Capitolo 5

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Sofia era in piedi accanto al bancone del bar dello Sheraton Hotel.
Samantha le aveva prestato uno dei suoi abiti da puttanella, in raso rosso.
Su Sam cadeva benissimo, ovviamente, ma indosso a lei, le sembrava che fosse decisamente troppo aderente. In più, abbinato alle decolleté nere tacco dodici con plateu che aveva ai piedi, si sentiva davvero a disagio.
Aveva proposto a Samantha di indossare delle ballerine, ma la sua coinquilina non aveva neppure preso in considerazione il suggerimento.
«Ballerine!» aveva esclamato con disgusto, «Poi che altro? Indossiamo intimo color carne e smettiamo di usare il sapone?»
Comunque, al di là della fase preparatoria, che aveva comportato una terrificante sessione di depilazione con cera bollente lì dove Sofia credeva che la cera bollente non l'avrebbe mai sfiorata in tutta la sua vita, e un paio d'ore sotto le mani esperte di Samantha che avevano trasformato i suoi capelli scuri da cespuglio rigoglioso a veri e femminili boccoli, non era stato troppo difficile.
Sam l'aveva accompagnata allo Sheraton con la sua Citroen nuova di concessionario, le aveva dato le ultime raccomandazioni e un bacio sulla fronte.
Il giorno prima, aveva ricevuto l'ultima mail da D. Nemmeno una parola: soltanto il suo numero di telefono.
Sofia gli aveva chiesto come avrebbe fatto a riconoscerlo ma lui non si era degnato neppure di rispondere.
Comunque, grazie alle fotografie lui conosceva il suo aspetto perciò immaginò che l'avrebbe trovata da solo.
Solo che la situazione era incredibilmente imbarazzante.
Quel bar era pieno di uomini. Lei era vestita come un'arrampicatrice sociale a caccia dell'ultima preda, perciò tutti la stavano guardando.
E non sapeva chi dovesse aspettarsi, non aveva neppure un indizio.
Il risultato era che Sofia se ne stava in piedi accanto agli sgabelli sorseggiando un bicchiere d'acqua tonica e, per paura di sembrare maleducata e non salutare quello giusto, rivolgeva un sorriso ebete a chiunque la guardasse.
Controllò nervosamente l'orologio di Swarovski che aveva al polso, altro prestito di Sam.
Erano le 20.10.
Quel gran maleducato era in ritardo.
Tirò fuori lo smartphone dalla pochette paillettata e scrisse un sms.

Far attendere una signora è scortese. Stai confermando le mie accuse. Sofia.

Tenne il telefono in mano, aspettando una risposta e continuando a guardarsi intorno.
Dopo altri cinque minuti, sbuffò.
Si voltò verso il barista, chiedendo un'altra acqua tonica. E mentre l'uomo la serviva, una voce bassa e calda, dietro di lei, disse:
«Ciao, Sofia.»
Sofia si voltò di scatto, tanto da inciampare in quei maledetti tacchi, ma delle braccia forti la sorressero.
Era un ragazzo.
Alto, spalle larghe sotto la giacca blu. Indossava dei jeans e una maglia bianca con lo scollo a V.
Aveva i capelli neri, cortissimi, stile militare. La mandibola pronunciata e labbra carnose e morbide, strette in un'espressione infastidita. Folte sopracciglia scure su un paio d'occhi straordinari.
Uno era blu scuro, come mare in tempesta, e uno verde, del colore brillante degli smeraldi.
Era incredibilmente bello.
«Ciao» Sofia quasi balbettò, mentre lui la lasciava andare.
«Piacere, Damian» le disse, tendendo la mano grande, con lunghe dita forti e affusolate.
Sofia la strinse, continuando a fissarlo. Non poteva credere ai propri occhi.
Si aspettava un imprenditore sulla quarantina, magari brizzolato e sufficientemente bruttino da essere costretto a pagare una donna.
Quello splendido gladiatore che le stava di fronte non aveva proprio l'aria di uno che necessitasse di prostitute.
Lui strinse leggermente gli occhi, guardandola, e le chiese:
«Sofia, pensi di chiudere la bocca e ridarmi la mano?»
Sofia si riscosse.
Lasciò andare la sua mano ed arrossì vistosamente, sfoggiando un sorriso imbarazzato.
«Scusami. Ma sei diverso da come ti avevo immaginato.»
Damian inarcò un sopracciglio.
«Ci credo.»
«Puoi chiamarmi Sissi.»
Lui la scrutò per un momento, poi inclinò lievemente la testa di lato.
«No. Sofia mi piace di più.»
