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I raggi del sole filtravano dalla finestra.
Cercai in tutti i modi di riprovare a dormire. Un tentativo vano fu quello di appoggiarmi il cuscino sul viso per rimandare quel momento: quello in cui mi sarei dovuta alzare.
Non avevo mai adorato alzarmi la mattina anche se ero completamente riposata e questo era l'ultimo giorno di scuola. Lasciare quel caldo tra le coperte era sempre stato un dramma, e per questo diedi una spinta veloce alle gambe per alzarmi di botto, seppur controvoglia. Scesi giù per le scale con ancora il pigiama indosso.
Mangiai un pancake appena preparato da mio padre e dopo avergli dato un veloce bacio sulla guancia, mi preparai ad andare a scuola. Non arrivai in ritardo come di mia abitudine. Quella giornata non avevo il solito mal di testa mattutino, sentivo come un peso in meno. Varcai i cancelli dell'edificio, pronta per affrontare un'altra giornata di scuola. Poi ci sarebbe stata l'estate.
...
Anche quell'ultimo giorno del secondo anno di liceo era passato.
Non avevo mai avuto tanti amici, ma in questa città tutti da subito erano sembrati particolarmente socievoli, o almeno non come nelle città in cui mi ero precedentemente trasferita.
A diciassette anni avevo girato la bellezza di nove paesi diversi.
Inizialmente i viaggi erano indirizzati più verso l'Oriente, ero piccola quando vidi la stimolante Shangai. Poi, invece, quando pensavo che sarei cresciuta in Oriente, ecco che il lavoro di mio padre era più richiesto in Occidente. Fu così che imparai il francese, l'italiano, il tedesco, lo svedese, l'inglese e infine il più dialettale americano.
Dopo varie città americane mi ero trasferita ad Aiken dove avevo subito legato con una biondina riccia dai grandi occhi marroni. E questo era stato più di un anno fa. Da allora eravamo diventate grandi amiche. Ci vedevamo ogni giorno a scuola e nei finesettimana era un continuo -per mio padre- aprirle la porta e -per me- essere scaraventata giù dal letto. Letteralmente, e non con poca fatica, per la sua gracile costituzione. Ormai mi conosceva bene, aveva capito fin da subito che non sempre facevo ciò che dicevo e che odiavo essere buttata giù dal letto. Sapeva quasi tutto di me. Quasi.
Alcune questioni non avevano il bisogno di essere rivangate e la riccia non aveva chiesto. Ripeteva sempre che ci eravamo conosciute solo grazie a mio padre e al suo lavoro.

Era un architetto nella maggior parte dei casi e a volte si trovava a dover essere la mente dirigenziale sul posto. Io lo seguivo dappertutto. Ovviamente.
Mi piaceva viaggiare, e fino ad un po' di tempo fa non avevo avuto problemi, almeno prima di aver conosciuto una fastidiosa biondina di nome Sophie.
Non volevo separarmi da lei.
Non avevo mai avuto paura di niente, quest'inquietudine era molto recente, infatti. Sapevo che le paure potevano venire in qualsiasi momento e poi a seconda dell'intensità di quest'ultime sparire in un lasso di tempo proporzionato anche alle varie situazioni in cui ci si trova.
Mi ero abituata a stare in questo paesino che comunque non avevo considerato casa mia.
Per quante volte mio padre mi avesse detto che sarebbe stata l'ultima volta, l'ultimo trasferimento, non era mai stato l'ultimo, anzi era diventato il penultimo o gli ultimi della fine.
Non potevo sapere che quella sera stessa tutto ciò che non volevo accadesse, si era allineato, piano piano, con cura, alla perfezione.
...
"Eccomi, papà", dissi chiudendo la porta di casa. Ero appena tornata da un pomeriggio di shopping sfrenato con Sophie. Non mi era mai piaciuto tanto, ma lei, mi aveva mostrato un'altra prospettiva.
Divertirsi provando tutto il reparto femminile. Era una matta, ma gli volevo bene per questo.
Non sentii nessuna risposta alchè andai in cucina.
Sul frigo c'era un post-it:
Torno più tardi, sto concludendo un affare. Cucina il pollo e non bruciarlo. Ti voglio bene.
Un presentimento si faceva strada dentro di me. Ma non volevo pensarci né renderlo reale, quindi lasciai stare.
Cucinai il pollo come avevo fatto tante altre volte. Lo mangiai come si fa con un semplice pasto. Tutto l'entusiasmo della giornata terminato, lasciato solo, da qualche parte.
Provai a fare tutte le cose possibili per scacciare quel pensiero sciocco.
Cantare era sempre stato un bel passatempo.
Erano le otto di sera. Ciò stava a significare che era passata solo un'ora e che io quanto a qualità scacciapensieri ero una frana.
Quel presentimento tornò a galla.
L'ultima volta che mio padre aveva fatto tardi a lavoro era stata un anno prima, pochi giorni antecedenti l'ultimo trasferimento.
Ma non era così.
Non poteva esserlo.
Non doveva esserlo.
Non questa volta.
Provai a riposare un po', a guardare la TV, ma niente riuscì a calmarmi.
Una volta sul divano crollai dalla stanchezza e dal timore che fosse come credevo.
"Assy, svegliati" Sentii delle mani scuotermi le spalle.
Aprii lentamente gli occhi e riconoscendo il viso di mio padre dissi: "Qual è il grande affare che hai concluso, papà?". Il tono di voce tra l'irritato e il confuso.
"Tesoro lo sa-", lo bloccai dicendo: "Un altro trasferimento!?". Oramai la voce solo piena di rabbia.
"È indispensabile" rispose non guardandomi negli occhi.
"Dove?" chiesi guardandolo inespressiva.
"Rainelle. Una cittadina a un'ora di volo da qui"
"Bene, io vado a letto, buonanotte"
"Ma Assy, io pensavo che ti sarebbe piaciuto cambiare aria, ti è sempre..."
"Non più"
Salii in camera mia, o meglio la ormai da considerare vecchia camera mia, come era avvenuto per tutte le mie stanze precedenti.
Chiamai Sophie che rispose al secondo squillo e le raccontai tutto.
Inutile dire che era scoppiata a piangere ripetendo che non era possibile.
Invece lo era.
Mi addormentai cullata dai suoi singhiozzi e dalla mia rassegnazione.
...
Mi alzai con i vestiti della sera prima e quel poco di matita che mettevo tutto impiastricciato.
Trascorsi la giornata a preparare le valigie con l'aiuto di Sophie, venuta come ogni sabato mattina, con la differenza che questo sarebbe stato l'ultimo. Restava a dormire da me in vista della partenza di domenica mattina.
"Dobbiamo ridere più che possiamo" aveva detto.
Questa volta ero già in piedi quando era entrata in camera per scaraventarmi giù dal letto bianco, che forse si rendeva conto di dovermi lasciare.
Tutte le mie vecchie case erano antiche proprio come in quella in cui mi trovavo ora ed in quella in cui sarei andata nemmeno tra trenta ore.
Ogni volta che passavo per i corridoi provavo nostalgia, ripensando a tutti i posti in cui ero stata.
Non approfittai del poco tempo restante con Sophie, mi ritrovai in un attimo senza capire cosa stesse succedendo.
Mio padre che montava le valigie.
Io che salivo in macchina con una Sophie che cercava di tranquillizzare più sé stessa che me.
I minuti che scorrevano inesorabili.

NIGHT BEGINS - Inizia Tutto Di NotteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora