madre era stata violentata durante una festa sulla spiaggia.
Di tanto in tanto, quando si ubriacava, le raccontava la strana storia di un uomo arrivato dal mare, che con la pelle ancora bagnata l'aveva stuprata e poi era scomparso tra le onde.
Sofia aveva sempre creduto che sua madre fosse sotto l'effetto di chissà quale stupefacente, ragion per cui ricordava in quel modo quello strano evento. Tuttavia, non le aveva mai fatto una colpa di niente.
Quella donna si era sobbarcata tutte le difficoltà di una vita da ragazza madre, quando negli anni '80 in un piccolo paesino in provincia di Lecce restare incinta a sedici anni era di gran lunga peggio che commettere un omicidio.
Perciò, se ogni tanto aveva avuto voglia di affogare i brutti ricordi in una bottiglia di vino, chi era lei per dirle di non farlo?
Comunque, sua madre diceva che quella voglia doveva averla ereditata sicuramente da lui, perché nella sua famiglia nessuno aveva macchie del genere.
Sospirò, decidendo finalmente di vestirsi.
Era inutile perdere tempo a rimuginare su cose inutili, lei aveva degli obiettivi: altri tre anni ed avrebbe realizzato il sogno della sua vita. Sarebbe diventata un medico a soli ventiquattro anni e ci sarebbe riuscita soltanto con le proprie forze, come aveva sempre voluto.
Si era pagata gli studi da sola, si era mantenuta in quel paesino vicino Roma senza mai chiedere nemmeno un euro a sua madre.
Era orgogliosa di se stessa.
Infilò i jeans aderenti e la t-shirt nera che il suo datore di lavoro le aveva imposto, comode scarpe da tennis nere, abbastanza malandate, e legò i capelli in una coda alta.
Afferrò il giubbotto in piuma d'oca e la tracolla di stoffa. Percorse il brevissimo corridoio che separava la sua camera e quella di Samantha dal salotto ed uscì dalla porta d'ingresso.
Attraversò il giardino guardandosi intorno con circospezione: da qualche parte si nascondeva il malefico gatto rosso di Samantha. Quel maledetto amava tendere agguati alle gambe di chiunque si avventurasse nel suo territorio. Eccetto Samantha, ovviamente. Anche i gatti avevano timore di rovinare quelle splendide gambe da modella.
Quando raggiunse incolume il cancelletto sospirò di sollievo e se lo chiuse alle spalle, preparandosi a camminare per i tre chilometri che la separavano dal pub in cui lavorava.

La Chiave di Poseidone - L'Esercito degli Dei #1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora