I

47 4 1
                                    

Pioveva su Roma. Pioveva non solo sull'Urbe, simile ad un grosso gatto che, sonnecchiando placidamente, viene di colpo disturbato dall'insistente gocciolare sui tetti delle case, ma anche su tutti coloro che, alle prime luci dell'alba, erano già all'opera; su coloro che, forse non in modo consapevole, con il loro duro lavoro, rendevano funzionante quell'enorme e complesso macchinario che era Roma.

Roma Caput Mundi.

I marmi bagnati e scivolosi erano la prova di quanto essa fosse il centro di tutto. Non importava a nessuno se nelle venature di quel marmo candido scorrevano fiumi di sangue, non solo romano: Roma sarebbe rimasta tale per sempre, non sarebbe mai caduta. Nemmeno il tempo poteva scalfire la sua potenza; il tempo non poteva fare altro che inchinarlesi di fronte, rendendo omaggio.

Per Tiberio, che osservava la pioggia cadere copiosa da sotto un porticato, Roma era qualcosa di inspiegabile, su di lui aveva sempre avuto un effetto strano, non paragonabile a nessun'altra sensazione umana.
Vi era giunto alcuni anni prima per svolgere l'attività di avvocato, dopo aver trascorso alcuni anni in Grecia, frequentando alcune delle più importanti scuole di filosofia e retorica.
Fu una fortuna, a suo dire, allontanarsi dal suo villaggio e lasciare tutti coloro che conosceva per andare, per così dire, verso l'ignoto.
Suo padre, anch'egli di nome Tiberio, era un ricco mercante che aveva trovato la fortuna commerciando per terra e per mare, e voleva che suo figlio, il suo unico figlioletto, diventasse avvocato. E così aveva fatto. Ma non era solo per soddisfare i desideri di suo padre che Tiberio aveva deciso di intraprendere quel sentiero già cosí attentamente studiato. Fin da quando era solo un bambino sentiva parlare di un certo Cicerone, che era riuscito a scalarsi la strada verso il successo dimostrando doti retoriche senza precedenti. Queste inizialmente erano solo voci, e da bambino per lui erano paragonabili alle favole che sua madre Rectina gli raccontava, ma crescendo capí che tale "Cicerone" non era solo un personaggio di una storiella, ma qualcosa di più.
Capì che doveva impegnarsi al massimo per eguagliare colui che riteneva il proprio maestro, l'unico degno di fiducia.
All'inizio si recò a Rodi, presso Molone il quale fu suo insegnate di retorica. Rodi gli apparve un po' troppo bigia, e fu lì che iniziò a provare un certo disprezzo per chiunque non fosse come lui. Sapeva di essere arrogante e troppo sicuro di se stesso, non serviva che glielo dicessero in continuazione, ma questo a lui non importava minimamente.
Col tempo iniziò a detestastare pure i suoi compaesani, ritendoli una "vile plebaglia indegna di parlare latino".
L'unica persona che gli parve accettabile fu un ragazzo sulla ventina, Quinto. Non si ricordava come si conobbero, ma per Tiberio fu un vero colpo di fortuna, poiché fu Quinto ad che lo aiutò ad iniziare la sua carriera di avvocato.
Pensava proprio alla sua gente, o meglio, quella che era la sua gente, mentre la pioggia insisteva ancora di più, come se qualcuno si fosse messo in testa di gettare su Roma e sulle sue campagne intere secchiate di acqua.
Gli piaceva ascoltare il suono di quelle gocce, era molto rilassante, e oltretutto lo aiutava a riflettere. Ogni tanto si udivano dei fragorosi tuoni che erano precedetuti da altrettanto luminose vampate di luce che quasi lo accecavano, proiettando la sua ombra per alcuni istanti sul muro dietro di lui.
'Con questo tempaccio, nessun seccatore verrà a disturbarmi. È una vera fortuna" pensò soddisfatto e stette in ascolto, cercando di captare ogni singolo rumore, anche il più flebile, sorridendo solo con un lato della bocca.
Di tanto in tanto un uccello passava, sbattendo le ali e cinguettando dolorosamente, alla disperata rice4ca di un luogo dove rintanarsi.
