Capitolo Sei

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Sometimes I catch you,

Sometimes you get away

Some times I read you,

other thimes I'm like:

"Where are you on the page?"

[Rihanna, Complicated]



Una volta sotto casa il brutto presentimento era quasi opprimente. Avevo voglia di correre su per le scale fino al mio appartamento, aprire la porta e guardarla dormire ripetendomi che non c'era niente da temere, però mi costrinsi a stare calmo, ad ascoltare i racconti di Logan sulla sera prima ignorando il suo sguardo preoccupato mentre l'ascensore saliva su per i piani.

Una volta arrivati nell'appartamento, scoprii un foglietto attaccato sulla porta. La calligrafia era leggera ed elegante, ma quasi incomprensibile. Guardai Logan, poi di nuovo il foglio prima di prenderlo in mano.

« Sapevo che se ne sarebbe andata. »

« In che senso? »

Non risposi subito, mi poggiai solo con le spalle contro la porta, tenendo di fronte a me il foglietto.

L'avvevo letto già tre volte quando gli risposi.

« Lei non vuole rimanere. »

"Sono rimasta anche troppo, scusami ma devo andare.

Non cercarmi, per favore.

Grazie di tutto, Jacky Jack.

Lily."

Stavolta la sua assenza mi tolse l'aria dai polmoni: dopo averla avuta così vicina, non vederla più era devastante.

Passarono i giorni, le settimane. Io non volevo uscire, e non uscivo mai, stavo ad annusare le lenzuola che sapevano di lei ogni giorno meno. Alcune sere Logan cercava di tirarmi fuori, ma quando veniva a prendermi a casa io non c'ero, ero su quel tetto dove l'avevo vista la prima volta, a guardare giù nella speranza che spuntasse di nuovo dall'oscurità, a camminare su quei tacchi rimanendo miracolosamente in equilibrio.

Ci rimanevo fino all'alba, poi quando vedevo il sole me ne andavo: lei era una creatura della notte, mi veniva difficile persino immaginarla passeggiare sobria per le strade nel pomeriggio. Chissà come si vestiva, chissà se metteva i jeans o preferiva i leggins, chissà se indossava le vans o le superga, o magari metteva gli stivaletti bassi, o non rinunciava mai ai suoi tacchi. Sopra me la immaginavo sempre con la mia felpa che si era portata via, m'illudevo che non la togliesse nemmeno un secondo.

Nei miei sogni cercavo i suoi occhi azzurri, la lasciavo congelarmi con un solo sguardo.

Passato un mese cercai di riprendermi. Presi la macchina e partii nella notte, girai tutta la città, tutti i locali, guardavo le ragazze fumare e cercavo le sue iridi di ghiaccio.

Tornai a casa alle dieci, con il collo bloccato. Mi ero addormentato sul sedile scomodo dell'auto in un parcheggio davanti a un supermercato, e quando mi ero risvegliato avevo vomitato quel poco e niente che avevo mangiato in quei giorni. Mi buttai sul letto e dormii tutto il giorno dopo qualche canna in più che mi avrebbe conciliato il sonno.



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