Lei abbassò lo sguardo: non riusciva a liberarsi di quel maledetto imbarazzo.
Di colpo ricordò le raccomandazioni di Samantha e si raddrizzò, chiedendo:
«Hai i soldi?»
Damian annuì, tirando fuori da una tasca interna della giacca una busta da lettere molto voluminosa. Sofia la prese e la infilò nella pochette, mentre lui la squadrava dall'alto in basso, soffermandosi sulla gonna corta e le scarpe col tacco.
«Sei carina» commentò, ma senza entusiasmo.
Sofia strinse le labbra infastidita da quel complimento atono.
«Grazie» mugugnò.
E Damian aggiunse: «Starai scomoda.»
Sofia lo fissò senza capire e lui indicò l'ingresso dell'albergo con un cenno della testa.
«Andiamo» ordinò, incamminandosi.
Sofia guardò la sua schiena ampia sotto la giacca mentre lui camminava verso l'uscita e stentava a credere a quello che stesse accadendo.
Quello stronzo non si era nemmeno sprecato a sorridere.
Va bene che non era un appuntamento, che era un contratto di lavoro, ma questo non significava che lui non potesse sforzarsi almeno di renderlo gradevole.
Sospirò e lo seguì.
Era costretta a camminare dietro di lui a testa bassa, controllando bene dove stesse per mettere i piedi: quei maledetti tacchi la rendevano instabile, neanche fossero trampoli.
Attraversò le porte automatiche ed arrivò al limite del marciapiede, alzando lo sguardo.
La sua bocca si aprì di nuovo.
Di fronte a lei c'era un cavallo.
Sulla groppa una grande sella di cuoio nero e un dipendente dell'albergo lo teneva per le redini.
Scomoda
era un pallido eufemismo per definire un viaggio a cavallo.
Il cavallo sbuffò e batté a terra uno zoccolo, annoiato.
Sofia continuò a fissare l'animale, fin quando Damian, alla sua destra, la chiamò.
Si voltò a guardarlo: era in piedi accanto ad una gigantesca Ducati nera. Aveva in mano due caschi integrali.
Con gli splendidi occhi diversi luminosi di divertimento, inarcò un sopracciglio e con un cenno della testa indicò la moto.
Sofia si inumidì le labbra, ben sapendo di essere arrossita di nuovo.
Si avvicinò e il volto di Damian si aprì in un sorriso che avrebbe fatto cadere le mutande ad un comizio di femministe agguerrite.
«Pensavo di andare in moto» le disse, «Ma se lo preferisci, posso procurarmene uno.»
Sofia sentì le orecchie bruciare. Merda, doveva essere diventata viola.
«No, grazie» rispose, cercando di darsi un tono e strappandogli di mano il casco, «La moto va benissimo.»
Si nascose dietro la visiera ed aspettò che lui salisse e togliesse il cavalletto.
Accese il motore e la Ducati ruggì.
Sofia gli appoggiò una mano sulla spalla e si issò dietro di lui, ringraziando il cielo di essere riuscita a sedersi senza cadere.
«Tieniti» ordinò.
E quella fu l'ultima parola che gli sentì dire: partì con uno stridio di gomme e Sofia gli passò le braccia intorno al torace, stringendo con forza.
Il vento le sferzava le gambe, coperte soltanto dalle calze leggere. Gli gridò di rallentare, ma Damian non sembrò averla sentita.
Quando si immise sul Grande Raccordo Anulare, accelerò ancora di più e Sofia chiuse gli occhi.
Non voleva guardare il camion contro cui si sarebbero frantumati. O il guardrail. O qualunque altra cosa l'avrebbe uccisa.
Per fortuna, invece, abbandonarono il Raccordo incolumi e quando raggiunsero il centro di Roma, Sofia si sentì abbastanza al sicuro per allentare un po' la presa attorno al suo busto. Allora le arrivò il suo profumo.
Muschio e sigarette. Era buonissimo. Ma per un tipo del genere era scontato che lo fosse.
Arrivarono di fronte al Bernini Bristol e Damian spense il motore. Lasciò che fosse lei la prima a scendere, poi diede entrambi i caschi e le chiavi della moto al ragazzo in divisa che aspettava.
Sofia si voltò a guardare incantata Piazza Barberini.
La Fontana del Tritone era illuminata da fari gialli e il marmo bianco splendeva in tutta la sua lucentezza. Era magica.
«Ti piace?» chiese Damian affiancandola, sempre con quella fastidiosa atonia.
«Beh, a chi non piace il Tritone del Bernini?» ribatté.
