La neve cadeva fitta sulle strade affollate di Londra, ricoprendole di una leggera coltre bianca e morbida. Decine di bambini si apprestavano ad uscire dalle loro abitazioni, lanciandosi palle di neve e ridendo tra loro, contenti di aver saltato un'altra giornata di scuola.
Era inverno inoltrato, a Londra, ed il Natale era ormai vicino. Uomini e donne, ragazzi e ragazze di tutte le età giravano di negozio in negozio, in cerca del regalo perfetto.
Tutto andava bene, si era creata un'atmosfera di serenità e di calma in città. Difatto, al momento non sembravano esserci pazzi criminali vaganti per le strade di Londra per provocare casini.
Ciò, ovviamente, rese la popolazione più serena, più calma.
O almeno, questo riguardava la maggior parte della gente... Eccezion fatta per lui.Un nome. Sherlock Holmes. Residente al 221B di Baker Street e famoso in tutta Londra per le sue abilità sovrannaturali.
Un genio, lo considerava la gente. Un impostore, lo accusavano altri.
Ma Sherlock non era nessuna di queste cose. In realtà, nessuno sapeva esattamente che cosa fosse.
Un ladro? Un angelo? Un genio? Poco importava.
Per tutti però era colui che aveva reso grande Londra e che l'aveva salvata in molteplici occasioni, provocandone al contempo la caduta.
Sarebbe riuscito a descrivere la vita di ogni individuo gli si fosse presentato davanti, senza alcuno sforzo.
Era un uomo schivo, freddo, distaccato e scorbutico con tutto e tutti. Beh, eccezion fatta per il suo fedele assistente, il dottor John Watson.
Erano colleghi, loro due, e fin da subito tra loro si era instaurato un legame profondo, per alcuni anche più di una semplice amicizia. Ma i due non sembravano accorgersi di nulla.
Si limitavano a fare quello che sapevano fare meglio: investigare.
Tuttavia, di quei tempi, non c'era molto da fare per loro: arrivavano sempre meno clienti e, a parere di Sherlock, erano tutti noiosi.
Quindi li cacciava via, senza un secondo pensiero. John ci aveva fatto l'abitudine, a quello strambo comportamento. La cosa che gli seccava di più però era scusarsi in seguito con le "vittime" del suo strano coinquilino. In realtà, a pensarci bene, si era dovuto abituare a tantissime cose, come... Trovare teste umane nel frigorifero, cadaveri in decomposizione sul letto, occhi insanguinati e chi più ne ha più ne metta!
E tutta questa faccenda di non avere casi e omicidi da risolvere stava rendendo Sherlock più irritante e irrequieto del solito: inveiva contro la televisione, sparava all'una del mattino senza un apparente motivo e torturava il povero John ventiquattr'ore su ventiquattro.
Fu una fredda mattinata di fine novembre che il dottore decise che fosse arrivato il momento di mettere un freno.Era sceso presto per fare la spesa, poi aveva fatto colazione con Molly, ed infine era tornato all'appartamento, canticchiando una vecchia canzoncina di Natale.
Quando aveva aperto la porta però... Si era trovato davanti il chaos più totale. Le sedie e il tavolo erano rovesciati, il pavimento macchiato di chissà quale sostanza, la cucina in uno stato pietoso.
E Sherlock.. Beh, lui ovviamente era a testa in giù sul pavimento, i piedi all'aria, gli occhi chiusi e l'espressione concentrata.
John era rimasto a guardarlo a bocca aperta per almeno un minuto, incapace di spiccicare parola.
«Cosa... Cosa diavolo hai combinato, si può sapere?!» gli domandò alla fine, posando la busta con la spesa a terra e prendendo a gesticolare come un matto.
Sherlock tuttavia non si scompose: rimase in equilibrio sulla testa, in quell'assurda posizione, senza degnare il compagno di una risposta.
"Ovviamente" pensò John, alzando gli occhi al cielo e guardandosi intorno.
«Se ti aspetti che pulisca questo schifo, Bè, ti stai sbagliando di grosso!» esclamò, dirigendosi in cucina ed aprendo il frigorifero, solo per trovarsi un orecchio congelato su uno degli scomparti.
«Oh cielo..» fece, schifato, per poi richiudere lo sportello con un tonfo sordo.
«Potresti stare zitto per un momento, John? Sto cercando di entrare nel mio Palazzo Mentale» borbottò Sherlock in risposta, il tono annoiato e gli occhi ancora chiusi.
Il dottore alzò gli occhi al cielo per l'ennesima volta. «Ma certo, ovviamente, il tuo Palazzo Mentale.»
