Capitolo uno

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-Esther, forza, metti a posto la camera, dal momento che non vivi in un albergo. Grazie. E alle otto in punto ti aspetto in sala da pranzo perchè oggi tocca a te ad apparecchiare la tavola, ieri toccava a Jenny. Non tardare.

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La sfiga, tanto tempo fa, volle che proprio Giovanna dovesse diventare la mia educatrice, con tutte le educatrici più giovani e, soprattutto, migliori che c'erano in questo cavolo di posto.

Mi sono sempre chiesta a cosa serva davvero questo posto. Da sempre trovo che sia una terribile ingiustizia il fatto di non poter vivere solo con un genitore solo perchè considerato 'non abbastanza pronto e responsabile per essere un genitore'.

-

Non ho mai visto mio padre.

Non so minimamente chi sia.

Se lo incontrassi per strada probabilmente per me sarebbe come incontrare un qualsiasi sconosciuto.

Mia madre, anche se la posso vedere solo una volta a settimana in luogo neutro, mi ha sempre parlato pochissimo di lui, e le poche volte in cui me ne parlava lo faceva sempre con un'espressione di dolore sul volto.

Da piccola non capivo tale dolore, fino a quando mia madre si decise a parlarmi seriamente di mio padre, del suo 'problemino' con l'alcol e della sua ripetuta violenza.

Vivo a Bergamo, in Italia, e qui la legge non permette che una donna con un passato del genere alle spalle possa crescere un figlio da sola. Come se Giovanna invece ne sia capace.

Giovanna sbaglia, perchè avrebbe almeno potuto in questi anni cercare di mettermi a mio agio, benché non fossi a casa mia.

In ogni caso, a scuola da piccola mi sentivo sempre diversa dai miei compagni, vedevo sempre i loro genitori che venivano a prenderli con il sorriso stampato in volto, mentre io dovevo ogni santo giorno avere a che fare con quella Giovanna.

Ma ora ci ho fatto l'abitudine, direi, dopo nove anni che frequento una scuola.

Non sono una persona molto loquace, ho sempre preferito ascoltare gli altri. Non ho molta autostima, devo dire, le uniche due cose che mi piacciono di me sono il mio nome per la sua particolarità e i miei occhi, di base azzurri con qualche sfumatura verde qua e là. Talvolta paiono persino viola, con una certa luce.

Qui in comunità non mi trovo troppo bene. Trovo che tutti siano sempre altamente concentrati sul presente, come se non esistesse altro.

Divido la mia stanza con Alessandra, che è due anni più grande di me, ma è piuttosto simpatica.

Probabilmente sono l'unica di tutta la comunità che ha una passione, un sogno, un obiettivo nella vita.

Per fortuna la scrivania è l'unica cosa che non divido con nessuno, è tutta per me, e ci passo tantissimo tempo.

Passo la mia vita a disegnare, non solo per la scuola, ma soprattutto per fare schizzi di ciò che vedo fuori dalla finestra e nella mia immaginazione.

-

Scendo in sala da pranzo, assorta nei miei pensieri. Come sempre, del resto.

Ormai tutti i miei compagni sanno della mia passione, penso, anche se la maggior parte di questi sono convinti che l'arte sia solo un qualche cosa di inutile.

Io la utilizzo come strumento a mio favore per scappare, anche solo momentaneamente, dalla realtà schiacciante che mi opprime.

Non so esattamente il motivo, ma disegnando trovo il mio angolino, il mio rifugio, il mio modo di essere felice.

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