Capitolo 16

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Credetemi quando vi dico che non capivo come fosse potuto succedere.
Non me lo spiegavo.
Non era fattibile.
Impossibile.
Erano passati pochi giorni da quando avevo lasciato Matt e ora mi ero trovata di nuovo sul letto di Fede.
Ora ero da sola in camera sua, lui se ne era andato poco fa, aveva fame o forse voleva scappare, aspettate un attimo: ero io che avevo fame e che volevo scappare, lui forse doveva solo mangiare qualcosa, non era tipo da scappare, io sì e quello era il momento giusto per farlo.
Mi rivestii alla velocità della luce, presi la mia borsa e aprii la porta che dava al balcone. Mia madre non era a casa quindi potevo passare da fuori per evitare di passare davanti a lui, non mi restava che sperare che non avesse chiuso la finestra della mia camera.
Ma venni colta in flagrante.
Federico arrivò inaspettatamente quando io avevo già un piede nel mio balcone, mi guardò perplesso ed io feci lo stesso, ero così imbarazzata che volevo sparire, "evaporare" come avrebbe detto Francesca.
Lui mi guardava con un sguardo che diceva: "Sei impazzita" e no, non era una domanda, ma una certezza.
Riportai la gamba dentro e cercai di spiegare: «Io... ehm, stavo cercando... Voglio dire...» lui era ancora più perplesso, allungò un braccio verso di me, in mano teneva un bicchiere pieno di succo.
«Volevo portarti da bere, ma se vuoi puoi far finta che io non ti abbia visto e fuggire» okay, ora potevo morire.
Mi avvicinai a lui e presi il bicchiere, iniziai a bere come se non avessi nient'altro da fare nella mia vita, e mentre bevevo lo guardai di sottecchi: indossava solo i jeans, nessuna maglietta, ma non vi descriverò di nuovo il suo perfetto fisico scolpito dalla mano di un dio. Okay. Fate finta che non l'abbia fatto.
«Oggi è stato un caso, diciamo che è "capitato"» dissi poggiando il bicchiere, «non accadrà mai più», lui annuì, «da domani io e te ignoreremo l'esistenza l'uno dell'altro», annuì di nuovo, «non ci saranno sguardi,» annuì, «tocchi,» annuì, «e soprattutto baci» annuì.
Oh, ma insomma! Perché non la smetteva! Tutto quel suo annuire mi aveva dato alla testa -oh forse era stato un'altra volta il suo profumo?-!
Gli presi il viso tra le mani e lo baciai.
Fu breve, ma intenso.
«Hai capito?» chiesi stupita di me stessa, stavolta lui scosse la testa, non aveva capito niente, doveva avere il cervello grande quanto una nocciolina che era stata mangiata da uno scoiattolo, ma in effetti non avevo capito niente nemmeno io, «questo» dissi, «era un esempio di quello che non deve più accadere, chiaro?» annuì.
Volete sapere la verità? Accadde di nuovo. Il giorno dopo, quello dopo e quello dopo ancora, e così sabato ero di nuovo "a casa di Francesca per studiare (capitemi)".
Non poteva andare avanti così, a scuola ci ignoravamo, tutto andava bene, poi in pullman boom! Non riuscivamo più a far finta di niente e dopo beh, succedeva quel che succedeva.
Dove sbagliavamo?
"Forse dovreste smettere di ignorarvi a scuola, potreste distribuire la vostra "energia" durante quelle cinque ore la mattina, comportandovi da amici, magari scambiandovi qualche attenzione in più", mi aveva detto Michele, poi però anche a lui era sorto il mio stesso dubbio: «Perché voi due siete amici, vero?».
Bella domanda.
Cos'eravamo io e Fede: amici? Amanti? Entrambi? Potevamo essere amanti se io non stavo più con Matt?
Dovevo smetterla di farmi queste domande, io e lui eravamo qualcosa, dovevamo capire cosa, farla funzionare, era chiaro che, fisicamente, non saremmo riusciti a stare lontani, dovevamo solo essere più vicini personalmente, e non ci saremmo riusciti se continuavamo a non rivolgerci la parola.
Quel sabato al mare era stato perfetto, eravamo riusciti a trovare il giusto equilibrio, fino a che non mi aveva baciata.
