Il mio primo ricordo é l'odore di mia madre. E il sapore del suo latte. Dovevo faticare, dovevo scavalcare e schivare i corpi morbidi dei miei fratelli e delle mie sorelle per arrivare a lei e al latte che mi avrebbe riempito lo stomaco vuoto. Ma io mi agitavo e spingevo con le zampette malferme, avanzando di un centimetro alla volta, fino a sentire scivolare sulla lingua quel liquido caldo e dolce. Dopo qualche giorno riuscii ad aprire gli occhi e a vedere il muso color legno scuro di Mamma e la coperta azzurrina su cui era sdraiata, anche se all'inizio mi parve tutto sfocato. Certe volte, quando mi sentivo sola o avevo freddo o un po' di paura mi mettevo a piagnucolare avvicinavo a lei. I miei fratelli e sorelle prendevano quei miei uggiolii per segni di debolezza, e mi saltavano addosso. Erano in sette, tutti marroni a macchie nere, e non riuscivo a capire come mai facessero fatica a ficcarsi in testa chi fosse il capo. Quando non c'era Mamma era ovvio che dovevo essere io. Ero chiaramente la più intelligente della cucciolata. C'era questa donna dalle mani gentili e dalla voce ancora più gentile che spesso veniva a trovarci scendendo da una scalinata. Il primo giorno Mamma le ringhiò contro. Giusto un pochino, ma bastò perché la donna da quel momento ci andasse cauta. Più avanti, pero', Mamma sembrò tranquillizzarsi e lasciò che la donna ci tenesse in braccio e ci coccolasse. Aveva un odore interessante, la donna. Sapeva di qualcosa di pulito (sapone o roba del genere), qualcosa di buonissimo (e quello era cibo) e qualcosa che invece era semplicemente lei. Non avevo paura quando mi prendeva, almeno non tantissima, però ogni volta che mi rimetteva sulla coperta accanto a mia madre mi sentivo sollevata. Certe volte scendeva dalle scale anche un uomo, che veniva a darci un'occhiata e portava da mangiare e una ciotola per Mamma. Ah, quell'acqua! La prima volta che mi avvicinai per annusarla un mio fratello mi ci fece cadere dentro con il muso giù. Era fredda!! Mi salì per il naso e mi bruciarono gli occhi, e quando provai a guaire per avvisare Mamma mi entrò anche in bocca. Dovetti usare tutte le mie forze per venir fuori dalla ciotola e riavere il mio pelo pulito e asciutto. Mio fratello fece finta di niente, anche se la colpa era sua. Dopo qualche settimana, quando le mie zampe erano diventate ormai più forti, l'uomo scese le scale tenendo in mano una cosa grande e marrone. Posò l'oggetto sul pavimento, prese uno dei miei fratelli e lo mise dentro. Mio fratello uggiolò, io non lo riuscivo più a vedere. Allora ci mettemmo tutti a guaire, mentre faceva la stessa cosa con tutti noi, uno alla volta ci metteva nella scatola. Era come una piccola stanza con le pareti lisce da far scivolare le mie unghiette. Quando l'uomo sollevò la scatola fu anche peggio i miei fratelli iniziarono ad agitarsi ed aggrapparsi gli uni su gli altri, io invece mi arrampicai su due delle mie sorelle per sbirciare fuori. L'uomo stava salendo le scale e Mamma che gli stava dietro. A quel punto mi sentii meglio: se c'era anche lei non ci poteva accadere niente di brutto. " Ehi, torna dentro piccola" disse l'uomo " Vedi di non cascare fuori" e mi staccò delicatamente le zampette facendomi cadere proprio sul fratello che mi aveva fatto cadere nell'acqua. Lui riuscì a mordermi prima che io lo allontanassi con uno strattone. L'uomo camminò ancora per un pò poi mise la scatola a terra. L'uomo con l'aiuto della donna ci tirò fuori uno alla volta ed in quel momento ci trovammo in un nuovo posto:FUORI. La prima cosa fu luce, che era così forte che per qualche minuto non ho visto più niente, poi sentii qualcosa sotto le mie zampette. Qualcosa di elastico e morbido. Erba!! La morsicai per farle capire chi era il capo. Lei non reagì, quindi immaginai che ci fossimo intese: tra