Parole

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-17-88, sei legata?

La ragazza mosse la catena creando il classico suono metallico, un'abitudine più che una certezza per le infermiere. La porta si aprì e sulla soglia apparì una piccola donna, fragilina, sul cui corpo vestiva larga l'uniforme verde.

-Ecco la cena.- disse l'infermiera appoggiando un vassoio quasi vuoto sul tavolo vicino all'entrata.

La paziente cacciò un'occhiata sfuggente al cibo senza un'apparente interesse, completamente in silenzio, così come l'infermiera uscì dalla stanza. La serratura scattò nuovamente, chiudendo a chiave la paziente, l'unica di tutta la clinica a ricevere quel tipo di trattamento. Erano ormai undici anni che la ragazza viveva in quella stanza buia e rovinata, tutta sola. Aveva passato tutta l'infanzia chiusa in una camera di isolamento, in completo silenzio.

O forse no?

Un rumore, delle parole, alcuni discorsi rimbombavano nella sua mente senza fine, ventiquattro ore su ventiquattro. Una flebile, ma allo stesso tempo imponente voce riempiva le giornate dell'adolescente dalla mattina, la sera, continuando di notte.

"Hey, Rabbia, non hai fame? Perché non ti alzi a prendere il vassoio? Sono curioso! Secondo te oggi cosa ci hanno portato? Io sinceramente spero in un bel purè di patate. Io AMO il purè. Lo mangerei tutti i giorni, tu no? Dai dai, vai a vedere, mi sono messo voglia di mangiare."

La paziente, spinta sia dai bisogni fisiologici, che dalle parole nella sua mente, mise un piede nudo giù dal letto sul pavimento freddo, che le provocò un brivido lungo la schiena.

"Ahh, sei sempre la solita, non riesci nemmeno a sopportare un po' di fresco. Mi spieghi perché ti ostini ad odiare le calze? Sono così comode, calde, non ti fanno sentire tutto lo schifo che c'è per terra, e poi..."

Intanto la ragazza ormai era seduta al tavolo pieno di schegge sporgenti completamente immersa nel mare di besciamella e ragù sulle spiagge di pasta all'uovo, quasi in estasi, col solito ronzio nelle orecchie.

"Oh!! Mi stai ascoltando?!? Ti odio, pensi di più al cibo che a me! Io sono la persona più importante della tua vita e mi ignori per mangiare che cosa? Della misera lasagna?!?"

17-88 assaporò quella parola, insieme ad un altro boccone squisito, influenzando anche la voce.

"Ahh, ritiro quello che ho appena detto, le lasagne sono orgasmatiche. Ma che ne sai te di queste cose, sei chiusa qui da quando avevi quattro anni, a malapena conosci l'apparato riproduttivo."

La paziente continuò a mangiare senza sosta, finché non c'era più neanche una briciola di quel pane vecchio di routine. Tornò al letto, si sdraiò e cominciò a fissare il soffitto prestando tutta l'attenzione alle parole pronunciate a vanvera.

"Finalmente vuoi ascoltarmi, eh? Beh, ora non so più cosa dirti. Ed è strano che non abbia più argomenti, logorroico come sono non mi stanco mai di parlarti. Che poi, pensaci, perché il verbo in italiano è "parlare" se in latino era "loquor"?"

Continuava e continuava a dire cose senza senso o nesso logico tra loro apparenti. Ma, nonostante molte volte non riuscisse a starle dietro, Rabbia, come la voce l'aveva rinominata, si divertiva sentirla blaterare, se proprio di può chiamare divertimento. Beh, di certo per la ragazza quello era un grande svago: rimanere in quel buio accecante, sul letto, senza muoversi, se non per osservare l'anatomia umana, con come sottofondo le parole che vagavano, disperdendosi nella camera a caso. Quello era il massimo che 17-88 poteva permettersi, e le andava bene in fondo. Aveva sempre fatto l'indifferente verso quella vocina che le parlava, anche se forse la rabbiosa sarebbe l'aggettivo più adatto. Ed effettivamente non aveva tutti i torti dato che era colpa di quella voce che era rinchiusa lì. Ora lei... anzi, lui, dal momento che parlava al maschile, si presentava come una persona, se proprio di persona si può parlare, simpatica, magari un po' troppo chiacchierona, fino a risultare logorroica, fastidiosa, ma non era sempre stato così, oh no. Successe anni prima, molti anni prima.

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