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Le auto sfrecciano veloci nella corsia opposta, dirigendosi in chissà quale luogo o da chissà quale persona e per chissà cosa, per rimediare a uno sbaglio commesso, per scappare da una realtà sgradevole oppure vagano senza una meta precisa per liberare la mente, per scaricare lo stress dell'intera giornata, per pensare, per scappare un po' da questo mondo troppo complesso e confusionario. E mi chiedo se anche loro si domandino le stesse cose di me, mentre li passo accanto.
Ecco, è successo di nuovo. Penso sempre troppo. Accendo la radio per distrarmi. La spengo. Mi concentro sulla strada, ma le luci dei lampioni e dei fari me lo impediscono. Avanti cervello, collabora. Devo arrivare il più in fretta possibile, questa auto che sa di deodorante e limone mi sta facendo venire la nausea. Accelero. Nella mente mi appaiono immagini della mia famiglia e di quando ero piccola e andavamo tutti insieme a fare gite, escursioni o giri in città senza un senso preciso, solo per scappare da quella casa noiosa e monotona e scoprire il mondo. Quando nacque mia sorella, però, i miei genitori persero questa "tradizione" e così iniziai a vivere il mondo da sola.
Inizio ad intravedere la collinetta. Giro al casello e finalmente esco da questa autostrada infernale. Cinque minuti dopo arrivo. Parcheggio. Esco dall'auto. Faccio un respiro lunghissimo, come se dovessi far entrare tutta l'aria benefica. Espiro. Mi sdraio sull'erba bagnata, con lo sguardo fisso al cielo, alle stelle. Strappo un po' d'erba con le mani per scaricare la tensione e immagino come sarebbe vivere in una città senza tutte quelle luci che ti obbligano a scappare lontano per ammirare quello che ho davanti in questo momento. Almeno qua sono sola, posso urlare, parlare con i fiori, cantare o fare qualsiasi cosa, senza che nessuno mi giudichi e poi qua c'è silenzio. E io amo il silenzio. E odio le grida, dio se le odio. Se mia madre scoprirà che le ho rubato la macchina e ho guidato in autostrada, fino a un posto sperduto e che non è la prima volta, griderà, tanto. Din. Il cellulare mi avvisa che sono le tre. Se non ci fosse stato traffico sarei rimasta di più, ma la vita non è tutta rose e fiori. Salgo in macchina, lanciando un ultimo sguardo al panorama che offre la collina e parto.

La porta di legno cigola al solo tocco e uso tutta la mia forza di volontà per non romperla in mille pezzi. La chiudo con la massima cautela e appoggio le chiavi di casa e della macchina sul tavolino in ingresso. Mi tolgo le scarpe e in punta di piedi salgo le scale. Apro la porta di camera mia che per fortuna non cigola.
"Ei Emily." la voce di mio padre mi blocca. Spero non si metta a urlare.
"Ei papà."
Mi fissa.
"Ehm, posso spiegare, davvero."
"Non ce n'è bisogno, non dirò niente alla mamma. Ti copro io." Mi accenna un sorriso e io gli rispondo allo stesso modo. "Ora vai a letto però."
Mi chiudo in camera, ringrazio mia padre mentalmente e mi butto direttamente sul letto, godendomi le ultime tre ore di vacanza nel silenzio più assoluto. Ed è bellissimo quando, la notte, tutti dormono, tutti hanno spento il loro cervello e tu sei lì che magari trami qualcosa.

Okay. Lo so, non succede molto in questo capitolo, ma volevo farvi un po' capire il carattere del personaggio e come scrivo e niente, spero vi piaccia. Se si lasciate una stella :)
carolina

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