New York, 25 febbraio 2007
Con profondo rammarico riconosciamo la servitù involontaria degli africani e lo sfruttamento dei nativi americani, e chiediamo la riconciliazione con tutti gli abitanti della Virginia.
Julian chiuse il New York Times e lo appoggiò sul piano del tavolo del soggiorno.
I pensieri volarono lontani.
Al passato.
Quello che aveva vissuto insieme con lei.
Al loro passato.
Andò alla finestra che dava sul giardino e, scostando la tenda che limitava l'intensità della luce, guardò fuori.
Rose era di schiena, piegata nel tentativo di sciogliere il nodo che impediva all'acqua di fluire all'interno della pompa e raggiungere l'uscita.
Era freddo.
Non doveva stare lì.
Come lui, anche lei aveva superato da qualche anno i sessanta, sebbene si comportasse come se ancora ne avesse poco più di venti.
Era testarda.
Julian era felice di non averla sposata a vent'anni, sebbene anche chi aveva conosciuto e sposato a vent'anni, e forse aveva significato più di lei, non fosse stata da meno.
All'improvviso la donna si voltò verso di lui, come se si aspettasse di trovarlo alla finestra. Gli sorrise e, sollevata la mano coperta dal guanto, accennò un saluto.
Rose aveva già letto il giornale e aveva capito che anche lui lo aveva fatto.
Il suo sguardo era una sintesi di gravità, paura, fragilità.
Julian comprendeva la sua frustrazione. Non poteva, tuttavia, cancellare la sua storia, la sua vita e a lei non restava che convivere con i propri tormenti.
Sciolto il nodo della pompa, Rose aprì il rubinetto dell'acqua.
Appena si assicurò che l'acqua defluiva senza problemi, richiuse il rubinetto.
Sfilati i guanti, li lasciò nella cassetta degli attrezzi che teneva nascosta dietro una delle due piante ornamentali disposte ai lati della porta d'ingresso.
Entrò in casa.
Mentre sistemava il giaccone sull'appendi panni, notò il giornale appoggiato sul piano del tavolo. La conferma della propria intuizione.
"Fuori è freddo. Credo che nevicherà. Elisabeth e James arriveranno nel pomeriggio. Li andremo a prendere o ci...?"
"Grazie Rose" la interruppe Julian, "andrò solo." Sperava capisse l'importanza dell'intimità di cui avevano bisogno.
"Va bene. Io e Deborah vi attenderemo qui." Seguì un silenzio meditativo. "Non vorrai portarli a cena fuori!" La voce grave. Il timore di una bugia.
Julian la guardò. Lo sguardo protettivo, consapevole che la sua posizione non era invidiabile. "Non preoccuparti, ci fermeremo in una caffetteria dell'aeroporto e a cena saremo qui."
Rose sembrò tranquillizzarsi.
Raggiunse le scale che erano in fondo al soggiorno e salì al piano superiore.
Aveva bisogno di cambiare i vestiti.
Tentava di mostrarsi forte, più con se stessa che con Julian.
Ma sentiva di non riuscire nel proposito.
Emily faceva nuovamente capolino, sebbene solo il suo fantasma.
Quando tre anni prima era morta, Rose si era dispiaciuta, aveva pianto, infine, esaurite le lacrime, aveva tirato un respiro di sollievo.
Emily non sarebbe più stata un ostacolo alla sua felicità con Julian.
Si era sbagliata.
Proprio da quel momento era iniziata la caccia ai fantasmi.
Al suo fantasma.
Al fantasma di Emily.
Julian l'aveva amata e mai aveva smesso di farlo.
C'erano anche i figli, i figli di Julian ed Emily, cui lei si era da subito affezionata.
Forse proprio per evitare che con lui si creassero screzi.
Rose entrò nella stanza da letto.
Cambiati gli abiti, prima di tornare al piano terra, indugiò davanti allo specchio.
Che sciocca, pensò. Possibile che ancora provava così tanta gelosia da perdere la percezione della realtà?
Tutti, almeno tutti i neri d'America e i nativi americani, dal giorno precedente erano lieti per quello che era accaduto.
Finalmente il capitolo del razzismo, della segregazione, della violenza contro di loro era concluso. Erano state fatte le ufficiali scuse. Il ventiquattro febbraio la Virginia aveva passato all'unanimità la risoluzione numero 728 con la quale riconosceva ufficialmente il proprio ruolo negativo nella schiavitù americana.
Era stato il primo degli Stati a presentare le proprie scuse.
Eppure lei, dopo averne sentito parlare alla TV e aver letto il New York Times, si preoccupava di Emily.
Avrebbe dovuto essere soddisfatta, come quel giorno lo erano tutti coloro che, per anni, si erano battuti con determinazione e coraggio per l'eguaglianza, l'emancipazione, la giustizia tra neri e bianchi, tra nativi americani e bianchi, tra poveri e ricchi.
Come si era battuta lei.
Non era per quel motivo o, comunque, non era così che Julian si era innamorato di lei e anche molto prima di Emily?
C'era Deborah. Il frutto del loro amore. Un angelo offerto in dono da Dio.
Di cosa continuava ad avere paura e perché?
Sapeva perché.
Emily.
Sempre Emily.
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SHE CAN [Vincitore Wattys2017]
Historical FictionNessuno vi può dare la libertà. Nessuno vi può dare l'uguaglianza o la giustizia. Se siete uomini, prendetevela. (M.X) Un sogno, una missione o solo rabbia, ostinazione? Cosa spinge Emily a trascurare tutto e tutti pur di realizzare il suo sogn...