Siamo Liberi!

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((PREMESSA: gli Italy Bros sono i "Vargante" qui, poichè Vargas non è un vero nome italiano, e per di più li ho fatti di origine fiorentina quindi preparatevi al dialetto!))

Giugno del 1944. la settima brigata Matteotti di Brescia viene richiamata nel centro Italia dal CLN*, di preciso a Firenze.

Alcuni membri della settima brigata Matteotti: Antonio Fernandez-Carriedo, il capitano, spagnolo nato in italia, nome in codice "Bisca"; Matteo Vargante, italiano di nascita, nonché mio fratello minore, detto Feliciano, nome in codice "Felice"; Infine io, Giacomo Vargante, nuovo in brigata come mio fratello, nome in codice "Vino", detto Lovino.

Siamo entrati in brigata solo cinque giorni fa, io e mio fratello, e già ci spostiamo. Salutati gli amici e parenti, partiamo verso sud, fermandoci a Firenze un mese di cammino dopo.

E' durante il viaggio che ci vennero dati i nomi in codice.
A mio fratello minore fu assegnato "Felice", perché così era, e ancora è. In brigata, però, lo chiamavamo Feliciano.
Io fui chiamato "Vino", poiché quando ero solo una staffetta, qualche mese fa, portavo vino e pane di mia madre. Fui soprannominato Lovino in brigata per colpa del capitano, spagnolo sì, ma parlava con uno dei dialetti meridionali italiani, perché è da lì che veniva. Quando arrivò lui diventai "lo vino".

Ora ci troviamo a Firenze, stabiliti in via Mannelli. Feliciano si è specializzato nella costruzione di bombe artigianali, ora sono dette le migliori di Firenze. Siamo ormai a Luglio, fine Luglio precisamente.

Oggi devo aiutare il capitano a studiare i piani dell'attentato. Feliciano e un altro membro della settima brigata si dovranno dare da fare per le bombe.

Ho passato il pomeriggio e la notte a studiare le carte di tutta Firenze insieme al capitano, è ora di riposare, ma prima sento il bisogno di parlare con qualcuno. è passato così tanto tempo dall'ultima volta in cui ho avuto occasione di parlare del più e del meno, di cose non su noi partigiani, non di atrocità commesse dalle camicie nere e brune, voglio solo parlare, pacificamente, chiacchierare.
Ci stendiamo, io e lui, sui pagliericci del ripostiglio della farmacia in via Mannelli. Dormiamo insieme, nella stessa stanza, io, Feliciano e il capitano, ma oggi mio fratello è occupato con le sue bombe.
"Capitano, lei la vien' da ì' sudde, no?"[1] Chiedo, sperando che lo spagnolo non stia già dormendo "Sì, Lovino, lo sai" "D'indò'?"[2] chiedo di nuovo, e così lui si gira verso di me "Napole, come mai così loquace oggi, Lovi'?" Come odio quel soprannome, "ho senti'o che gl'inglesi stanno pe' arrivà', e l'hanno di già libera'a, Napoli. Gl'andrebbe di tornacc' a-llei?"[3] Annuisce, "Chi non vorrebbe, certo che sì, ma ormai i' song partigian[4], capitano della settima brigata Matteotti, e così ho deciso che morirò. E smettila con codesto dialetto, non capisco nulla se ti lasci andare così." E così la figura filosofica che mi ero fatto del capitano è scomparsa, a causa di quell'ultima frase. "io parlo come mi par'e-ppiace."[5] Rispondo, offeso. Mai parlerò in altro italiano che non sia il mio, del mio paese, mia patria e mia città, Firenze.
Abbiamo parlato così per tempo, prima di riposare, in silenzio e pace.

