I. Normalità

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Gli occhi mi si aprirono lentamente per riuscire ad adattarsi alla debole luce presente nella stanza. Il sole aveva cominciato a penetrare dalla finestra, situata a destra del mio soffice letto, facendomi capire che dovevo alzarmi se non volevo arrivare in ritardo per l'ennesima volta alla verifica di storia. Mia sorella, Lilian Amber, era raggomitolata su se stessa mentre stava terminando le sue ultime ore di sonno. Era una delle prime volte che mi svegliavo per prima e non potei fare a meno di osservare la posizione in cui era accovacciata. Stringeva al petto le gambe mentre una ciocca dei rossi e folti capelli le copriva l'occhio destro che si trovava serenamente socchiuso. Accesi il telefonino che era appoggiato sul comodino per poi sussurrare a Lily che era ora di svegliarsi. La nostra stanza non era grandissima ed era una cosa che mi faceva piacere. Avevo sempre amato i posti piccoli perché davano una certa intimità e mi piaceva poter condividere qualcosa solo ed esclusivamente con lei. La nostra casa era come altre mille ma come famiglia eravamo veramente unici. I signori Wood ci avevano adottate cinque anni prima, il giorno del mio undicesimo compleanno. Ricordavo che mi trovavo seduta su una poltrona situata vicino al caminetto del salone con Lily appoggiata sulle mie ginocchia. In quel momento desideravo fortemente di sentire i passi imponenti di un uomo provenire dalla porta pronto a consegnarmi una lettera scritta su pergamena. Volevo fuggire e vedevo come unica possibilità la comunicazione di ammissione alla Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts. Ad entrare fu invece Caroline Wood che si dimostrò subito una valida nuova mamma. Tutto proseguì al meglio, non potevamo desiderare genitori migliori. Ovviamente a volte rimpiangevo le serate davanti al focolare a sentire mia mamma raccontare una storia ma dopo un po' di tempo imparai ad amare la semplicità della mia nuova vita. Non fu molto difficile poiché mi era stato diagnosticato un forte trauma emotivo causato dalla perdita di mia madre: ricordavo poco della mia vecchia vita e a volte adoravo sentire Lily raccontarmi qualcosa di bello.
Lily, che per me era solo Amber, si alzò cominciando a vestirsi e aiutandomi a smettere di ricordare. «Ehi, Opal.» mi sussurrò dirigendosi verso l'interruttore della luce. «Sbrigati o faremo tardi» aprì gli occhi castani lentamente e sfregandoli per via della luce a cui non erano più abituati dopo la lunga notte. Era una delle poche persone che mi chiamava così e la cosa non mi dispiaceva. Possedevamo entrambe un secondo nome, quello di una pietra preziosa, che utilizzavamo solo quando conversavamo tra noi due.
Presi un paio di jeans dall'armadio per poi indossarli con una maglietta gialla. Aprii il guardaroba per specchiarmi e sorrisi nel vedere il mio riflesso. Ero fiera di come stavo crescendo. I capelli rossi, ereditati da mia madre, mi ricadevano sulle spalle, pronti ad essere avvolti in una semplice e disordinata treccia che metteva in risalto le centinaia di lentiggini che popolavano le mie tempie fino ad arrivare sotto gli occhi grigi. Non ero altissima ma per lo sport che facevo, scherma, era sempre andato benissimo. Amber si avviò verso la porta seguita a ruota da me. «Buongiorno bellezze!!» esclamò Caroline, già allegra di buona mattina, «riposato bene?»
«Come al solito» esclamò Amber vaga. Speravo non avesse avuto nuovamente i suoi soliti incubi ma ero certa che se fosse accaduto me ne avrebbe parlato appena ci fossimo trovate noi due da sole.
«Molto bene, grazie Caroline» risposi io.
«Oggi pomeriggio finisco nuoto più tardi. Te ne avevo parlato, giusto?» domandò mia sorella. Caroline annuì. Avrei quindi dovuto trascorrere tutto il pomeriggio da sola a casa costretta a studiare. Ovviamente non sarebbe stato così. Non avevo quasi mai studiato eppure la media del nove non mi aveva mai abbandonata nonostante il liceo che frequentassi fosse molto complicato. Mangiammo colazione veloce per poi avviarci a scuola dove Marlene mi stava aspettando. La felpa nera con la zip aperta sui pantaloni dello stesso colore la facevano sembrare un tipo sospetto. Mi avvicinai a lei cominciando a stuzzicarla. Non potevo vivere senza i nostri battibecchi, ormai andavamo avanti così senza aver mai avuto una litigata seria. Mentre ci avviavamo verso l'entrata della classe non potei fare a meno di continuare a pensare alla posizione di Lily; lei che era sempre tranquilla e che la mattina era già in piedi con il calar del Sole era rimasta addormentata. Mi sembrò indifesa e le parole di Marlene erano solo un sottofondo dei miei pensiri.