Poi, all'improvviso, Tiberio udì un suono strano, non naturale. Dapprima era sommesso e appena percettibile, ma pareva che si stesse avvicinando rapidamente.
Non senza sorpresa, si voltò, prima a destra e poi a sinistra. Fu allora che vide un uomo che correva verso di lui ansando. Visto Tiberio, questi iniziò a sbracciarsi, a gridare il suo nome, o almeno ci provava, poiché ciò che usciva dalla sua bocca erano solo dei lamenti.
Raggiunto Tiberio, l'uomo stette alcuni istanti a prendere fiato, con la schiena piegata e i capelli fradici che gocciolavano sul suo viso.
La sua tunica bianca era appesantita dall'acqua, e si era appiccicata al corpo del poveretto, ma ciò che attirò l'attenzione di Tiberio furono delle strane macchie che la ricoprivano in alcuni punti.
Cercando di trattenere una smorfia di disgusto, si morse il labbro superiore, attendendo che l'altro uomo gli parlasse.
《Tiberio! Pe-per fortuna...》disse, ma subito si bloccò, traendo un profondo respiro, tossì e riprese con un tono più deciso 《per fortuna ti ho trovato!》
Tiberio lo squadrò con compassione, poi disse:《Sì? Dipende. Di solito vengo qui quando non voglio essere scocciato. Vedo che lo sai. Su, parla. Che vuoi, Marco?》
《Ecco...io non so come dirtelo, è successo così in fretta che...》
Tiberio sbuffò. Aveva sempre odiato coloro che esitano nel parlare.
《Non farmi perdere tempo. La vita è già abbastanza corta senza che tipi come te me la accorcino ulteriormente》disse con un tono sarcastico che infastidì il suo interlocutore. Poi aggiunse:《Cos'hai fatto alla tunica?》
Quello prese i lembi della veste e li guardò inorridito. Erano rossi.
《Questo...è sangue. Per Zeus, ne ho anche sulle mani...》
《Sangue? 》. Ora il tono di Tiberio era acceso, la sua attenzione era stata catturata da quella parola. Voleva e doveva saperne di più.
Ma non fece in tempo ad aprire bocca che Marco continuò:《È successo un fattaccio, Tiberio.》
《Mi riguarda?》chiese distrattamente. Marco era una brava persona, ma esitava troppo nel parlare e questo per Tiberio era inaccetabile, oltre che molto fastidioso.
《Sì, ti riguarda. E molto anche! 》
A questo punto si spazientì e quasi urlò nel chiedere:《Insomma, posso sapere cosa è successo o devo attendere che Giove ti fulmini le palle?》
La risposta fu quasi meccanica:《Livio è stato assassinato.》
Sbatté velocemente le palpebre, facendo un rapido movimento con la testa, come se avesse appena mangiato qualcosa di acerbo. Non voleva credere a cosa fosse successo, eppure da qualche parte dentro di sé, in uno dei più reconditi angolini del suo essere, si era già rassegnato all'idea che Livio fosse stato ucciso. Voleva saperne di più. Doveva. Era necessario. Quasi di vitale importanza. Ma era bloccato dallo stupore. Mille domande iniziarono ad annebbiare la sua mente.
"Chi poteva volerlo morto?" pensò "Non era altro che un onesto artigiano. Col vizio di bere..." sogghignò. Per fortuna non era stato visto.
La pioggia era aumentata di intensità e ora sferzava i tetti delle case come se volesse sfondarli.
"Su, portami da lui, allora. Non penso si arrabbierà se ce la prenderemo comoda" disse rompendo il silenzio che si era formato tra lui e Marco.
L'altro fece un rapido cenno di assenso, scrollò il capo e cominciò ad incamminarsi verso il luogo dove era stato ucciso "Livio l'onesto".
Il vento iniziò a  sibilare minaccioso fra le colonne. Stava parlando: preannunciava una ancor più violenta tempesta che si sarebbe abbattuta su Roma.

Hai finito le parti pubblicate.

⏰ Ultimo aggiornamento: Jun 29, 2016 ⏰

Aggiungi questa storia alla tua Biblioteca per ricevere una notifica quando verrà pubblicata la prossima parte!

STORIA DI UN GIOVANE AVVOCATO AI TEMPI DI CICERONEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora