42. I fuorilegge dei fuorilegge

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Selena

«Sei stranamente silenziosa, oggi».

La voce di James Smoke ruppe la quiete dell'ultima ora e mezza. Alzai gli occhi dallo schermo luminoso, smettendo momentaneamente di trascrivere i dati di una ricevuta al computer, per puntarli sulla sua sagoma seduta dall'altra parte del tavolo.

Era passata poco più di una settimana da quando Harry ed io avevamo avuto l'incontro con il padre di Jane, ed era poco più di una settimana che continuavo a farmi paranoie su di lui. Non avevamo raccontato nulla alla bambina, limitandoci a mettere in guardia i ragazzi e Joe, nell'eventualità che Billy avesse voluto trovare il nostro indirizzo. Sarebbe bastata solo una parola detta senza volerlo, sarebbe stato sufficiente che qualcuno si fosse lasciato scappare una frase di più, e ci lui avrebbe trovati. Non doveva succedere. Ora, il problema James Smoke sembrava un nonnulla in confronto a quel pazzo drogato che voleva ammazzare Harry a tutti i costi, per non parlare di cosa avrebbe fatto a Jane se le fosse capitata a tiro.

Con James Smoke invece, le cose sembravano essersi placate un po'. La promozione che mi aveva fatto non era così male, a dirla tutta – ero convinta che avrei dovuto lavorare più duramente, invece trovavo quasi piacevole il compito da lui affidatomi. Insomma, dovevo solo riordinare le ricevute delle vendite e degli acquisti importanti che aveva fatto, e dovevo trasferire a computer i dati che lui voleva che io trascrivessi. I computer mi piacevano. Erano anni e anni che non entravo in contatto con i tasti delle lettere, e trovavo parecchio rilassante farlo.

«Non ho molto da dire,» risposi, leggermente più brusca di quanto avrei dovuto.

«Selena Parker che non sa cosa chiedermi?» ridacchiò, alzando un sopracciglio. «Hai già esaurito tutte le domande?»

Pressai le labbra in una linea sottile, evitando di rispondergli e facendo ricadere il silenzio. Nell'ultima settimana, avevo cercato di capire e di entrare nella mente di James Smoke, ponendogli questioni casuali qua e là, alle quali lui replicava sempre. Avevo scoperto che il suo cibo preferito era la bistecca, amava il libro de I Promessi Sposi perché l'Italia lo attraeva peggio di una calamita – il suo sogno era quello di visitarla da nord a sud, con una macchina poco costosa e la musica anni '80 come unica compagnia. L'Italia gli piaceva tanto, e quando gli avevo chiesto perché, aveva solo scrollato le spalle, dicendomi che era un diamante grezzo, e i diamanti grezzi erano ancora più preziosi di quelli già lavorati.

«Suvvia, Selena, neanche una piccola piccola domandina?»

Sbuffai, mi schiarii la gola e sparai la prima cosa che mi venne in mente: «Come si chiama la madre di Daniel?»

Il sorrisetto sul volto di Smoke si spense. «Vuoi sapere della madre di Daniel?»

«È quello che ho detto,» confermai. «Volevi una domanda a tutti i costi, quindi-»

«Sì, sì, lo so,» m'interruppe. «Norah, si chiamava. Norah Cooper. Ma non la vedo da quando è nato Daniel».

«Eravate sposati?» continuai, notando che l'anello che portava al dito era una fede d'oro. O per lo meno, mi sembrava proprio una fede.

«Sposati? No,» rise amaramente. «Non lo sono mai stato. Non credo nel matrimonio, benché meno nell'amore».

«E quello non è tuo, quindi?» indicai l'anello.

I suoi occhi verdi si puntarono sul piccolo oggetto che teneva attorno al dito, e «non è niente,» mormorò. Per un attimo parve scordarsi della mia presenza – era lì che lo guardava, attento, rigirandoselo ora in senso orario, ora in senso antiorario, e faticai a credere che un ninnolo così bello non avesse un qualche significato, per lui.

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