Agosto 1944, l'attentato, lo faremo tra poco, poche ore e sarà pronto. Non si può negare l'ansia, la paura di venir scoperti nel sistemare il tutto.
è giovedì, tutta la brigata è impegnata dentro Firenze, nelle varie vie, a distribuire le bombe di Feliciano. Nelle cassette della posta, giusto giusto accanto alla strada, saranno molto efficaci qui.
Ma ecco, uno sparo, mi giro di scatto, un uomo cade a terra tra la polvere e le grida dei passanti, un soldato dalla camicia nera accanto al cadavere. - Capitano! - penso, girandomi verso mio fratello, sul marciapiede opposto a me.
Iniziamo a correre, l'attenzione delle camicie nere e brune su di noi. Stessa strada, poi ci dividiamo, uno per via. Sento degli spari, la maggior parte di loro hanno seguito lui, Feliciano, non ce la farà.
Riesco a raggiungere la periferia, le gambe tremano, il petto brucia, ma non mi seguono più. Non sento più spari, lo avranno preso sicuramente, ma non ci penso mentre tutto diventa bianco, e finisco disteso lungo la strada tappezzata di polvere, vecchio sangue secco, e polvere da sparo.

Periferia di Firenze, periferia sud. Al mio risveglio vedo tutto bianco, di nuovo, il paradiso? No, sono ancora qui, ma dove?
Quando riprendo i sensi mi guardo intorno, tutto bianco, il letto, così comodo, i muri, il sole fuori...
Entra una donna, seguita da un uomo, presumibilmente un dottore. Parlano inglese, ma non capisco una frase.

Il televisore, acceso in stanza, rumoroso, tra il bianco e il nero ci devono essere altri colori, come coriandoli che inondano le vie. La città è in festa, dalle riprese che posso vedere, ma anche in lutto.
Viene ripreso un funerale, ma c'è più gente, non una persona, non una camicia bruna o nera, partigiani, tutti loro. Li riconosco, la settima brigata, non tutti, i giovani, come me e... Feliciano. Mi ricordo ora, e osservo lo schermo scintillante, la telecamera che passa sui corpi cosicché qualcuno li possa riconoscere, e reclamarli per una degna cerimonia e sepoltura. Aspetto, ansia, paura, sono sicuro che l'hanno preso, deve essere lì, tra gli altri nostri compagni. Vedo il capitano, inquadrato ad un certo punto, un'espressione serena gli adorna la faccia abbronzata, scavata dalle emozioni, dal dolore, e dalle intemperie. - qu'ì' bastardo -[6] Penso, così disse e così ha fatto, morto partigiano, morto capitano. Così voleva morire, e così è stato.
Osservo, continuo a fissare il televisore fino a quando una donna, la stessa di prima, lo spegne.

Guardo fuori dalla finestra, i vetri robusti e puliti, come se la guerra non l'avessero vista nemmeno passare, sono coriandoli, blu, bianchi, rossi.

Dalla folla partono grida, ma felici, e canti di gioia.

Dopo poco vedo entrare un uomo, no, ragazzo, in barella, anzi un letto con le ruote. Ha la fronte fasciata, una gamba ingessata, è stordito, o almeno lo sembra.
Da me, prima, viene il dottore inglese, chiede il mio nome. Mai lo dirò, non lo sono più ormai, non più Giacomo Vargante, Lovino, è il mio nome. "Lovino." Rispondo, impassibile, freddo, ma li sento ridere, mentre passano all'altro. Stessa domanda, ma la risposta è più lunga, un sussurro stremato, quasi assonnato, quasi impercepibile "Matteo... Vargante Matteo..."

Feliciano, fratello mio, il mio corpo, le mie gambe non mi permettono di alzarmi, e venire da te, piccolo bastardo, ma posso sempre gridare, farmi sentire una volta per tutte, dopo tutti questi anni

"Fratello, abbiamo vinto, siamo liberi!"

FINE


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-Spazio dell'autrice-

Ciao! questa storia per ora è solo uno One-shot, ma penso che la continuerò in futuro, e se volete potete lasciarmi consigli e critiche!
Il dialetto toscano è stato abbastanza difficile, ma ce l'ho fatta!
le traduzioni in italiano sono sotto!

La storia di questa storia è buffa, era un tema scolastico, una volta, e il bello è che ho usato questi nomi pure per quello!
Au revoir!


*CLN=Comitato di Liberazione Nazionale, un governo segreto formato dai partigiani.
[1] "Capitano, lei viene dal sud, no?"
[2] "da dove?"
[3]"Ho sentito che gli inglesi stanno per arrivare, e l'hanno già liberata, Napoli. A lei piacerebbe tornarci?"
[4]"... ormai sono un partigiano ..."
[5]"io parlo come mi pare e piace"
[6] - quel bastardo -

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