me e lei, il capo ero io. E gli odori, poi! Avevo imparato a riconoscere l'odore di Mamma, e del resto della cucciolata, della coperta e della donna e dell'uomo che venivano a trovarci. I miei fratelli e sorelle su scaraventarono più avanti, uggiolando, inciampando, cadendo sul muso e rotolando sui fianchi. Io rimasi ferma, con il naso per aria, nel tentativo di capire dove fossi. L'erba sotto di me aveva un profumo di fresco. E sotto quel profumo c'era un altro odore, più cupo, intenso e ricco, un odore dove mi darebbe piaciuto scavare. L'aria in movimento mi portò altri aromi - qualcosa di affumicato e gustoso dall'interno della casa, qualcosa di dolce dai cespugli lì velocissimo, passava rombando dall'altra parte di un'alta staccionata di legno. E poi qualcosa di misterioso, di peloso e vivo, come me. Quell'odore apparteneva a un cane adulto in una gabbia. Mamma gli si avvicinò trotterellando e i due si strofinarono i nasi attraverso la rete metallica. Quest'altro cane era maschio, come i miei fratelli, e intuii che per Mamma lui fosse importante. Non so come, ma mi resi conto che quel cane era mio padre. "Sembra che non abbia problemi con i cuccioli" disse l'uomo alla donna. "Tutto a posto, Bernie? Vuoi uscire?" Nostro padre si chiamava Bernie. La donna aprì la gabbia, lui uscì con un balzo e ci diede una rapida annusata. Noi gli corremmo tutti dietro, cadendo e scivolando ma riuscivavamo sempre a rialzarci. Bernie mise il muso a terra e uno dei miei fratellini inizió a mordergli l'orecchio. Che mancanza di rispetto! Ma sembrava che a lui non importasse granché. Si limitò a scrollare la testa facendolo rotolare via. Alcuni degli altri cuccioli lo presero come un invito e lo assalirono. Bernie ne sospinse via alcuni con delicatezza, fiutò gli altri e venne da me. Io non lo morsicai e non gli saltai sopra, quindi non fui spedita a rotolare da nessuna parte. Però lui abbassò il naso, mi fiutò dappertutto e infine mi mise una zampa addosso. Così, tanto per fare. Sapevo che non dovevo ribellarmi. Potevo tranquillamente essere il capo dei miei fratelli, anche se qualcuno di loro non sembrava del tutto d'accordo, ma questo papà cane, come Mamma, era il mio, di capo. Mi lasciai schiacciare contro l'erba morbida ed elastica e rimanemmo così per alcuni secondi. Poi Bernie si allontanò per raggiungere l'uomo, che lo accarezzò e lo fratto dietro alle orecchie. Dopo quell'episodio andammo Fuori ogni giorno. Imparai che quella cosa scura e affascinante era la terra. E imparai anche a fare in modo che i miei fratelli e sorelle non si facessero strane idee sul mio conto. A volte arrivavano furtivi da dietro e mi attaccavano all'improvviso, oppure attraversavano di corsa il cortile e mi si gettavano contro. In quei casi dovevo ringhiare e mostrare i denti, oppure rotolarmi con loro fino a riuscire a salirgli sopra. Poi me ne andavo e più tardi, quando ne avevo l'occasione, ero io a saltargli addosso. Era strano come non riuscissero ad accettare l'idea che il capo ero io. Lottavano, si dimenavano e cercavano di buttarmi a terra con le zampette come aveva fatto Bernie, a cui era bastata una zampa sola. Nessuno di loro era Mamma o Papà, e quindi non gliela davo di certo vinta. Però continuavano a provarci. Certe volte anche Bernie giocava un pochino con noi e la donna ci portava delle cose dallo strano odore perché le rosicchiassimo. "Ecco i vostri giochi cuccioli" diceva. Poi, un giorno, nel cortile arrivò un uomo nuovo. Aveva un modo diverso di giocare. Come prima cosa battè le mani. Uno dei nostri fratelli guaì per lo spavento e corse da nostra madre. Molti altri indietreggiarono a balzi e uno si mise a uggiolare. Anch'io ero stata colta di sorpresa, ma qualcosa mi diceva che non c'era pericolo. L'uomo prese chi tra noi non si era mostrato impaurito, me