Capitolo 6

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Camminavamo per i corridoi del grande edificio da una mezz'ora abbondante ormai. Sol mi aveva mostrato le varie stanze, e presentato alcuni allievi. Quasi tutti erano dai 15 ai 18 anni, probabilmente seguivano gli stesso corsi di Sol, e gli stessi che avrei iniziato a seguire anch'io a breve.
-Ecco, l'ultima persone che vorrei conoscessi è lui: Mike. Lui è il mio miglior amico, siamo inseparabili. È arrivato qui un paio di giorni prima di me e abbiamo legato sin dal primo istante in cui ci siamo visti.
Un ragazzo alto, robusto, dai capelli biondi con un ciuffo che ricadeva davanti all'occhio destro e due occhi color del mare si girò verso di me e si accese in un sorriso meraviglioso. Era bello davvero. Io rimasi lì a fissarlo, probabilmente rossa dall'imbarazzo.
-Piacere, io sono Mike.
-Rosy.- dissi poco convinta e stringendo la sua mano.
I suoi occhi Mi guardavano, Non avevano nulla a che vedere coi miei occhi scuri e cupi. Ero l'opposto di mia madre. Lei bionda, occhi chiari, io capelli neri e occhi color delll'ombra.
-Rosy? Quella Rosy? - disse con un tono sorpreso. Probabilmente sapeva della profezia. Chi altro lo sapeva? Non volevo si venisse a sapere. Essere al centro dell'attenzione era l'ultima cosa che volevo. Avere amici solo per la mia "fama", anche.
-Io.. ehm.. Non so cosa intendi..
-Ho sentito..
Una voce potente dal fondo del corridoio interruppe la conversazione. Mi girai di scatto e vidi Jim avanzare con passo sicuro e lento verso di noi, Sol pareva volesse sparire.
-il giro è finito. Mike, va' ad allenarti al combattimento, devi riuscire ancora a battermi, tu, Sol va' con lui. A Rosy ci penso io.
Sol Non rispose, si limitò ad annuire e si allontanò con Mike velocemente, senza guardarmi neanche.
-Non ho bisogno di un babysitter- risposi con un tono più brusco di quel che volevo.
-Non voglio che si sparga la voce della profezia, Rosy, Non possiamo ancora fidarci di tutti qui dentro. Non so neanche Mike come faccia a saperlo, ma me ne occuperò molto presto. Intanto torna in camera tua e non uscire fino a domani all'alba, quando inzieranno gli allenamenti.
-Non dirmi cosa devo o non devo fare. Non sei mia madre.
Non mi rispose. Si girò e se ne andò. Rimasi sola, in mezzo a tutto quel bianco e decisi di tornare in stanza.

La mattina seguente, all'alba sentii bussare alla porta della stanza. Non avevo dormito bene, troppi pensieri. Sol invece dormiva ancora profondamente. Mi alzai, con addosso solo una maglia che arrivava appena sotto la vita e aprii assonnata la porta, dimenticando per un secondo dove ero. Appena vidi Jim, appoggiato allo stipite della porta dandomi le spalle, mi ricordai tutto improvvisamente è un attimo prima che potesse vedermi seminuda chiusi con forza la porta. Mi lavai In fretta, mi vestii e in venti minuti ero di nuovo davanti la porta. Una certa ansia, un certo imbarazzo mi pervasero dalla testa ai piedi finché mi decisi e aprii la porta.
Jim si voltò, mi guardò e potrei giurare di averci visto spuntare un sorriso su quelle labbra così delicate.
-Alla buon ora, principessa.
-Mi ero del tutto dimenticata. Scusami, Non succederà.
-Lo spero.
Ci avviammo verso una sala molto spaziosa, con il pavimento morbido.
-Bene, Principessa. Vediamo come te la cavi a difenderti.
Si avvicinò, era a pochi centimetri da me. Aveva un profumo fresco, di quelli che non riesci più a dimenticare. Con una mossa rapida mi spinse col braccio facendomi sbattere di schiena a terra. Non mi feci male, ma rimasi senza fiato. Mi aveva colta alla sprovvista .
-Concentrati, principessa. Non ci saranno delle guardie a difenderti.
Mi alzai. Da piccola papà mi disse "non distrarti mai, anche chi ti sembra amico potrebbe rivelarsi il peggior nemico. Non dare mai le spalle a nessuno. Tieni sempre la situazione sotto controllo, non lasciarti mai sfuggire niente. I dettagli, semplici movimenti, o sguardi, possono essere essenziali." Mi rialzai, sorrisi. Mi allontanai da Jim di qualche passo, e lo guardai. Vedevo i muscoli guizzare quando voleva fare qualche movimento. Avevo riflessi pronti, ereditati da mio padre. Jim fece un movimento rapido, me lo trovai alle spalle, ma poco prima che potesse circondarmi con la sue braccia mi abbassai e diedi un calcio alle ginocchia, facendolo cadere. Mi abbassai su di lui, che sorrideva beffardo.
-Non chiamarmi principessa. E ricorda che nelle mie vene scorre il sangue di un soldato.
Ma per la seconda volta dimenticai le parole di mio padre. Jim era il mio nemico in quel momento, non dovevo distrarmi. In una rapida mossa mi mise spalle a terra. Il controllo della situazione era di nuovo nelle sue mani. Si piegò su di me, eravamo così vicini che i respiri si fondevano e nostri nasi quasi si sfioravano. Avevo il fiato corto, Non per fatica, ma per la sua vicinanza a me. Si mise a ridere. Amavo quel suono. Volevo sentirlo ridere sempre. Sapeva di felicità.
C'era una certa elettricità nell'aria. Non riuscivo a ragionare, la mente era offuscata dalle sua presenza. Una strana voglia si insinuò dentro di me. Volevo baciarlo, volevo che lui mi baciasse, Non volevo più andare via di lì. I suoi occhi Mi dicevano lo stesso. Ma improvvisamente pensai a Sol. Lei pensava lo stessi eppure lui l'ha rifiutata così.
-Okay, è stato bello. Ma credo che sia meglio non allenarci insieme, da soli. Non ho voglia di giocare, io.
Dissi decisamente poco convinta, ma con un tono fermo.
Si alzò. Mi alzai. Feci per uscire dalla sala. Fu un attimo. L'attimo più breve e lungo allo stesso tempo della mia vita. L'attimo più intenso. La sua mano mi afferrò il polso, mi fece girare, mi attirò a sé e mi stampò un bacio sulle labbra. Un bacio breve, ma pieno di emozioni. Non mi diede il tempo di fare nulla. Un secondo. E poi uscì dalla sala, lasciandomi lì, immobile. Le gambe tremavano e una gioia mai provata prima nasceva piano piano, riempiendo il mio stomaco di minuscole farfalle impazzite. Sorrisi involontariamente. Ero confusa, ma felice.

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