Avrei voluto che fosse così sempre.
Per questo domenica raccolsi tutto il coraggio che avevo, e bussai a casa sua.
Le 9:30 del mattino mi sembrava l'orario giusto, non troppo tardi, non troppo presto, mi aspettavo di trovarlo sveglio, vestito, lavato e pettinato, ma era chiedere troppo.
Suonai al campanello, ma nessuno venne ad aprirmi, riprovai ma niente.
Iniziai ad avere paura che fosse con qualcuna e, spinta dalla curiosità e forse un po' dalla gelosia, poggiai l'orecchio alla porta ed ascoltai. All'inizio non sentii niente, poi però riuscii a captare il rumore dell'acqua, si stava facendo la doccia, per fortuna, e se nella doccia non è da solo? Mi chiesi, impossibile.
Mi sedetti sulle scale ed aspettai una decina di minuti; quando riprovai a suonare, lui venne subito ad aprirmi.
Mi venne un infarto.
Aveva l'asciugamano legato in vita e tutto il corpo bagnato, il petto era imperlato di goccioline che scivolavano giù fino a raggiungere la vita per poi venire asciugate nell'asciugamano, i capelli gli ricadevano sugli occhi castani.
Ero senza parole.
«Ehy, ciao»disse lui come se fosse la situazione più normale del mondo, come se io non stessi bollendo dentro per quella visione divina. Io balbettai qualcosa, non so nemmeno io cosa, «sì, scusa ti faccio entrare» grazie mille, si spostò dalla porta lasciandomi spazio a sufficienza per passare, peccato che i miei piedi non volessero muoversi. Alla fine mi tirò lui dentro e poi chiuse.
«Scusa se prima non ti ho aperto, mi sono svegliato poco fa e non aspettavo nessuno» mi spiegò facendomi strada lungo il corridoio, io lo seguivo a poca distanza, impegnandomi a guardare solo i piedi, non la schiena, non le braccia o le gambe, ma i piedi, non volevo mandare a fanculo i miei buoni propositi ancora prima di iniziarli.
Quando arrivammo davanti alla porta della sua camera lui si fermò e mi guardò, «devo cambiarmi, vuoi entrare?» scossi la testa, meglio stare fuori, decisamente meglio, così lui entrò e chiuse la porta, dopo nemmeno un minuto la riaprì e mi fece segno di entrare.
Era la prima volta che entravo i camera sua con le mie gambe, non che fosse una cosa emozionante, il rapporto che avevo con lui andava un po' oltre l'ansia della camera già da qualche tempo, ma quello che vidi mi sorprese. Non era la camera di un maniaco squilibrato anzi. Tutto era al suo posto, il letto era fatto, la scrivania era in ordine e spolverata, sopra si trovava un vecchio computer, non vecchio come quello di mio nonno che sembra un scatola, ma comunque vecchio, di quelli che stavano in piedi e che avevano una tastiera, giusto per essere più chiari: non era un portatile, e per analogia con il suo cellulare aveva lo schermo rotto. Ma a stupirmi fu soprattutto una pila di libri accatastati gli uni sugli altri, non erano storielle come quelle che ero abituata a leggere io, ma veri e propri libri seri, con significati, del calibro de "Il signore delle mosche", poi in cima c'era un cd dei Queen e un bloc-notes con una penna infilata tra le pagine, forse la nocciolina non era stata mangiata da uno scoiattolo quand'era ancora nella culla, forse lo scoiattolo l'aveva vomitata.
Insomma camera sua era uguale a camera mia, dopo che entrava mia madre, come sapevo che quella non era opera di sua madre? Perché la camera matrimoniale aveva la porta aperta e così avevo notato che lì tutto era un caos e poi, parliamoci chiaro, Susanna non era tipa da mettersi a fare le pulizie nella camera del figlio, non era tipa nemmeno da fare pulizie in camera sua, quindi figuriamoci!
Forse non ero in imbarazzo, ma questo non toglie che non sapessi come muovermi, quando entravo in casa sua generalmente ero in braccio a lui e l'unica cosa che vedevo era... si, insomma, era... cosa vedevo? Avevo un vuoto di memoria. Probabilmente erano i suoi occhi tre secondi prima che ci lanciassimo sul letto e io perdessi completamente il controllo su me stessa.
