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Tutto ciò che Harry aveva sempre desiderato era quello; fuggire e rifugiarsi in una casetta con un tetto rosso, la veranda in fiore ed un giardinetto in cui d'estate avrebbe fatto lunghe pennichelle. E l'aveva avuta, la casa dei suoi sogni. Dopo giri immensi alla ricerca della perfetta abitazione, si era imbattuto casualmente in quella casetta – quasi di mattoni – che non era nemmeno compresa nel giro di belle case da vedere. Eppure, Harry se ne era immediatamente innamorato. Non gli importò di scoprire che appartenesse a qualcuno che, fra quegli stessi mobili impolverati, ci fosse morto. Era bellissima, e nonostante la polvere accumulata con gli anni, aveva il suo fascino vecchio stile di cui Harry era innamorato. Era stato facile sibilare un "è questa, è mia" all'agente immobiliare, che gli aveva subito consegnato le chiavi qualche giorno dopo.
Si era già sistemato, aveva tirato giù le lenzuola dai mobili e spazzato via un po' di polvere dal pavimento. Aveva spalancato le finestre e aveva messo su il suo giradischi per lavorare in armonia. Notò immediatamente come i raggi del sole filtrassero dalle finestre e riscaldassero l'intero ambiente. Chi prima di lui doveva averci vissuto, l'aveva trattata piuttosto bene. Era felice come un bambino fra quelle quattro mura, e non faceva che saltellare da una stanza all'altra per poter cercare di rimettere in ordine ogni cosa e togliere ciò che fosse di troppo. Sua madre e sua sorella avevano provato a convincerlo a prendere un appartamento più in centro, in modo tale da poter essere più a portata di mano, ma niente l'aveva smosso. Si erano anche offerte di rendere l'ambiente più confortevole, di buttare via quei vecchi mobili e di ricomprarne degli altri, ma Harry Styles era cocciuto di natura ed avevano subito smesso di combattere contro la sua testardaggine.
Mise su dell'acqua a bollire, perché aveva davvero bisogno di un the, cercando di sistemare quelle poche cose che aveva nello scatolone, anche se gli sembrava un vero e proprio peccato rovinare quell'ambiente con le sue stupide cose. Era un posto vissuto; poté notarlo dalle pareti piene di fotografie, quadri meravigliosi, da tazze ancora in vetrina. Qualcuno doveva aver chiuso i battenti con quei ricordi dentro e lasciatosi indietro tutto quanto. Ma Harry era contento di poter leggere la felicità sui volti di quelle vecchissime foto, probabilmente risalenti ai tempi della Guerra, e di assaporare i ricordi di qualcuno, seppur non ne conoscesse affatto. Era una strana sensazione la sua, ma gli sembrava di stare dentro al cuore pulsante dei vecchi padroni della casa; sorrise semplicemente. Nessuno l'aveva più comprata, Harry era stato informato dall'agente che quella piccola casetta era disabitata da almeno trent'anni se non di più. Ed era felice di poterla riaprire lui stesso, di rimettere in piedi quel piccolo angolo di Paradiso e ricominciare a costruire dei ricordi tutti suoi, da aggiungere a quelli già esistenti.
Aveva esplorato la casa per intero, salendo al piano di sopra; scoprendo una bella camera da letto raffinata, ed un piccolo secondo bagno. E solamente dopo il terzo giro di ricognizione si rese conto di avere anche un tetto morto, o qualcosa che i precedenti proprietari avevano utilizzato come una cantina o un deposito. Tirò giù la scala dal tetto, con difficoltà, notando la ruggine e la polvere a cadergli sulla testa. Cominciò a tossire irritato, ma smise immediatamente nel rendersi conto di essere riuscito a tirare giù la scala con successo. Si passò una mano sporca fra i capelli ricci e sorrise così tanto da far spuntare delle fossette ai lati della bocca e da farsi male alle guance. Era euforico, completamente. Non sembrava mostrare i suoi venticinque anni, piuttosto dieci. Si fece luce con il cellulare, salendo attento a non farsi buttare giù - la scala era rimasta inutilizzata per decenni in fondo – fino a raggiungere altro che buio. Si spazzolò i pantaloni e si accorse di essere nel bel mezzo di ricordi forti e prepotenti, a fuoriuscire persino da quelle scatole imballate e tenute al sicuro. Scoprì poco più tardi che ci fosse una sorta di lucernario sulla sua testa, che si impegnò ad aprire per lasciar filtrare la luce del sole. Si guardò attorno spaesato per un attimo, notando l'insieme di cose accatastate e mollate lì senza alcuna cura. Niente pareva essere a posto come ai piano di sotto. Però, curioso com'era si dette una mossa ed andò a rovistare fra quelle cose. In fondo, se qualcuno le aveva lasciate non doveva essere interessato o non aveva avuto nemmeno il tempo di riprenderle. Tolse i lenzuoli e si accorse di numerosi bauli deliziosamente lavorati e chiusi con un grosso e pesante lucchetto. Poco più lontano vi erano degli scatoloni pieni di libri ed altri quadri nascosti da carta e lenzuoli.
