Three Cheers for Sweet Revenge

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Novembre 1913
Bromley, Inghilterra

La stretta strada era illuminata dai soli fari della macchina. I due uomini a bordo sembravano guardare tranquillamente avanti, scambiandosi poche parole di tanto in tanto. Almeno finché la salita che si inerpicava sulla collina, diretta alla villa, non si fece più irta. La curva successiva, l'ultima prima del cancello, era molto stretta. L'uomo alla guida perse il controllo del volante e premette violentemente sul freno. Ma questo non resse. Per miracolo riuscì a imboccare il tornante, dopo il quale si trovava la discesa per raggiungere il parco della casa. L'automobile prese sempre più velocità con la pendenza che aumentava. L'uomo, in preda al panico, provò a tirare il freno a mano ma anche questo non poté nulla contro la velocità acquisita dal veicolo. Lo schianto fu inevitabile. La macchina andò dritta contro il paletto del cancello. Il rumore dell'impatto rimbombò nella notte.

Ero affacciata alla finestra, con il viso affondato in una camicia di Dan che avevo portato per farmi forza, quando sentii lo schianto. Immediatamente il cuore cominciò a martellarmi nel petto, mi si formò un nodo alla gola: non mi doveva vedere lì. Se Sherlock mi avesse vista lì, mi avrebbe uccisa. Sapevo fin troppo bene come era fatto, conoscevo la sua personalità come pochi. Non capivo ancora come potesse diventare, da un uomo esemplare di generosità e bontà d'animo, l'essere subdolo e violento che mi aveva fatta fuggire da lui, quando Dan era solo un ragazzino. Forse in quegli anni che eravamo stati separati qualcosa era cambiato in lui, forse si era pentito di quello che aveva fatto a Dan e a me. Però non ci è mai venuto a cercare, quello no, mai.

Dopo quella terribile notte io e Dan vivemmo nello scantinato che ci offriva la signora Clark, in cambio del lavoro che facevamo per lei. Era una donna avara e interessata solo alla sua ricchezza. L'avevamo incontrata la sera stessa che eravamo arrivati in città, a Londra. Cercavamo un posto per ripararci dal freddo e lei ci aveva portato in casa sua, probabilmente intenerita da Dan. All'inizio era stata gentile perché sperava di ottenere qualcosa da noi, ma, una volta capito che altro non eravamo che nullatenenti, aveva subito cambiato atteggiamento. Aveva bisogno di due sguatteri, ci faceva lavorare fino allo stremo e ci ripagava con quello scantinato dove stare, qualche tozzo di pane e, se ci andava bene, zuppa di asparagi. E così avevamo vissuto per almeno 4 anni.

Quando Sherlock ci aveva accolti non era stato così: lui ci aveva aperto le porte del suo cuore, oltre a quelle della sua casa. Io avevo appena partorito e lui mi aveva preso sotto la sua ala. Aveva cresciuto Dan come se fosse stato suo figlio e mi aveva trattata come se fossi stata sua moglie. In breve tempo nei miei pensieri c'era spazio solo per lui, e la cosa era ricambiata, ma, insieme al suo grande animo, dovetti imparare ad accettare anche l'altro aspetto di lui. Le scenate. Le grida. Le botte. All'inizio ero talmente innamorata che neanche ci facevo caso, ma, col tempo, queste divennero insopportabili e fui costretta ad andarmene. Ma l'inferno più grande lo stava vivendo Dan, e io neanche lo sapevo.

Sgattaiolai fuori dalla porta di servizio dalla quale ero entrata, ne conservavo ancora le chiavi, e mi avvicinai, seminascosta nell'ombra, al luogo da cui era arrivato il rumore: se Sherlock mi avesse vista non sarei riuscita ad attuare il mio piano e sarei tornata per nulla. Da dietro una quercia del giardino vidi un rottame d'auto, doveva essere stata una bella auto, accartocciato contro uno dei paletti del cancello. Qualcuno si era appena schiantato: due corpi erano stati sbalzati fuori dall'auto e ora giacevano a terra immobili. Mi avvicinai un po' di più per cercare di individuare i due e intravidi qualcosa che mi lasciò spiazzata. Una bombetta posata di fianco a uno dei corpi, la sua inconfondibile bombetta. Era lui. La porta ancora. L'ombra di un sorriso aleggiò sulle mie labbra. Ma era un sorriso amaro.

Qualcosa scattò in me, quel qualcosa che mi aveva spinta a tornare in quel luogo dopo così tanto tempo e che si era un po' affievolita ripensando ai tempi felici. La mano, tremante, corse alla pistola che portavo sotto la gonna. Era quello il momento ideale, la condizione perfetta. Nel frattempo l'uomo stava recuperando i sensi, lo vidi agitarsi e guardarsi intorno, nella speranza di capire cosa stesse succedendo.

In quel momento saltai nella luce della lanterna, la mano chiusa attorno al calcio della pistola, presa da una forza non mia.
《Sherlock》urlai《Mi riconosci?》Probabilmente dovevo avere un aspetto da pazzoide perché, tra le emozioni che vidi saettare nei suoi occhi, c'era anche il terrore. Sì mi aveva riconosciuta, lo capivo.
《M-marlen 》disse《che ci fai tu qui?》Era terrorizzato, lo Sherlock crudele che ricordavo non aveva ancora preso il sopravvento.
《Che cosa faccio?》chiesi in un iniziale attimo di aggressività《Cerco vendetta...》e in quel momento la mia voce fu rotta dal pianto e davanti agli occhi mi si materializzò il suo volto, il suo dolcissimo volto ricoperto di sangue, la mano, abbandonata sul pavimento, che stringeva ancora la pistola che aveva sparato il colpo che aveva portato via il sorriso dal suo viso.《Vendetta... per Dan》
Lui non lo sapeva, non lo sapeva il bastardo a cos'avrebbero portato gli anni di vessazioni che Dan aveva subito e fu mio compito informarlo dell'omicidio che indirettamente aveva commesso.
《A quanto pare quegli anni non sono stati terribili solo per me, ma anche per Dan. Anzi, per lui sono stati addirittura peggio. E il bello è che io non lo sapevo》la vendetta era tornata ad accecarmi e la mia voce si era riempita di perfidia《Sai come l'ho dovuto scoprire? Da una lettera che ho trovato accanto al cadavere di mio figlio. MIO FIGLIO. Come pensi che si possa sentire una madre a trovare il figlio morto e una lettera che dice che è colpa dell'uomo che ha amato di più in tutta la sua vita? Perché è questo che diceva la lettera, diceva "Sherlock credeva che io non valessi niente, mi ha fatto passare l'inferno quell'uomo, ma, alla fine sono sempre stato d'accordo con lui. Non valgo niente". È tutta colpa tua》

E la mia voce era di nuovo rotta dal pianto. E io piangevo. E la mia mano si alzava. E il dito premeva il grilletto. E il proiettile si conficcava nella testa dell'uomo che mi aveva salvata e che aveva distrutto mio figlio.
Ma ora che mi ero vendicata e stavo peggio di prima, lo capivo: sa Dan se ne era andato, era colpa mia, mia che l'avevo portato lì e mia che non mi ero accorta che gli faceva male come l'inferno.
Le lacrime stavano sgorgando dai miei occhi come il sangue dalla testa di Sherlock quando un secondo proiettile lasciò la canna della pistola per andare, questa volta, a conficcarsi nella mia di testa.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Apr 24, 2016 ⏰

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