«Annie mi senti?!» esclamò svolazzando la mano davanti al mio viso. Annuì silenziosa quando lei continuò il suo discorso. «Quindi non sono ben preparata. Per fortuna, come ti dicevo, ho avuto un sogno premonitore e sono certa del fatto che oggi il professor Cox sarà assente.» Sorrisi all'affermazione di Marlene, faceva sogni premonitori una verifica sì e due no e ovviamente non si rivelavano veri neanche il 50% delle volte. Quando entrammo in classe, infatti, alcuni banchi erano già stati separati pronti per invogliarci ad affrontare la temibile verifica di storia. Il signor Cox era seduto davanti alla cattedra pronto a distribuire i compiti. Mi sedetti in un banco rimasto vuoto e Marlene si precipitò vicino a me.
«Signorina Smith» disse il professore rivolto alla mia amica «ho preparato un posto qui per lei». Marlene lo seguì per inviarmi alcuni sguardi svogliati dal lato opposto della classe.
L'esercitazione fu più facile del previsto. Le frasi uscivano dalla mia mente prima che io potessi pensarle, mi sembrava di svolgere un sudoku facilitato, quello in cui ti danno già così tanti numeri che non ha nemmeno senso provarci. Alcuni minuti prima della fine avevo terminato, pronta a consegnare e a sentire le lodi del professore che accovacciato sulla sedia dietro la cattedra mi fissava curioso. Sembrava intento a leggermi nella mente ma in realtà non sapevo neanche io ciò che stavo pensando. Rilessi le frasi decine di volte fino a quando il tempo fu scaduto per tutti. Marlene si avvicinò a me con la faccia stanca e pronta a lamentarsi.
«Era troppo difficile. Troppo!» disse furiosa. Assecondala. Pensai. In fondo non sarebbe stato difficile ma dire la verità era una cosa che mi veniva naturale così negai le sue riflessioni. «Non così tanto. Diciamo che era passabile.» La sua bocca si contorse in una smorfia per poi scoppiare a ridere «Per te, Minerva». Mi infastidiva quando mi chiamava così. In particolare quando lo faceva con l'obiettivo di stuzzicarmi e paragonarmi a Minerva, la Dea romana della Sapienza. Le altre ore trascorsero veloci mentre la mia mente cercava una via di fuga. Amavo rifugiarmi nelle cose che all'apparenza non erano reali, lo erano nella mia mente e questo bastava. Forse iniziai ad amare la lettura per questo motivo o forse perché ero spinta da mia madre che mi incitava sempre a leggere e a raccontare le storie che mi avevano cambiata. Desideravo ricordare meglio la donna che mi aveva messo al mondo più di ogni altra cosa e poter osservare la fotografia che Amber teneva sempre nascosta nella tasca del cappotto, ma non avevo il coraggio. Passai una mano dietro la schiena per spostare la treccia e gli occhi verdi di Marlene si posarono sul mio volto per cercare di consolarmi e per farmi capire che lei c'era e che, in qualche modo, stava portando quel peso con me. Ma a volte non poteva bastare, a volte la strada è così ripida che non basta l'aiuto di una sola persona.
Quando le lezioni finirono uscimmo dall'aula per dirigerci a casa. Avrei invitato Marlene da me per non restare da sola ma volevo terminare il regalo che stavo creando per il compleanno di Lily. La salutai davanti al portone della scuola quando lei si diresse nella direzione opposta. Quando giunsi davanti alla porta di casa, presi le chiavi dalla tasca dello zaino per poi inserirle nella serratura e farle fare tre giri. La porta si aprì e mi diressi velocemente verso la cucina. Mangiai pranzo per poi rintanarmi in camera a leggere e a fare ciò che avevo programmato. Preparai le tempere che avevo precedentemente comprato e iniziai a ricopiare lo schizzo di un disegno che adorava sulla maglietta bianca che le avrei regalato. Quando decisi di fare una pausa notai che la pioggia aveva cominciato a cadere lentamente e centinaia di gocce d'acqua stavano popolando il vetro di camera mia. Erano belle, tutte vicine, all'apparenza uguali ma se guardate bene diverse. Sul vialetto sotto casa due signori anziani camminavano sorreggendosi l'un l'altro sotto un ombrello violaceo sbiadito. La signora, facendo attenzione a non scivolare, sorrideva al marito dimostrandole tutto l'affetto che provava mentre lui si impegnava a tenerle la mano in segno d'amore. La scena mi fece sorridere e aprii la finestra per osservarli meglio. Immediatamente mi accorsi dell'aria che si stava impossessando della mia stanza. Eppure ero convinta che poco fa piovesse soltanto e che i fusti degli alberi davanti a me non oscillassero così veloci. La finestra si aprì sempre di più costringendomi a cercare di prendere al volo i numerosi fogli che stavano svolazzando via. L'aria li stava trascinando fuori e la mia mano li seguì istintiva per paura di perderli: erano i miei ultimi disegni e non avevo alcuna intenzione di regalarli al vento. Ma proprio in quell'istante mi accorsi che l'acqua mi evitava come due poli positivi di un magnete che non si attraggono, come se fossimo due parti uguali che non riescono a combaciare. Poi, in pochi istanti, senza che potessi avere il tempo di pensare, una mano mi raggiunse nel mulinello che istintivamente si stava creando attorno alla mia e poi iniziò a trascinarmi con una velocità allucinante verso qualcosa di sconosciuto.

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