Con uno scatto e un sospiro frustrato, l'investigatore si rimise in piedi, fissando John estremamente contrariato.
«Sto impazzendo, John! Ero entrato nel mio Palazzo Mentale per vedere se avevo rimasto qualche caso in sospeso, ma nulla! Questa città è così maledettamente noiosa!» fece, sbuffando e lasciandosi cadere placidamente contro la poltrona, la testa tra le mani.
John lo guardò con un sopracciglio alzato. «Non puoi cimentarti in qualcosa di diverso?»
«Mi spiace, ma le attività di voi gente comune non mi attirano granchè.»
«Certo, immaginavo» replicò il dottore, schiarendosi la gola.
Sherlock sbuffò, raggiungendo il telecomando ed accendendo la televisione, non mostrando il minimo accenno di voler sistemare il casino che aveva combinato nel loro appartamento.
Fece zapping tra i vari canali, borbottando tra se e se parole come "Noioso" o "Infantile" o anche "Robaccia inutile"
Andò così per un paio di minuti, finché John non si decise a parlare: «Non puoi continuare così, Sherlock, la tua vita non dipende solo dagli omicidi!»
«Certo che sì!» replicò traumatizzato l'investigatore, come se il compagno gli avesse appena detto di essere incinto.
«Certo che no! Senti, capisco che ami il tuo lavoro ma, andiamo, non esci da qui da mesi!»
«Forse perché da mesi non accade qualcosa che possa attirare la mia attenzione.»
«Beh, ma forse potremmo-» John si interruppe, vedendo Sherlock fermarsi ed osservare lo schermo della televisione con quello che doveva essere interesse. Aumentò il volume al massimo, cosicché la voce del giornalista sullo schermo si sentisse chiara e tonda.
«...questo è l'ennesimo omicidio irrisolto alla misteriosa cittadina di Beacon Hills. Sembra incredibile come una città così piccola possa nascondere così tanti segreti! Negli ultimi anni, infatti, questa sembra essere diventata la patria degli omicidi e delle scomparse misteriose, visto che non si riesce ancora a spiegare come-»
La voce del giornalista venne bruscamente interrotta da Sherlock, il quale, con un movimento secco aveva spento la TV, alzandosi in piedi di scatto, raggiante.
«Beacon Hills, ma certo!» gridò, prendendo John per le braccia e fissandolo negli occhi «La gente non fa che parlarne! La caverna degli omicidi e delle sparizioni, la chiamano. Come ho fatto a non pensarci prima?!»
Mentre parlava, aveva iniziato a gironzolare per la stanza, gesticolando sotto lo sguardo sconvolto di John Watson.
«Io non ne ho mai sentito parlare» disse quest'ultimo, fissando il compagno con un sopracciglio alzato.
Sherlock scrollò le spalle. «Oh, nemmeno io.»
«Cos- ma hai appena detto...»
«Le domande dopo, John!» lo interruppe l'investigatore, infilandosi il suo amato giubbotto nero e sistemandosi il colletto. «Metti nelle valigie qualche straccio, partiamo per Beacon Hills!»
John lo fissò sconvolto. «Che cosa?! No, io non vado da nessuna parte, te lo scordi, non possiamo abbandonare Londra!»
«Oh sì che possiamo, e lo faremo»
Il dottore scosse ferocemente la testa, incrociando le braccia al petto. « Te lo scordi, io non ci vengo con te, non puoi obbligarmi! Non mi muovo da qui. Fine della storia.»Due ore dopo, John Watson era legato come un salame sul sedile posteriore di un taxi, con accanto quel bastardo di Holmes che sorrideva beffardo, guardando fuori dal finestrino.
«Non posso credere che tu l'abbia davvero fatto!» disse John, in preda al fastidio e all'umiliazione. Si ribellò contro i lacci che lo tenevano legato, ma senza alcun risultato.
«Io non ho fatto nulla.» disse Sherlock, quel sorriso strafottente ad occupargli il volto.
John lo avrebbe ucciso con le sue mani. Quello era poco ma sicuro.
«Sai che potrei gridare al tassista di fermarsi e di chiamare la polizia, giusto?» fece il dottore a bassa voce e
Sherlock scoppiò in una fragorosa risata. «Non lo farai. Anche perché lui...» e indicò il tassista «Mi deve un favore»
Come se si sentisse chiamato in causa, l'uomo al volante di voltò verso di loro con un enorme sorriso in volto.
