Capitolo 2

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Alice Smith

Mi svegliai al suono della sveglia, quel fastidioso "DRINNN" che tante volte mi aveva costretta ad uscire dal mondo dei sogni, ed aprire gli occhi e immergersi nella monotona realtá. Mi alzai quasi subito, infilai le pantofole e camminai fino all' interruttore, in fondo alle stanze. Provai ad accendere la luce, ma niente. Sbuffai.
"Mammaaa!" strillai, aprendo la porta della camera "Ci hanno di nuovo tolto la corrente!"
"Oh, tesoro. Mi dispiace."
Alzai gli occhi al cielo e rientrai in camera. Aprii l' armadio e presi una maglietta, che mi stava un po' larga, e un paio di jeans strappati sulla ginocchia.
Poi legai i capelli in una treccia guardandomi allo specchio appeso in camera. I miei capelli erano neri come il carbone e lisci, in contrasto con la mia carnagione chiara, quasi pallida, che rendeva impossibile da credere il fatto che io sia nata alle Hawaii. Gli occhi erano marroni. Non ero molto alta, peró ero magra. Ero una persona comune, non avevo niente di speciale.
Dopo essermi vestita uscii dalla mia camera e dopo aver urlato un "Ciao" e, dopo aver afferrato dei biscotti al cioccolato, corsi fuori dall' appartamento. L'ascensore era guasto cosi usai le scale.
Abitavo al sesto piano di un edificio alla periferia di Honolulu, un edificio con l' intonaco scrostato, non molto bello a vedersi. Il mio appartamento non era molto grande, ma comunque ci vivevamo in tre da qualche anno a questa parte. Da quando, cioè, nostro padre se ne era andato. Prima noi eravamo una famiglia normale, anzi eravamo molto bene economicamente. Poi lui era andato via, ed era tutto peggiorato. Odiavo mio padre. Se ne era andato senza un apparente motivo, lasciando me e mio fratello soli con la mamma. Avevamo cinque anni.
In ogni caso, le cose non andavano malissimo. Mamma lavorava come donna di servizio presso una famiglia ricca. Non guadagnava molto, peró riuscivamo a mangiare, a vestirci. Continuai a sgranocchiare biscotti mentre camminavo.
La periferia era molto diversa dal centro, e tra i due c'era un confine quasi netto. Strade asfaltate, piene di buche, con strisce pedonali scolorite, edifici con l'intonaco che si staccava quasi a pezzi, i palazzi ammassati l' uno sull' altro, in periferia la criminalità era ed è tuttora alle stelle, con gang e spacciatori di droga negli angoli bui. Era facilissimo finire nell'abisso e noi ragazzi avevamo una vita molto dura. Nel centro invece si trovavano strade molto curate, il lungomare, con palme, bar, gelaterie, panchine e gli alti grattacieli con gli uffici. Tutto questo bel quadretto idilliaco e utopico era incorniciato dalle ville, quelle dove abitavano i piú abbienti, quelle con grandi vialoni lastricati, con alberi, piscine e parchi mastodontici. La villa piú bella era stata costruita da poco e ancora non ci viveva nessuno, per quanto ne sapevo.
Per questo rimasi sorpresa quando passando con l'autobus vidi una Rolls Royce entrare nel cancello. Fissai per un po' quella casa. Come era fortunato chi ci abitava!
Scesi alla solita fermata lontana dal bar in cui lavoravo, in modo tale da avere l'opportunità di tenermi un po' in forma. Camminai fino al centro, passando per la spiaggia. Tolsi le scarpe per sentire la sabbia ancora frescavsotto i piedi. Arrivai fino a metà della spiaggia del quartiere Waikiki, poi tornai sulla strada e raggiunsi il bar dove lavoravo come cameriera. Entrai e il campanello sopra la porta trilló.
"Buongiorno signor Johnson"
"Buongiorno Alice"
Era un lavoretto estivo, ma serviva, e poi mi divertivo.
Allacciai il grembiule con il nome del bar e uscii per prendere gli ordini alle persone sedute all' esterno.
Mi piaceva lavorare lí anche perchè vedevo quasi tutte le vie del centro, e mi piaceva immaginare di vivere in quei posti, di avere dei camerieri al mio servizio, di non dover avere la preoccupazione che ogni giorno potessero toglierci la corrente.
Tornai alla realtà e andai a prendere il primo ordine.
C'erano sempre clienti al bar. La mattina tutti, prima di andare al lavoro, facevano colazione lí, sia impiegati, che dirigenti che uomini d'affari. Poi arrivavano anche bambini e ragazzi, per prendere una merenda. La moglie del signor Johnson era una cuoca eccezionale e la sua cucina era rinomata tra tutti, in cittá. I Johnson erano una coppia di mezza etá. La signora era una donna molto simpatica, gentile e dolce. Il marito sembrava burbero, ma in realtá aveva un cuore d' oro. Avevano due figli maschi sui trent'anni e anche dei nipotini che, ogni tanto, venivano al bar. In quei casi ero sollevata dal mio compito di cameriera per vedere ai bambini, un maschio e una femmina uno di tre e l' altra di cinque anni.
Il primo cliente della giornata era il signor Stewart, un anziano signore che veniva tutto i giorni.
"Buongiorno signore" fossi con un sorriso.
"Oh, buongiorno Iris, che sorriso stupendo che hai" me lo ripetevano in molti, infatti nonostante tutta la mia storia riuscivo sempre a trovare la forza di sorridere e di andare avanti inoltre non aveva imparato il mio nome e, sebbene l'avessi corretto, continuava imperterrito a chiamarmi Iris.
"Cosa le porto?" Chiedo anche se sapevo la risposta.
"Un caffè e una brioche alla crema, grazie Iris"
Sorrisi e annuii.
Il tempo passó in fretta, dato che avevo avuto molto da fare tutta la mattina. Non avevo avuto un attimo di pace e avevo corso tutto il tempo portando e prendendo ordinazioni.
Poi, alle 13.00 esatte il signor Johnson mi annuncio che per oggi il mio turno era finito per oggi e che potevo andare.
Salutai e uscii. Fuori vidi mio fratello che mi stava aspettando. Corsi da lui e lo abbracciai. Avevamo sempre avuto uno splendido rapporto, io e lui. Mi difendeva sempre. Quando eravamo piccoli e i nostri genitori litigavano lui mi portava fuori di casa, mi portava in camera, io mi mettevo nel letto con lui è iniziata a raccontarlo storie, facendolo tornare il buonumore, oppure costruiva una tenda con le coperte e giocavamo ad essere due naufraghi.
"Allora" mi disse "dove andiamo?"
Devo finta di pensarci un po', ma sapevo benissimo dove andare.
"Che ne dici del Mc Donalds'?"
"Certo" disse sorridendo.
Mentre camminavamo per le affilate strade all'ora di punta vidi una bella macchina costosa ed improvvisamente mi tornò in mente la misteriosa villa. Subito raccontai a mio fratello della bellissima Rolls Royce. Lui sorrise e disse che da quanto sapeva ci abitavano due ragazzi, fratello e sorella.
"Lo vedremo tra una settimana, quando ricomincerá la scuola." conclude.
Annuii ed entrammo nel fast food.

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