Damian strinse gli occhi e si morse l'interno del labbro inferiore, prima di dire:
«È da maleducati rispondere ad una domanda con un'altra domanda.»
Sofia gli lanciò un'occhiata seccata. Lui non le diede tempo di rispondere, afferrandole un gomito e spingendola con delicatezza dentro l'albergo, ma le sembrò di scorgere un altro accenno di divertimento in quegli occhi incantevoli.
Avrebbero cenato in camera: Damian aveva affittato la suite presidenziale, che era sfarzosa senza alcun ritegno.
Quando vide il tavolo, Sofia rimase per l'ennesima volta a bocca aperta.
Erano su una splendida terrazza da cui potevano vedere tutta Roma, comprese le bellissime luci di Piazza San Pietro. C'era persino una piscina privata, illuminata da luci colorate.
«Che spettacolo» mormorò incantata, mentre si sedeva al tavolo dalla lunga tovaglia immacolata.
Damian si sedette di fronte a lei. Lanciò un'occhiata distratta al panorama, continuando a scrutare la ragazza.
Era diversa da quella che mostravano le fotografie. Non sembrava affatto così disinibita ed era un po' più formosa di quanto apparisse online.
Ad ogni modo, era uno schianto.
I lunghi boccoli neri erano lucenti ed il viso rotondo aveva un'aria così sincera, così ingenua, che stonava decisamente con gli abiti succinti ed il forzato atteggiamento spavaldo.
Non aveva affatto l'aria di una escort.
E poi aveva quel profumo straordinario. Profumava di oceano, di salsedine. Era un odore così celestiale, così puro, che lo stava mandando su di giri.
Sofia portò di nuovo gli occhi sul suo cliente.
La schiena appoggiata alla sedia, le mani sul tavolo. Aveva aperto la giacca e anche se la maglia bianca non era aderente, s'intuiva perfettamente il fisico curato e deliziosamente tonico che c'era sotto.
Non appena lei si era voltata a guardarlo, lui aveva ricominciato a fissare il panorama. Come se lei non gli interessasse affatto.
Ma che senso aveva comprarla per poi non darle attenzione?
E dopo lunghi, faticosissimi attimi di silenzio, Sofia non ce la faceva più.
«Sei di Roma?» gli chiese, tanto per rompere il ghiaccio.
Damian si voltò di nuovo: ogni volta che posava quegli occhi diversi su di lei, Sofia sentiva dei brividi caldi percorrerle la schiena.
E la cosa peggiore era che non si trattava di brividi di disgusto. Né di paura.
«No» rispose, continuando a fissarla.
Sofia rimase in silenzio, aspettando che lui aggiungesse qualcos'altro.
Damian era impassibile. Soltanto qualcosa nei suoi occhi e una leggerissima incurvatura delle splendide labbra carnose tradiva il suo divertimento.
Quel puttaniere si stava divertendo a metterla in imbarazzo.
Sofia sentì che stava arrossendo di nuovo. Aprì la bocca per dirgli che poteva anche sforzarsi di metterla a proprio agio, quando lui sospirò.
«Tu invece? Sei di Roma?»
Decise di apprezzare il falso tentativo di fare conversazione.
«No. Vivevo vicino a Gallipoli, sono venuta qui per studiare.»
«E cosa studi?»
«Medicina.»
«Impegnativo» disse, piatto.
In quel momento il cameriere si avvicinò portando il vino. Dopo una lunga e attenta procedura per l'apertura, che comprese un balletto di cenni e movimenti del capo tra Damian e il cameriere, finalmente anche a Sofia fu riempito il bicchiere.
Lo scolò quasi tutto d'un sorso, pregando che l'alcool l'aiutasse a gestire quella serata. D'altronde, se la birra poteva farla andare a letto con Marco, forse una bottiglia di vino poteva spingerla a prostituirsi.
«Ho già ordinato» disse Damian, «Ti dispiace?»
Sofia inarcò le sopracciglia, sorpresa.
«Oh... no, va bene» farfugliò.
«Carne. Va bene?»
«Certo.»
Lui annuì e sorseggiò un po' di vino.
Sofia prese in mano il bicchiere mezzo vuoto e, con aria ironica, chiese:
«Troppe parole di fila? Devi riprendere fiato?»
E allora il suo meraviglioso volto si illuminò di un mezzo sorriso.
«Non sono uno di compagnia» ammise.
Sofia sorrise.
«E alle domande rispondi?»
Lui arricciò le labbra.
«Dipende. Che vuoi sapere?»