Nel scoprirli, si fermò a contemplare la meravigliosa arte che aveva di fronte. C'erano ritratti, ritratti di un uomo che ad Harry parve lo stesso delle fotografie appese ai muri. Era ritratto in varie situazioni; in giardino con un cappello di paglia sulla testa ed un sorriso, sul letto poggiato contro la testiera ed un libro in grembo, appoggiato sulla ringhiera di un ponte a scorgere il mare in lontananza. Il soggetto era sempre lo stesso, ritratto in maniere così diverse da lasciar trapelare il sentimento. Chi li aveva fatti, doveva averlo amato con tutto il cuore. Riuscì a leggere, fra una pennellata e l'altra, tutto l'amore e la devozione che dovevano aver reciprocato. Harry sorrise e notò una firma, J.M., in basso a destra di ognuno di essi. Desiderò conoscerne la storia che vi era dietro, ma alzò le spalle già abbattuto, perché probabilmente non avrebbe mai scoperto nulla. Li posò con cura, tentando di non rovinarli – ringraziando il tempo per non averlo fatto, erano cose preziose da tenere al sicuro e lontano dalle intemperie.
Si sedette in terra, al centro fra il caos, guardandosi attorno contento. Si tenne le caviglie con entrambe le mani e gli sembrò di tornare bambino, quando rovistava nella cantina della madre in cerca dei suoi vecchi giochi. Sembrava essere passato un secolo da allora, e adesso aveva una casa tutta sua in cui poter creare una famiglia e vivere in pace con se stesso. Provò a forzare il baule, distrattamente, sentendo un forte rumore al tocco del lucchetto, che si ruppe e gli lasciò aprire quella meraviglia senza nessun problema. L'aprì con cura, con gli occhi lucenti e pieni di curiosità, con la sola voglia di infilarci dentro tutta la testa. Si sporse appena, scorgendovi dentro dei vecchi abiti sdruciti, qualche fotografia lasciata al caso, tomi dall'aspetto pesante e poi un gruppo di lettere strette da un elastico. La sua attenzione venne immediatamente attirata da quelle buste giallognole, l'odore pungente di carta vecchia, ed il cuore in gola per la prossima scoperta. Tolse lentamente l'elastico, toccandone i bordi rovinati, annusando l'odore di ricordi e amori andati. Erano tutte lettere indirizzate ad un certo Tom Austin, ed Harry dedusse che fosse proprio quell'uomo il precedente proprietario. Aprì la prima busta, casualmente, trovandovi dentro solo una fotografia di una meravigliosa donna dai lunghi capelli ed il viso pulito. Sorrise rimettendola dentro, per accorgersi poi che tutte le buste ne avevano una dentro, per certificare il tempo passato lontani. Harry avvertì una stretta allo stomaco, perché il loro pareva essere stato un amore tormentato, o forse non avevano mai davvero condiviso nulla di più che un sentimento così forte a legarli e tenerli vivi. La donna, col passare degli anni, aveva continuato a mandare lui delle foto in cui posava appositamente, con un bel sorriso e qualche ruga sul volto. Le sue parole erano sempre di conforto, c'erano dei "proverò a tornare, te lo prometto Tom" e  "mi manchi, è come non riuscire a respirare qui senza di te" a cui Harry si ritrovò a stringersi in se stesso, intristito dal peso di quei brutti momenti passati. Quelle lettere provenivano tutte dall'America, sempre da Savannah, posto in cui la donna doveva aver vissuto fino a quel momento. Le ripose tutte con cura, incapace di continuare ad impicciarsi di quei ricordi che sarebbero rimasti loro per sempre, preoccupandosi di altre cose.
Ma non fu così semplice rimettere a posto le cose in soffitta, perché l'impulso di ritornare a controllare quelle lettere gli fece venire il mal di stomaco. Ma s'impose di non farlo, che l'amore fra Tom e Julia doveva rimanere tale, anche se era passato tutto quel tempo. Spostò i bauli di lato, riponendovi i quadri – perfettamente foderati – dentro, per poterli mantenere al sicuro. Fece spazio in quel piccolo angolo, sicuramente avrebbe potuto utilizzare quel posticino per rifugiarsi da tutto e tutti e rimanere a leggere per ore intere senza essere disturbato.
Ma nello spostare il resto delle cose, si accorse di qualcosa fuori posto. Un'altra busta, lasciata – o meglio, nascosta – sotto ad uno dei bauli più pesanti, inerme. L'afferrò, toccandone il francobollo ormai distrutto, la carta sporca ma soprattutto aperta e mai spedita. A quella non riuscì a resistere. Era indirizzata alla stessa Julia delle lettere, Julia Martin, a cui collegò le iniziali in fondo ai quadri. Doveva aver amato molto quell'uomo. Alla fine, tirò fuori la lettera perfettamente piegata e ne assaporò ogni attimo, seppur la calligrafia fosse scomposta e tremolante.

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