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Terminati gli spaghetti e in trepidante attesa della specialità di Luca, delle fette di pane bruschettate coperte di prosciutto, uova, pomodoro e formaggio filante, io mi sono ritrovata come una novella profiler a studiare la strana commistione che erano gli amici di Sergio. Senza alcun pregiudizio. Non ero mai stata una che giudicava dalle apparenze, tantomeno mi piaceva etichettare le persone. Avevo tempo da dedicare. Era subentrato dopo che io e la bellissima, Micaela, ci eravamo presentate. Non era proprio calato il silenzio, questo no, ma io avvertivo chiaramente che qualcosa era cambiato. E in tutti. La sua presenza era stata come una nevicata densa che attutisce ogni altra intemperanza. Il chiacchiericcio degli altri, mio compreso, era diventato rumore di fondo.

Con ciò avevo preso ad osservarla, ascoltarla mentre scherzava sui suoi capelli  quasi scarichi della colorazione rossa che si era data per gioco, scherzo, scommessa; la chioma naturalmente rossa di Matteo c'entrava sicuramente, perché lei ha detto: «Solo tu sei speciale.» E ha infilato l'indice in una ciocca più lunga del ciuffo.

Con un sorriso forzato lui ha preso a grattarsi la testa. «Di più, sono in estinzione» ha risposto.

Una coppia singolare, ho pensato. Un pensiero non proprio carino, il mio. Lui, così impacciato, timido... poco dopo ero lì che affibbiavo lettere come in una sorta di girone calcistico. Lei è di serie A, lui di serie B, o C. Matteo mi piaceva, mi era piaciuto da subito, eppure anch'io era caduta nel tranello e mi ero trasformata in ciò che più detestavo, anche se non lo avevo palesato. Inoltre avevo esteso la considerazione a tutto il gruppo degli amici di Sergio: come ci era entrato Matteo in quel giro? A dirla tutta non conoscevo i legami di fondo di tutti loro, a parte quello di Sergio e Francesca. Mi parevano di età, interessi e stili di vita differenti.

Anche io e Teresa eravamo differenti, ma la relazione dei nostri genitori e l'essere coetanee ci aveva messe l'una di fronte all'altra. Di quel gruppo di amici non riuscivo a inquadrare il filo che univa le loro esistenze e questo mi inquietava.

Quando mi sono voltata verso Sergio, lui mi ha sorriso e io ho ricambiato.

«Poi andiamo a farci un giro, soli» ha detto.

Ho annuito. Cosa stesse per aggiungere subito dopo non ho potuto saperlo. La risata di Micaela ha distolto i nostri sguardi e il reciproco interesse. La ragazza rideva scuotendo la testa. Mi pareva di sentir frusciare i suoi capelli e di percepire nell'aria profumo di violetta, o mela verde, forse era cannella. Ero diventata a un'ignorante olfattiva. Ma lo sguardo ancora mi funzionava e così ho intercettato Francesca. Il suo ghigno, l'occhiata fugace che mi aveva rivolto. Ho capito che aveva detto qualcosa che mi riguardava e che ciò aveva scatenato la risata di Micaela.

Era un'atmosfera davvero surreale, in cui non avevo il controllo della situazione. Per la prima volta nella mia vita mi sentivo in un ambiente ostile. Se Luca non mi avesse sistemato la bruschetta nel piatto, agganciando i miei sensi, mi sarei rovinata il resto del pranzo. Era sfrigolante, esageratamente carica e filante in modo commovente. Ma non era altro che una bruschetta.

«Divorala! Ti servirà» ha detto Luca, sguardo fintamente serio sotto le sopracciglia scure e folte. Aveva i capelli legati in una piccola coda, e con quella barba nera mi ricordava tanto una guida alpina che avevo conosciuto da bambina, proprio a Livigno, in una delle brevi gite fatte con mio padre.

Ho alzato lo sguardo e fatto una smorfia d'incomprensione.

«Ho bisogno del tuo sostegno» ha spiegato. «Ho la gara di freestyle. Questo tipo qui non ti ha informata? Poco male, lo faccio io. Ho bisogno di tutto il sostegno femminile disponibile. Quindi anche del tuo, Serena. Lassù, al Carosello 3000.»

«Me n'ero scordato» ha sostenuto Sergio, senza nascondere una lieve presa in giro. «Ma poi, come sei messo in graduatoria?»

«Ottimamente. Abbastanza indietro da mantenermi affamato, ma non così tanto da farmi passare l'appetito. Posso vincere. Avrò il podio.»

Sergio mi ha sorriso e poi chiesto: «Ti va?»

«Certo!» Ho preso la bruschetta con le mani e le ho dato un bel morso.

Luca ha alzato il bicchiere e ha brindato alla gara. «Il tuo tifo, Francesca, forse è meglio se lo contieni. Ma rimani nei paraggi. Chiaro?»

«Ho solo un'infarinatura di traumatologia, chiaro? Faccio internistica, ricordi?» ha detto Francesca.

Ho sentito il boccone prendere la direzione sbagliata. Ho mollato la bruschetta nel piatto e poi ho messo la mano sulla bocca, tossendo un paio di volte.

«Sono troppo calde?» ha chiesto Luca.

«Umm, dovevi provarla sul polso come si fa con la pappa per i bimbi» ha detto Francesca.

Sergio aveva messo la mano sulla mia schiena e la stava muovendo in una sorta di carezza più sostenuta. «Stai bene?»

Ho annuito. Certo che stavo bene, ma lei studiava medicina. Come Teresa! «Un boccone troppo grande da ingoiare» ho chiarito.

«Cavolo, la mia prima manovra di Heimlich! Non lo so mica se sarei riuscita a salvarti.»

Francesca non ne aveva mai abbastanza.


Ho ucciso un angeloDove le storie prendono vita. Scoprilo ora