Sofia appoggiò i gomiti sul tavolo, sporgendosi un po' per sussurrare:
«Posso sapere perché uno come te vuole una escort?» Damian abbassò lo sguardo sul tovagliolo e Sofia insisté: «Insomma, non mi sembri uno che ha bisogno di pagare per avere una donna.»
Damian giocherellò con la punta delle posate. Aveva delle mani veramente ben fatte.
«Con il lavoro che faccio, non ho modo di conoscere molte donne.»
«E che lavoro fai?»
Damian sollevò gli occhi su di lei, che rabbrividì.
«Lo scoprirai.» Sollevò il calice e ne fece oscillare il vino all'interno, poi le chiese: «Fai questo da tanto?»
Sofia sperò di non arrossire troppo mentre ostentava tutta la sicurezza di cui fosse capace e rispondeva:
«Abbastanza.»
Damian strinse un po' gli occhi diversi, scrutandola. Finse di non essersi accorto della bugia.
«E ti piace?»
Sofia alzò gli occhi al cielo notturno, annoiata.
«Lo faccio per soldi, non per piacere.»
Lui inarcò un sopracciglio e le rivolse un'occhiata maliziosa, in un'espressione così sexy che Sofia accavallò le gambe e si costrinse a pensare a qualcos'altro. Damian si appoggiò allo schienale della sedia con aria rilassata.
«E allora non ti dispiacerà succhiarmelo un po' prima dell'antipasto.»
Lei spalancò gli occhi nocciola e sentì il viso avvampare.
«Cosa?»
Le fece l'occhiolino e a Sofia si mozzò il respiro.
«Ehi, per cinquemila euro, un pompino è il minimo.»
Sofia incrociò le braccia sul petto. Non era pronta a questo. Credeva di avere ancora il tempo della cena.
«Ci sono i camerieri» protestò.
«Mi piace avere pubblico» arricciò il naso, in un sorriso insolente «Se sarai brava, magari ti faranno anche la hola.»
Sofia si raddrizzò di colpo sulla sedia
«Scordatelo» sibilò.
E lui scoppiò a ridere. Aveva una risata piena, ben cadenzata, di quelle che sanno contagiare.
Scosse la testa prima di posare di nuovo gli occhi diversi su di lei.
«Stavo scherzando» le disse, «Non agitarti.»
Sofia prese il bicchiere di vino e se lo portò alle labbra, bevendone un gran sorso.
La sua serie di figuracce sembrava non conoscere fine: se avesse continuato così, sulla sua faccia si sarebbe spaccato qualche capillare, a forza di arrossire.
Damian appoggiò i gomiti sul tavolo e sorrise di nuovo.
«Ma non mentirmi più, splendore. Non sei capace.»
Sofia si morse il labbro inferiore e distolse lo sguardo.
Per fortuna, il cameriere la salvò portando loro gli antipasti.
E mentre lei affondava con forza la forchetta in un'oliva ascolana, Damian le chiese:
«Quella cosa che hai sulla pancia, sai cos'è?»
Sofia alzò le spalle senza nemmeno guardarlo.
«È una voglia.»
«È particolare» commentò, masticando.
«Sì. È a forma di sole.»
Il cameriere tornò all'improvviso con due flûte e un viso preoccupato.
«Scusate» disse, «Ho dimenticato di servire lo champagne che avevate chiesto.»
«Non fa niente» disse Damian, gelido.
Il cameriere posò un flûte dal vetro rosato di fronte a Sofia e uno dal vetro più scuro di fronte a Damian.
Lui lo sollevò nella mano, tendendolo verso di lei.
«Al nostro weekend, allora» disse, secco.
Sofia sollevò gli zigomi cercando di sembrare cordiale e fece tintinnare il flûte contro il suo.
«Al weekend» disse.
Mandò giù una grossa sorsata di champagne, accorgendosi solo troppo tardi che non le piaceva.
Resistette alla tentazione di tirare fuori la lingua e scuotere la testa. Con garbo posò il bicchiere sul tavolo ed impugnò di nuovo la forchetta.
Abbassò lo sguardo sul piatto e di colpo le sembrò che tutto si muovesse. Non riusciva nemmeno a posare la forchetta sul tavolo.
«C'è qualcosa che non va» mormorò, spingendosi con la schiena contro la sedia.
Tutto intorno a lei ruotava, vorticava e sembrava cambiare colore.
«Sofia, sta' tranquilla» la voce di Damian era distante, lontana anni luce.
«Non mi sento bene» disse, prima che i suoi occhi si chiudessero e il buio l'avvolgesse.

La Chiave di Poseidone - L'Esercito degli Dei #1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora