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12 Novembre 2113

Il continuo bisbigliare non sembrava placare nell'aula. Tutti i coetanei erano rannicchiati in un piccolo gruppetto; ormai si sapeva bene su che cosa parlavano. Parlavano ecco tutto; parlavano e sparlavano di continuo. Alcuni sparlavano così tanto che ridevano, altri addirittura facevano battute squallide.

Era normale tutto questo.
Amy si era abituata a questa buia normalità.
Per Amy andava tutto bene, era la sua vita e solo lei era in grado di prendere decisioni.
Per Amy la normalità positiva, come lei spesso diceva, era disegnare e leggere libri.
La normalità negativa era quella buia, oscura e cattiva; quella dove i suoi coetanei, a lei cari, facevano parte da tempo ormai.

Amy sapeva nascondere bene il suo viso rigato di lacrime dietro a un falso sorriso; si era esercitata per questo.

Chi non poteva conoscere Amy Vlader? Chi non poteva conoscere la ragazza grassa di turno?
Tutto il suo istituto la conosceva, ma lei era felice. Era felice anche se crollava, piangendo nel suo cuscino di notte.
Per lei era una routine.

Amy amava perdersi nei suoi pensieri, immaginare di essere una ragazza migliore.

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Guardava la finestra, ancora una volta persa nei suoi pensieri.
Il suo sguardo lontano, fra l'oscillare irregolare degli alberi provocato dal vento irritato. Il cielo grigio, come se stesse per a piovere.

«Signorina Vlader, stia attenta.» la richiamò il professore.
Lei si voltò e si scusò con esso.

Sentì udire delle ignare risatine.
«Amy non stare nell'isola che non c'è.» Ridacchiò una ragazza.

Amy, chinò la testa sul quaderno ignorando le altre battute dei suoi compagni.
«Grassona svegliati!» Sussurrarono due compagne all'unisono dietro di lei.

Amy stava per esplodere ancora una volta, si trattenne e serrò gli occhi in due cupe fessure. Trattenne anche le lacrime che minacciavano di uscir fuori dagli occhi. Iniziava a tremare dalla tristezza.

«Grassona! Grassona!» ripeterono le sue coetanee.

Amy non si trattenne e scoppiò a piangere, corse via dall'aula ignorando le minacce del professore.
Se ne fregò della nota avuta, se ne fregò.
Scappò nel suo 'rifugio preferito', nello sgabuzzino nascosto dietro un muro.

Le sue lacrime erano irrefrenabili, incontenibili, stracolme di tristezza e rabbia.
«Cos'ho fatto di m-male per meritarmi questo...?» il suo sussurro malinconico, annaspato da singhiozzi tristi, pareva essere una domanda rivolta a tutto ciò che circondava la povera Amy.

Spesso trovava conforto nella musica, in quella fantastica dimensione dove le canzoni, le melodie e le fantastiche voci dei cantanti le fanno dimenticare tutto. Per Amy la musica era la sua cura efficace contro gli 'attacchi' della società.

Si accasciò per terra avvicinando strettamente le ginocchia al suo petto. Svuotò i suoi occhi dalle lacrime che trattenne momenti prima.
«Voglio scomparire...» disse fra i singhiozzi.

La sua doveva essere una vita davvero deprimente per sussurrarsi queste cose.

Ma, questa è la triste realtà.
Schiavi della società.
Dove l'apparenza regna sovrana.

La povera Amy non aveva amici, aveva un amico, un lontano amico. Si chiamava Edward lui era l'unico che riusciva a decifrare il sensibile carattere di Amy. Ma, come dire, le cose belle arrivano tardi e vanno via presto; Edward partì per un'altra città, lasciando Amy.
Loro si contattavano tramite social, ma nulla è uguale tramite un computer. Nulla poteva sostituire un vero abbraccio con un oggetto tecnologico.

Piangere per la povera Amy non serviva; ma lo faceva per sentirsi meglio. Per sfogarsi un poco.

«Se solo fossi migliore...» continuò piangendo.

Lei era indiscutibilmente una bella ragazza; aveva gli occhi color smeraldo, una lunga chioma bruna legata sempre in un codino e un carattere d'oro. Spesso Amy si sottovalutava per colpa del suo peso.
Pesare 82.4 chili non era un enorme problema, lei era buona di carattere; era questo che contava.

Si alzò da terra e si asciugò gli occhi unti di lacrime.
Sospirò e si massaggiò le tempie.
Chissà a cosa pensava la povera Amy, ma di sicuro aveva una tale confusione in mente.
Uscì dal piccolo sgabuzzino segreto e si diresse verso il bagno.

Vi ci entrò e due ragazze ridacchiarono a vederla, Amy abbassò lo sguardo e due lacrime caddero dal suo viso.
Sospirò e aspettò che le ragazze uscissero dal bagno; una volta uscite esse, Amy sospirò ancora.

Guardò se stessa allo specchio come se stesse per urlare dalla malinconia.

«Cosa c'è che non va in me?» domandava a sé stessa conoscendo già la risposta.

Istanti dopo, un ragazzo entrò per sbaglio nel bagno delle ragazze. Guardò Amy, ma non la prese in giro.
«Scusa, hai sbagliato bagno...» sussurrò timida Amy.
Anche quel ragazzo era un po' in carne, ma per Amy non importava; lei aveva un carattere speciale e rivolgeva a tutti la parola.
«Lo so, ma mi stanno inseguendo..» Rispose il ragazzo spaventato.
«Chi?» Aggiunse Amy.
«Dei bulli. Tu?» Chiese quel ragazzo dagli occhi color cielo.
«Più o meno, lo stesso motivo...» sospirò malinconicamente Amy.

Quel ragazzo le sorrise. Dopo tanto tempo Amy aveva trovato un amico come lei, se devo dire.

«Sono solo stupidi, lasciali stare. Loro non capiscono che significa addolcirsi la vita con i dolci!» rise il ragazzo, poi aggiunse «Piacere Jhon.» porse la mano a Amy.
«Amy.» Sorrise Amy stringendogliela.

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