compresa, e ci mise in una scatola, quindi ci portò in un altro punto del cortile. Ci prese in braccio uno alla volta. Quando arrivò il mio turno, mi posò sull'erba, poi si voltò e si allontanò, come se si fosse dimenticato di me. Io lo seguii, curiosa di vedere cosa avrebbe fatto dopo. "Brava!" Brava? Solo perché l'avevo seguito? Era un pollo, quel tipo. Dopo prese qualcosa dalla tasca, la aprì e mi ritrovai tra le pieghe di qualcosa di morbido. "Ehi, piccola, ce la fai a uscire dalla maglietta?" domandò. Io non avevo idea di cosa stesse succedendo, ma non mi piaceva. C'era cotone bianco dappertutto, come se mi avessero avvolto in una coperta. Provai a lottare come facevo con i miei fratelli per far capire che il capo ero io, ma non funzionò. Potevo mordere e graffiare, ma quella cosa non se ne andava, mi rimaneva appiccicata addosso, coprendomi il muso e tutto il corpo. Provai a camminare, pensando che magari sarei riuscita a liberarsene, ma la maglietta camminava con me. Allora ringhiai e scrollai forte la testa. Un pò meglio: la stoffa si è spostata dal mio muso e per un attimo riuscii a intravedere il verde dell'erba vicino la mia coda. La coda! Ecco la soluzione! Per uscire da quella roba dovevo arretrare. Lo feci, sempre scrollando la testa per togliermi la maglietta è in pochi secondi ne fui libera. L'uomo era vicino, così gli corsi incontro per farmi fare altri complimenti. La donna era venuta in cortile a vedere. "Di solito ci vogliono uno o due minuti perché ci riescano, ma questa è molto sveglia" osservò l'uomo. Si inginocchiò e mi prese in braccio, poi mi rovesciò sulla schiena e mi rimise nell'erba. Mi agitai. Uffa, così non valeva: lui era molto più grosso di me! "Non le piace, Jakob" disse la donna. "Non piace a nessuno. Il unto è se smetterà di lottare, accettando che il capo sono io, o se invece andrà avanti a lottare. A me serve un cane che sappia che sono il capo" rispose l'uomo. Sentii la parola "Cane" e non mi sembrava che il tono fosse arrabbiato. L'uomo non mi stava punendo. Però mi stava schiacciando a terra. Era un pò come quando Bernie mi aveva spinta nell'erba al nostro primo incontro. E quel tipo era più grosso di me, proprio come lui. Forse significava che doveva essere il capo, come mio padre. In ogni caso, non sapendo a che gioco stessimo giocando, decisi di rilassarmi e basta. Niente più lotte. "Brava!" ripetè l'uomo. Immaginai che si chiamasse Jakob. Certo che aveva proprio delle strane idee su come si gioca con i cuccioli. Subito dopo tirò fuori dalla tasca qualcosa di bianco e piatto e lo appallotò. Faceva un rumore interessantissimo! Volevo vedere meglio. E ancora di più volevo assaggiare: che cosa poteva mai essere quella novità? "La vuoi bella? Vuoi la palla di carta?" disse Jakob. Certo che la volevo! Lui me la agitò davanti al muso e io lo seguii, chiudendo le mascelle di scatto, cercando di afferrarla. Ma non ci riuscivo! La mia bocca era troppo piccola, la testa troppo lenta. Poi l' uomo buttò la pallina in aria e io mi lanciai all'inseguimento. Bam! Feci un balzo e ci atterrai sopra con tutte e due le zampe davanti. Mi accucciai per rosicchiarla. "Ah! Prova a prenderla adesso!" Il sapore era particolare ma non buono come avevo detto. E comunque la palla era decisamente più divertente quando si muoveva. Allora la raccolsi e la riportai all'uomo, lasciandola cadere ai suoi piedi. Poi abbassati il didietro sull'erba, scodinzolando, sperando che lui capisse che doveva lanciarla di nuovo. "Questa" disse Jakob. "Prendi
questa".
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La Storia Di Ellie
ActionNon riuscivo a capire come mai i miei fratellini facessero cosi fatica a ficcarsi in testa chi fosse il capo. Era ovvio che dovevo essere io. Ero chiaramente la più intelligente della cucciolata