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La cabinovia ci stava portando a destinazione. Era uno splendido pomeriggio, avevamo tutti occhiali da sole scintillanti  e il bianco cristallino della neve unito all'azzurro terso del cielo era un abbinamento quasi terapeutico. Mi stavo rilassando, più salivo più sentivo che l'amarezza sedimentava sul fondo del mio stomaco. Sergio mi sedeva accanto e, di tanto in tanto, mi coccolava a modo suo: carezzandomi i capelli, sfiorando la mia guancia con le labbra, annusando il mio collo. Almeno in apparenza, questo non destava particolare attenzione. Luca parlava con Veronica di freerider, freestyle, snowpark, coping, jump... mimava con le mani acrobazie improbabili anche per una scimmia. Dal canto suo Veronica contorceva le labbra in modo esagerato masticando una gomma.

Gabriele filmava il panorama con una piccola videocamera, mentre Micaela e Francesca, sedute vicine, muovevano frenetiche il pollici sui loro smartphone; sembravano divertirsi parecchio e ormai mi era chiara una certa complicità.

«Guarda questo...» Ha detto Francesca sghignazzando.

Micaela si è avvicinata con la testa e ha sorriso coprendosi la bocca con la mano.

Ridacchiavano come due adolescenti.

Matteo, invece, se ne stava immobile. I suoi occhiali specchiati mi impedivano di accertarlo, ma ero piuttosto sicura che stesse ad occhi chiusi. Me lo diceva la sua postura. La testa leggermente sollevata puntava al soffitto della cabinovia, niente di così attraente. Inoltre le sue mani erano saldamente ancorate alle gambe in un disperato tentativo di aggrapparsi a qualcosa che, nel caso, sarebbe precipitato con lui.

Il suo corpo pareva così insensibile alle oscillazioni, che per un lungo istante mi è sembrato che fosse morto.

«Matteo, stai bene?» ho chiesto d'istinto.

Ha girato impercettibilmente la testa verso di me. «Non mi piace l'altitudine. E poi soffro di cinetosi. Mal d'auto, di mare, d'aria, la cabinovia non fa eccezione.»

«Mi spiace...»

«Se rimango immobile e con gli occhi chiusi, va meglio.»

«Non saresti dovuti venire. E per due volte, poi!»

Ha fatto spallucce e poi ha stirato debolmente le labbra in un timido sorriso. «Devo almeno provarci.»

«Su, tesoro mio. Vieni!» l'ha invitato Micaela. «Guarda, guarda qui.» Gli ha avvicinato lo smartphone.

«No, Miki...» Ha quindi fatto una smorfia come se gli costasse troppo persino allungare il collo.

«Fallo invece!» si è sentito tuonare. Un ordine. Ancora una volta era calato il silenzio. Solo che il ruolo dell'accentratore era di Sergio. L'ho guardato senza farmi uscire una parola di bocca, ancora sorpresa dal tono. Non avevo mai sentito Sergio rivolgersi a qualcuno in questo modo.

«Hai ragione, Matteo» ha detto Micaela. «Meglio se stai tranquillo.» Gli ha sorriso e poi accarezzato la mano.

Sergio non si è arreso: «No, invece. Ha ragione Serena. Perché ti sei fatto trascinare quassù, e per ben due volte, se poi ti metti a fare il moribondo?»

«Io, no, guarda che non volevo...» ho balbettato in imbarazzo.

«Non ti ci mettere anche tu a fare passi indietro, c'è già Matteo per questo.»

«Ma... Sergio!» ho scosso la testa, parecchio a disagio.

«Lascia, Serena. Ha ragione lui» se n'è uscito Matteo. «È un mio difetto quello di provarci a metà, sempre.»

Ma che storia era? Che esagerazione, ho pensato, sempre più allibita. Mentre Sergio, ecco lui era sempre più simile a sua sorella.

«Bene, bravo. Via gli occhiali! Così vedo che non imbrogli. Alzati! Guarda di sotto!»

Ho ucciso un angeloDove le storie prendono vita. Scoprilo ora