Iniziai a farmi un sacco di complessi. Avrei dovuto sedermi sul letto? Ma non sarebbe stato sbagliato sedermi nel posto su cui avevamo fatto sesso il giorno prima? Forse dovevo usare la sedia, ma l'avrei dovuta spostare e non volevo fare movimenti di troppo; quindi stetti ferma davanti all'entrata, finché lui disse: «Siediti dove vuoi» la faceva facile! Ignorava tutti i complessi che mi stavo facendo!
Si buttò sul letto, incurante della mia indecisione, ed incrociò le mani dietro la testa, sembrava quasi una mossa studiata per farmi ripensare a quello che avevo combinato l'altro pomeriggio perché, come è ovvio, la maglietta si sollevò un po' scoprendo la fatidica "V sexy" che continuava scomparendo sotto i pantaloni, vi starete chiedendo perché guardavo li... Ehm... Non lo so! Distolsi subito lo sguardo puntando gli occhi verso una ben più interessante finestra, concentrati, Sara, concentrati!
Ovviamente a quel punto optai per la sedia, più lontana stavo da quel letto e da lui sopra quel letto, più i ricordi del giorno precedente si dissolvevano -si, come no!-, ma proprio mentre mi stavo per sedere, lui spostò la sedia con un rapido movimento del piede, inutile dirlo, io caddi stramazzando al suolo.
Quando alzai lo sguardo su di lui per urlargli contro, lo vidi seduto mentre si sporgeva verso di me con i gomiti sulle ginocchia e il mento appoggiato sulle mani, che mi guardava con aria di sfida.
«Non staresti più comoda sul letto?» mi chiese. Oh, no! Io preferisco questa vecchia sedia imbottita di gomma piuma, mezzo sfondata e "risistemata" con lo scotch! Che domande!
«No?» perché era suonata come una domanda? Perché?! Perché! Sghignazzò e io mi tirai su aggrappandomi al suo ginocchio, mi sedetti sul letto, vicino alla pila di libri e presi il taccuino, iniziai a sfogliare velocemente le pagine, era pieno di disegni, visi, corpi, mani, ma anche draghi e altre creature improbabili, in alcune pagine c'erano delle frasi tra virgolette, alcune le avevo già sentite, altre invece no, per quest'ultime solo in certi casi c'era scritta la fonte, nell'ultima pagina usata trovai un disegno di Archimede che lo guardava storto.
Federico si schiarì la voce, ma non aveva niente da dire, voleva solo ricordarmi per cosa ero venuta, si giusto, Sara, focus.
«Mi è venuta un'idea» esordii, «si, sai, per evitare quello che è successo mercoledì, e giovedì, e venerdì e sabato»
«Perché vuoi smettere di fare qualcosa che ti piace?» ma what? Siamo seri?
«Perché è una cosa sbagliata» lui proprio non voleva capire, non penso nemmeno che si impegnasse a non farlo, a volte mi sembrava che quella situazione lo divertisse, lo stuzzicasse, e io non riuscivo proprio a capire perché.
«Questo è il piano: dobbiamo distribuire il nostro ehm..."affetto" anche di mattina, quindi domani sarai autorizzato a parlarmi anche a scuola, ma prima ho bisogno di capire se possiamo essere amici»
«Cosa vuol dire?»
«Vuol dire che passeremo questa giornata insieme» lui annuì, non sapeva fare altro? 
Poi cadde il silenzio.
Tra amici capita che ci sia un momento in cui nessuno sa cosa dire, giusto? Forse no, ma fu grazie a quel silenzio che scoprii qualcosa di interessante su di lui.
In mezzo a tutti quei libri intelligenti c'era "Colpa delle stelle", lo presi tra le mani e lo sfogliai velocemente, molte parti erano evidenziate, gli chiesi se gli era piaciuto e lui fece spallucce, disse che non era niente di che e che se volevo potevo prenderlo, non me lo feci ripetere due volte e lo infilai in borsa. L'avrei letto tornando a casa, ora avevo una missione da compiere.

Autrice: spero che il nuovo capitolo vi piaccia, scusate gli orari improbabili i questi giorni e la monotonia degli aggiornamenti, ma il bello -spero- deve ancora arrivare.
Adios 💕

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