CAPITOLO 1

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«Kate...»


Una voce familiare interruppe il mio sonno. Ma non ci badai particolarmente.


«Kate, svegliati!»


«Ancora cinque minuti...» dissi assonnata e mi girai dalla parte opposta, lasciandomi alle spalle quella fastidiosa voce.


«Cinque minuti?» ripeté la mia migliore amica. «Hai almeno idea di che ore siano?» mi chiese spazientita vedendo che non mi sarei alzata.


«Sinceramente no e non mi importa» dissi, prima di nascondermi sotto le coperte nella speranza che Emily mi lasciasse dormire ancora per un po'.


Emily era una ragazza dolce, sempre a cercare il meglio nelle persone. Era la mia migliore amica sin da quando avevo memoria, non avevo un singolo ricordo in cui lei non ci fosse.


Le volevo un bene dell'anima ma quando si metteva in testa qualcosa diventava insopportabile.


«Sono le 6:30 del pomeriggio e ho passato gli ultimi tre quarti d'ora a convincere tua madre a farti dormire da me, e sai com'è fatta. Non è stata affatto un'impresa facile, per cui muoviti a prepararti perché andiamo a una festa» mi annunciò Emily entusiasta.


A quelle parole mi alzai di scatto.


«Una festa?» ripetei incredula. «Lo sai che non amo le feste, specialmente quelle a cui non siamo nemmeno invitate» continuai sperando di convincerla almeno un po' a non andarci.


«Per una volta potresti fare un piccolo sforzo per me?» chiese con la faccia da cucciolo. «E poi... Attenzione, attenzione...»


Avevo paura di quello che stava per dire.


«Nethan Harrison in persona mi ha invitata e mi ha detto di invitare un'amica!» disse euforica come non l'avevo mai vista.


Come ogni liceo, il nostro aveva la sua gerarchia.


Nethan apparteneva al gruppo dei popolari, coloro che governavano la scuola. Era famoso per le sue feste spettacolari, che nessuno riusciva a riprodurre, e per essere il migliore amico del più popolare in assoluto: Alex Jackson.


Probabilmente la loro notorietà derivava da quante ragazze si erano portati a letto e dalla reputazione di "cattivi ragazzi". A mio parere erano solo degli stronzi montati.


Mio fratello mi aveva parlato di Alex. Non cose belle. Non capivo come potesse rimanerci amico dopo tutte le storie che era solito raccontarmi. Sapevo che mio fratello non sarebbe mai uscito con una persona così ed era per quello che Alex mi incuriosiva. Avrei voluto sapere cosa di lui aveva spinto mio fratello a stargli vicino. Ma probabilmente non ne sarei mai venuta a conoscenza, le persone come me e quelle come Alex erano come due specie diverse, non avrebbero mai potuto comunicare.


Non sapevo come avesse fatto Emily a farsi invitare da Nethan Harrison, ma era talmente felice che non riuscii a dirle di no. Così mi alzai e preparai la borsa per andare a dormire da lei.


Arrivate a casa sua, ci iniziammo a preparare.


Non adoravo mettere vestiti, li trovavo scomodi e assolutamente inutili, ma feci un altro sforzo per Emily e ne indossai uno.


«Oh mio Dio, Kate! Questo vestito ti sta tremendamente bene. Ti fa risaltare gli occhi e le forme» Dicendo l'ultima parola Emily mi fece l'occhiolino.


Mi guardai allo specchio e non vidi nulla di speciale. La solita me, ma con un vestito.



La festa era a casa di Nethan, una villa dalle dimensioni inimmaginabili.


Si riusciva a sentire la musica persino da due isolati prima.


Emily bussò e venne ad aprirci un ragazzo decisamente ubriaco, ci fece entrare senza fare troppe domande.


La casa era piena di ragazzi brilli e di gente che si strusciava l'uno contro l'altra, c'era puzza di alcol - troppa per i miei gusti - e la musica copriva qualunque altro rumore.


Non avevo mai capito questa voglia di andare alle feste solo per devastarsi e approcciarsi con persone che non vedrai mai più nella vita, perché troppo fuori di te quella sera per ricordartele il giorno dopo.


Esplorammo un po' la casa, Emily voleva trovare Nethan.


Per caso finimmo in una piccola stanza al secondo piano in cui era riunito un ristretto gruppo di persone.


Feci in tempo a riconoscere solo Alex e Nethan, prima che quest'ultimo iniziasse a parlarci.


«Benvenute, ragazze. Volete unirvi a noi?»


Stavo per declinare l'invito ma Emily mi precedette.


«Certamente, a cosa state giocando?»


«Obbligo o verità.»


Dopo quella risposta me ne sarei voluta andare volentieri ma vidi che Emily stava morendo dalla voglia di restare, per cui lo feci anche io.


«Ma non pensate che rifiutarsi di rispondere o di fare un obbligo sia così semplice. Infatti, l'unico modo per evitare ciò che qualcuno vi ha imposto è quello di pagare una bella sommetta decisa dagli altri giocatori, a seconda del peso della domanda o dell'obbligo. Siete ancora sicure di voler rimanere?» continuò Nethan.


Emily annuì e si andò a sedere accanto a lui. Io analizzai la stanza e trovai una sedia libera su cui potermi sedere.


Fecero girare una bottiglia per scegliere la prima vittima di quello stupido gioco. Toccò a una ragazza del corso di nuoto, che scelse verità. Le chiesero di raccontare la sua prima volta, e così fece. Più il gioco andava avanti, più mi annoiavo, quindi smisi di seguirlo con particolare attenzione.


Ripresi ad ascoltare quando la bottiglia indicò Alex, che scelse obbligo.


«Vediamo, vediamo... Alex, penso di averne uno perfetto per te» disse Nethan con un ghigno. «Dovrai presentare una ragazza come tua fidanzata alla tua famiglia, e lei dovrà fare lo stesso. Questa messa in scena dovrà durare fino alla fine dell'estate, cioè per tre mesi. Allo scadere dell'obbligo dovrete fingere un fatale litigio che farà credere la vostra rottura definitiva.»


«Non c'è problema, ci sarà da divertirsi. Chi è la fortunata?» chiese Alex con il suo solito comportamento vanitoso ed egocentrico.


«Lei» rispose Nethan indicando una ragazza.


Ci misi qualche secondo a realizzare che la ragazza che stava indicando fossi proprio io.


«Io?!»


«Lei?!»


Chiediamo all'unisono sbalorditi.


Non ci potevo credere, ero riuscita a rimanere invisibile per tutta la serata e dovevo essere notata proprio in quel momento?


«Non credo sia una buona idea» dissi, sperando che Alex mi sostenesse.


«Hai paura?» ribatté invece con aria di sfida.


«Io non ho paura» sibilai sostenendo il suo sguardo.


Ma stavo mentendo a lui e a me stessa: un po' di paura, ce l'avevo. Decisi di utilizzare l'orgoglio come scusa per accettare quella sfida, quando in realtà l'unico motivo per cui accettai era la curiosità incontrollabile che avevo di conoscerlo. Volevo sapere che cosa si celava dietro tutte quelle leggende che portavano il suo nome.


«Bene, allora per te non è un problema?»


«No, affatto, ci sarà da divertirsi» conclusi cercando di sembrare convinta.


Invece ero sicura di tutto il contrario: non ne saremmo usciti vivi.


Obbligo o Verità #Wattys2018Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora