Capitolo 2

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Non so perché quel sogno mi abbia scosso così tanto... Forse perché mi manca e l'unico modo che ho di rivederla è sognandola. Però quello non è lo stato in cui avrei voluto trovarla, anche se era solo un sogno. Pensare a lei è anche un modo per andare avanti, per non farmi prendere troppo dalla crudele realtà che, ora come ora, dobbiamo affrontare. Una realtà difficile che spaventa tutti.
"Cambiare non è facile, ma questo non significa che sia impossibile." Aveva detto il sindaco per fomentare la popolazione alla riunione di qualche giorno fa. E invece si sbagliava, cambiare è impossibile, almeno nella situazione in cui siamo ora. Mi fa riflettere il fatto che tutti sappiano, ma che nessuno voglia parlare. Perché taciamo di fronte alla nostra ormai imminente estinzione? Non possiamo cambiare, l'uomo non è stato ideato per vivere su questo pianeta, per resistere al suo clima. Quando la Terra era ormai sul bordo dell'abisso, i più illustri scienziati conosciuti avevano una soluzione, scappare, sempre che questa fosse una soluzione. Ma non c'era altra scelta: o fuggire o soccombere. Avevano progettato delle macchine, loro le chiamavano succiditur, delle specie di navette che si autopilotavano nello spazio seguendo i segnali dei vari satelliti, cose da film fantascientifici insomma. Ovviamente non tutti avrebbero potuto salvarsi, e questo si sapeva bene. Ecco perché alcuni mesi prima avevano fatto dei test, "Nulla di cui preoccuparsi" avevano detto. Hanno selezionato le persone più utili (senza contare gli esponenti più illustri ed influenti) per portare avanti il genere umano: medici, scienziati, geni matematici, ingegneri.... Ma ovviamente non sarebbero andati da nessuna parte senza le loro famiglie, i loro figli, i coniugi, le madri...Eppure Becky era rimasta lì...
L'egoismo dell'uomo non ha limiti, in tutti questi anni ha solo cercato di sopravvivere sfruttando tutto ciò che gli facesse comodo. Ed ora? Ora sta facendo lo stesso con i suoi silimi. Ma come biasimarlo? Ognuno prova a tenersi in vita come può, in fondo. Anche a costo di lasciar morire miliardi di persone, bambini...
E per cosa tutto questo? Per salvare noi, per salvare me. Io, che fra tutti sono la prima che sacrificherebbe la vita per quella di un altro, per quella di Becky...
Dopo quel giorno sono cambiata, lo siamo tutti in un modo o nell'altro. Abbiamo ricominciato, ci stiamo riprendendo da quell'enorme disastro ma non sarà mai come prima, come quando eravamo sulla Terra. Esattamente ventitré giorni fa siamo arrivati qui, in questo posto inospitale, freddo.
Nessuno si è ancora abituato a questo pianeta e ci vorranno decenni per farlo. Lo hanno chiamato Start, inizio. Un brutto inizio, direi.
Ogni giorno mi portano almeno cinque persone, tre delle quali bambini. Gente che si è sentita male, durante la notte magari, ma io purtroppo sono costretta a dare la stessa risposta ad ogni 'Che cos'ha,dottoressa? E' grave?'.
"Mi dispiace signora ma suo figlio non arriverà a domani" Ho detto poco fa ad una giovane madre, sull'orlo delle lacrime. Non è mai facile dare una così spiacevole notizia, ma qualcuno deve pur farlo, no? Eppure non mi sono mai abituata a questo, a vedere una donna pendere dalle tue labbra, a vederla piangere, a vedere la sua disperazione nei suoi occhi.
Sono così presa da tutti questi confusissimi pensieri che non mi accorgo che Canopus e Azha, le due lune, sono già sorte.
"E' tardi..." Mi dico con un tono di malinconia. Esco da quella baracca che mi fa da casa, assicurandomi che la mia bambina non mi segua. Dovremmo cercare di stare all'aperto il meno possibile, per evitare di contrarre malattie legate all'aria rarefatta.
"Matt" Penso ad alta voce. Lui sta fuori casa molto allungo e so che si ammalerà presto: anche la sua salute di ferro non può nulla contro le polveri contenute nell'aria. Alcune volte noto che cerca di nascondere qualche lieve colpo di tosse, sperando che io non lo noti, e questo mi spaventa non poco. Ho sempre cercato di dirgli di non stare fuori per troppo tempo, ma lui mi ignora, prendendo troppo alla leggera ciò che dico. Vado alla baracca adibita allo spartimento delle provviste personali e, una volta arrivata davanti al bancone, noto una vecchietta mingherlina indaffarata a distribuire sacchettini di stoffa ai passanti.
"Matt Gallow, Stacie Gallow, e Alexia West" Dico, mostrandole i documenti. Per un attimo scompare sotto al bancone, per poi risbucare con tre identici sacchettini bianchi. Accenno un 'grazie' con la testa per poi avviarmi di nuovo verso casa.
"Questa volta devo stare attenta che nessuno voglia rubarmi le provviste, la gente è talmente affamata che farebbe di tutto per mettere qualcosa sotto ai denti" Penso amaramente, nascondendo i sacchettini sotto al giubbotto. Passo per le strade polverose, delineate da alcune catapecchie simili alla mia. In giro non c'è quasi nessuno. Gli unici rumori che riesco a percepire sono il vociare della gente in lontananza, tutto il resto silenzio. Ogni tanto si possono anche sentire degli urli, ma, in cuor mio, non voglio minimamente pensare a cosa siano causati. Finalmente arrivo esausta a casa, anche se ho percorso solo un breve tragitto. Appoggio la mano sulla maniglia della porta e solo allora mi accorgo di una cosa: non è chiusa come sono sicura di averla lasciata dopo essere uscita. Adesso è stranamente socchiusa.
Il terrore si impossessa di me: cosa è successo a Stacie? Piombo dentro come un uragano, urlando a gran voce il nome della mia piccola. Getto i sacchetti sul tavolo e crollo disperata a terra, portando le mani ai miei capelli. Sento un rumore, uno scricchiolio, e istintivamente alzo il capo. Noto la piccola testolina della piccola fare capolino da dietro la parete ed io rilascio un sospiro di sollievo.
"Tesoro, lo sai che devi rispondermi quando ti chiamo, mi hai fatta preoccupare. Hai aperto tu la porta?"
Lei, in risposta, scuote leggermente la testa, guardandomi dall'alto verso il basso con i suoi occhioni verdi.
"C'è un signore in cucina..." Mi dice, "Vuole vederti".

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⏰ Ultimo aggiornamento: Feb 02, 2018 ⏰

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