Le strade sono vuote, non passa quasi nessuno tranne qualche macchina ogni cinque minuti. È domenica pomeriggio e immagino tutte le famiglie riunite intorno a tavoli imbanditi, pieni di cibo delizioso e sorrisi sinceri.A casa mia non è mai così, non ci sono sorrisi sinceri da quando quattro anni fa ci siamo trasferiti nuovamente in Corea a causa del lavoro di mio padre. Non sono mai voluto andare via da Orlando, non ho mai digerito quel trasferimento.
Da quel giorno ho perso tutti i miei amici più cari; alcuni di loro non li sento da molto tempo, altri sono ancora in contatto con me ma non è più come una volta. In quattro anni della nostra vita siamo cambiati e non abbiamo vissuto a pieno ogni trasformazione avvenuta in noi. Non è come crescere insieme nella stessa città, con le stesse abitudini e con gli stessi programmi. Il fuso orario ci divide ancora di più. Forse è proprio a causa di questo trasferimento che mi sono chiuso in me stesso e non ho più avuto il coraggio di farmi nuovi amici.
Forse è per questo che non riesco ad essere sinceramente felice a tavola o dopo scuola quando ritorno a casa.Ogni volta che varco quella porta e vedo mia madre in cucina che mi sorride e mio padre che non è ancora tornato da lavoro, è come rivivere di nuovo quel trasferimento, è come perdere tutti i miei amici e la mia autostima per mille volte. È arrabbiarsi tante volte per qualcosa che non puoi cambiare. È soffrire costantemente per gli amici che hai perso e per quelli che non riesci a farti. È l'essere lontani dalle persone a cui tieni migliaia di km e poterle vedere solo una volta al giorno su skype. Ed è questo il motivo per cui adesso mi ritrovo per strada a cercare il bar più vicino e a pensare a come sarebbe la mia vita ad Orlando con i miei amici e un sorriso vero sul volto.
Ho le mani nelle tasche e una sciarpa al collo. Cuffie nelle orecchie e desideri nella testa. Trovo finalmente un bar a pochi isolati da casa. Non ci sta quasi nessuno e decido di entrare e sedermi in un tavolo piccolo e in fondo alla sala, un posto nascosto. Prendo l'elenco e comincio a ripetere nella mia testa gli strani nomi che hanno dato a queste bevande calde e fredde. Scelgo un morocchino e lo aspetto con ansia.
Mentre tutto sembra muto fuori, dentro la mia testa risuona la melodia di Echo di Jason Walker e una folla inaspettata di pensieri che si espande. È come sentirsi più solo ad ogni parola pronunciata e mi sento spento e indifeso. Sento il cuore battere più forte e i ricordi tornare indietro come un boomerang che qualche anno prima avevo lanciato. Sam, Melodie, Mino, Dean e Kurt.
Ad ogni nome sento come se mi svuotassi sempre di più, mi sento un sacco pieno che pian piano comincia a perdere contenuto. La canzone finisce e senza pensarci troppo spengo l'mp3 e lo poso nel mio zaino.Sento il rumore della porta di legno chiudersi e qualcuno entrare. Jimin con i suoi skinny jeans neri e strappati in entrambe le ginocchia, con una maglia comoda quasi troppo grande su di lui e delle cuffie alle orecchie. Le sfila subito dopo e le aggroviglia dentro la tasca posteriore dei suoi jeans.
I suoi occhi hanno l'aspetto di chi ha pianto, rossi e gonfi ma non troppo, e il suo viso pallido sembra essere più bianco del solito. Si siede in un tavolo con una sola sedia lontano da me e sono felice che non abbia ancora notato che non è solo in questo bar. Non riesco a scrollargli gli occhi di dosso e seguo ogni suo movimento; sembra come se ad un tratto tutta la mia timidezza si fosse nascosta nella parte più insidiosa di me.
Si passa una mano tra i capelli luminosi e morbidi mentre guarda quello strano elenco e appena arriva il cameriere ordina un morocchino. Sorrido leggermente alla sua ordinazione.
Arriva il cameriere al tavolo con la mia richiesta e sorrido per la gentilezza con cui svolge il suo lavoro, dico grazie e poggio il conto sul vassoio. Guardo quello che ho ordinato e ne assaggio un po', mi stupisco di come sia buono e ne prendo un altro sorso. Alzo gli occhi verso il tavolo in cui Jimin è seduto e sorrido quasi senza accorgemene quando noto che mi sta guardando.
Comincio a sentire caldo e immagino di avere le guance rosse dall'imbarazzo. Guarda senza distrarsi e dopo un attimo sorride anche lui a labbra strette quasi intimorito da quale sarà la mia reazione successiva. Rigetto lo sguardo nel morocchino e lo finisco ma decido di restare un altro po' per assaporare qualche dettaglio in più su Jimin.
E noto di quando sia perfetta la linea della sua mascella e la curva del suo collo. Osservo con cura il modo in cui beve il suo morocchino sorseggiando piano e senza avere fretta come se volesse che quel momento fosse infinito. Alza di nuovo gli occhi verso di me e si accorge che lo sto guardando ancora e non ho voglia di distogliere i miei occhi da lui. Sorride di nuovo, leggermente, in un modo quasi impercettibile dalla mia posizione. Eppure me ne rendo conto e ne sono felice come un bambino che riceve il regalo che vuole da sempre a Natale.
Mi basta distogliere lo sguardo per uno o due minuti e Jimin scompare. Mi rigiro sulla mia sedia cercando di trovarlo con lo sguardo ma non ci riesco, sbuffo poggiando entrambi i gomiti sul tavolo.
Mi alzo dal mio posto e raggiungo quello in cui era seduto il ragazzo. Un pezzo di carta ruvida piegato in due incornicia il tavolo. Una X è incisa con una penna nera sopra il tovagliolino bianco.
La mia curiosità mi porta ad aprire quel pezzo di carta colorato da poche parole: Sapevo che l'avresti aperto, Taehyung.

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you complete mess // vmin
FanficAvevo dimenticato di stare male ed era solo grazie al suo sorriso e alle sue braccia aggangiate sicure attorno al mio gracile corpo. "Se stessi per cadere avrei qualcuno che sarebbe pronto a prendermi" pensai. E se fossi già sull'orlo di un profon...