«Oh sì, e anche più di uno! È un grand'uomo, questo Sherlock Holmes! Tenetevelo stretto, signore»
John non poté fare a meno di alzare gli occhi al cielo, borbottando un:
«E ti pareva...»Dopo neanche un'ora di viaggio i due si trovavano all'aeroporto di Londra, pronti a partire.
«Vorresti slegarmi, per piacere?!» fece John, mentre si apprestavano a salire sull'aereo sotto gli sguardi sconvolti dei passeggeri.
«Nah, così è più divertente» gli sussurrò Sherlock, ridacchiando e guadagnandosi una sonora occhiataccia da parte del compagno. «Quasi quasi ti metto anche del nastro adesivo sulla bocca»
Proprio quando i due stavano per accomodarsi - chi felicemente e chi meno - una voce conosciuta li fece voltare di scatto.
«Sherlock? Che diavolo ci fai qui?!»
Mycroft, uno dei più importanti pezzi grossi del governo inglese e antica nemesi di Sherlock (suo fratello, per farla breve) comparve davanti a loro, l'espressione contrariata.
«Ma buongiorno, fratello» disse Sherlock in tono sprezzante, non degnandolo di uno sguardo. «Qual buon vento ti porta?»
«Sherlock... Che stai facendo? Che ci fai su un aereo?»
«Oh beh, pensavo di fare una vacanza... Ti dispiace? Dopotutto, è Natale! Oh e mi duole aver saltato la cena di famiglia ma sai com'è... » assunse un'espressione falsamente dispiaciuta, prima di sedersi e prendere un giornale, nascondendo così il suo volto al fratello, il quale sospirò, alzando gli occhi al cielo.
«Sherlock, non puoi andartene da Londra!»
«Oh sì, posso, e lo farò»
«Ma...»
«Santo cielo, Mycroft! Puoi andare ad infastidire qualcun altro?»
Mycroft roteò gli occhi, spostando lo sguardo su John e spalancando gli occhi:
«Perché... Perchè sei...»
«Legato? Oh, lunga storia. » fece John, come se la cosa non avesse importanza.
Mycroft spostò lo sguardo su Sherlock, il quale aveva bellamente deciso di ignorarlo e sul dottore, che lo fissava con un sopracciglio alzato.
«Non è finita qui, Sherlock!» disse infine, puntandogli il dito contro ed uscendo dall'aereo, con le sue guardie al seguito.
«Controllo finito, ragazzi, possiamo andare»L'aereo decollò dopo quelle che a John parvero ore.
Guardò fuori dal finestrino, vedendo la città di Londra rimpicciolirsi man mano che salivano di quota.
«Perché Mycroft voleva che rimanessi a Londra?» chiese infine a Sherlock, al fine di rompere il ghiaccio quel tanto che bastava per iniziare una conversazione decente.
«Vuole tenermi d'occhio.» si limitò a rispondere Sherlock, non staccando lo sguardo dal giornale che teneva tra le mani. «Potresti per favore cercare su internet qualche informazione in più su Beacon Hills?»
John lo guardò sconvolto. «Così legato?»
«Va bene, faccio da solo» fece Sherlock, raggiungendo la valigia del compagno e prendendo il suo computer senza tanti complimenti.
«Ma...» borbottò John, sbuffando ed appoggiando la testa sullo schienale.
Sarebbe stato un lungo viaggio.ANGOLO AUTRICE:
Salve a tutti, signore e signori, ed eccoci ritrovati in una nuova, pazza... Storia (?). Non saprei bene come definirla. So solo che mi frullava già da un po' l'idea di far scontrare gli universi di Teen Wolf e Sherlock, completamente diversi gli uni dagli altri.
Da un lato, il sovrannaturale, dall'altro, la scienza. Inutile dire che entrambi mi hanno spinto a creare questa storia.
Sherlock l'ho iniziato a vedere da poco, ma mi ha colpito fin da subito. (Devo finire la terza stagione ma non ho resistito, DOVEVO, e dico DOVEVO scriverci qualcosa)
Eeeee niente, è la prima fanfiction sia su TW che su Sherlock, per cui vi prego di essere clementi. Mi dispiace se magari il carattere di Sherlock e John non è fedele alla serie... Insomma, ditemi voi!
Detto questo, vi saluto e ci vediamo al prossimo capitolo!
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Detectives in Beacon Hills
FanfictionSherlock è annoiato. Incredibilmente annoiato. E tutti - John Watson per primo - sanno che può diventare davvero intrattabile, senza un caso da risolvere. In una fredda mattinata di novembre però, qualcosa sembra attirare l'attenzione dello geniale...