Davanti al padrone

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Il viale che portava alla tenuta era un percorso immerso nell'abbraccio di alberi secolari, che impedivano alla vista di spingersi in profondità. Eleanor sapeva perfettamente che cosa avrebbe trovato quando fosse arrivata alla fine: la penombra creata dalle fronde avrebbe lasciato finalmente spazio alla luce e lo sguardo sarebbe stato libero di abbracciare la sterminata opulenza che quel posto trasudava. Del resto la ricerca del lusso era una consuetudine negli ambienti nobiliari, soprattutto quando vedeva implicati gli Spencer, una casata antica e influente, ossessionata dalla rispettabilità del proprio nome. Vantavano una linea di sangue immacolata, mai sporcata da matrimoni intrecciati con mercanti arricchiti o da figli illegittimi avuti da popolani. Ufficialmente non esistevano vergogne, non c'erano scandali, non una macchia che intaccasse il prestigio del casato.

L'altra faccia della medaglia, però, parlava di un'oscurità che a stento riuscivano a scrollarsi di dosso. Circolavano voci insistenti che mormoravano di complotti aggrappatisi alla storia della famiglia Spencer come un'epidemia. Parlavano di giochi di potere, di legami scellerati, di amicizie corrosive che finivano per trascinare nel sangue chiunque fosse nato sotto il loro nome.

Non c'era da stupirsi che quell'aura di timore non si fosse mai placata: aveva gravitato attorno ai conti da che Eleanor ne aveva memoria. Ricordava perfettamente come da bambina cadesse vittima degli scherzi dei suoi fratelli, costretta a prestarsi a stupidi giochi che avevano come soggetto preferito proprio la dinastia Spencer. I ricatti, le penitenze... Ogni cosa era costruita sul loro nome, come se fosse l'unica argomentazione abbastanza forte da spaventare. Come se gli Spencer fossero una paura ancestrale.

Ricordava bene anche le sfide di coraggio che i suoi fratelli le lanciavano: chi si avvicinava di più al cancello di Gladstone vinceva il titolo di più coraggioso. Era l'appellativo a cui tutti ambivano, un marchio di prodezza capace di garantire credibilità anche al bambino più piccolo e secco.

Un desiderio inseguito attraverso prove molto ardue, e avvicinarsi alla tana dell'orco era una prova durissima per la piccola Eleanor.

Se da bambina qualcuno le avesse predetto che il suo destino si sarebbe intrecciato con la famiglia Spencer, avrebbe negato con convinzione. Probabilmente si sarebbe messa a ridere per non sembrare impressionata, salvo poi andare a sfogare le sue ansie da bimbetta intimorita dietro le gonne rassicuranti di sua madre. Invece eccola lì vent'anni dopo, a fronteggiare l'imponenza di Collingwood.

Al servizio degli Spencer per la seconda volta.

Spera di essere piazzata alle cucine, Eleanor. Renderà tutto più indolore.

Il lusso esibito all'esterno della tenuta si rivelò poca cosa in confronto all'immensità del salone d'ingresso, un tripudio ostentato di marmi, decori, quadri e tendaggi capaci di inchiodare con la propria maestosità chiunque calpestasse quei pavimenti, facendolo sentire insignificante.

"Guardate cosa vuol dire essere uno Spencer", questo era il messaggio che si doveva respirare tra quelle pareti, ed Eleanor ne fu vittima a tutti gli effetti. Rimase lì, la bocca aperta in un'espressione stupita e gli occhi rivolti al soffitto, la valigia stretta nella mano e gli abiti consumati con cui copriva l'orgoglio umile dei propri natali. Il popolino e la reggia del Re.

Avrebbe dovuto esserci abituata, e invece...

Che ci faccio qui?

«Posso aiutarti?»

Eleanor si voltò annaspando mentre l'ombra di quel pensiero scoraggiato pesava ancora sulla coscienza. Ad averle offerto aiuto era stata una ragazza giovane, probabilmente coetanea, sicuramente un membro della servitù a giudicare dall'abbigliamento modesto e dal cesto di ortaggi che reggeva sottobraccio. La crocchia che le acconciava la testa era ammorbidita dalle ore di lavoro e i suoi occhi – castani proprio come i capelli – erano curiosi e disponibili.

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⏰ Ultimo aggiornamento: May 30, 2016 ⏰

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