VII. To the gallows!

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Le esecuzioni pubbliche erano sempre meno frequenti, ma ciò non impediva alla Regina di giustiziare i traditori. Si era svegliata presto vista tutta l'eccitazione che aveva in corpo a causa dell'imminente impiccagione. Sarebbe stata in pace, poi. Alberto invece, di fianco a lei, sembrava pensieroso.
«Qualcosa ti turba?». Il giovane alzò lo sguardo e lo puntò negli occhi della Regina.
«Sì. Tu». Lei si fermò. Il suo cuore perse un battito. In tutta la sua vita, mai nessuno le aveva detto una cosa del genere. Magari se lo sarebbe aspettato, prima o poi, da qualche funzionario o da qualche ministro, o consigliere; ma mai da colui che l'avrebbe presa in moglie in meno di un anno. Aspettò che continuasse a parlare.
«Non pensi che la cosa ti sia sfuggita un po' di mano? Un'esecuzione pubblica, Vittoria? Vuoi impiccare lei davanti a tutti?». La Regina iniziò a camminare per la stanza torturandosi le mani.
«Sì. So quello che ha fatto». Strinse i pugni e stese le braccia lungo i fianchi in un gesto di stizza.
«E che cosa ha fatto? Mi hai lasciato all'oscuro di tutto. Di solito mi consulti, mi chiedi un consiglio. Avevamo giurato di prendere insieme le decisioni, quelle importanti come quelle insignificanti. Dove è finita questa promessa?». Si alzò, prendendole il volto tra le mani. Lei strinse i denti, mentre le lacrime già stavano per straboccare.
«All'Inferno!». Con uno scatto si liberò dal tocco gentile di Alberto e uscì di corsa dalla stanza. Doveva dare il via a quell'esecuzione prima che troppe domande si alzassero nell'aria.

«Ehi.»
La ragazza sbatté le palpebre un paio di volte prima di sollevarsi da terra. Era stata sdraiata sul pavimento per un tempo che sembrava infinito, dati i dolori alla schiena.
«Ehi!» La voce proveniva da un punto indefinito al di là delle sbarre. Sbarre. Dunque si trovava nelle segrete. Quando se ne rese conto, i ricordi affiorarono chiari nella mente di Madeleine come stelle nel buio della notte.
Tutto era cominciato nelle sue stanze. Si era messa tranquillamente a leggere un libro dopo che Alessandro se ne era andato insieme a tutte le sue imprese compiute nelle battaglie di qualche paese dal nome strano. Gliele aveva elencate per più di un'ora, immedesimandosi di nuovo in quelle vicende e animandosi di un fuoco particolare, come mai prima di allora. Per questo, e perché voleva essere educata, lo aveva ascoltato pazientemente, annuendo, fingendosi interessata e facendogli delle domande a cui lui rispondeva con grande entusiasmo. Il campo di battaglia lo rendeva euforico quanto lo facevano delle caramelle con un bambino. Questo fino a quando Lorey non aveva fatto irruzione nella camera. Il punto della narrazione di Alessandro era giunto sul più bello: lui aveva appena affermato che tutto quel cozzare di metallo, nonostante gli inebriasse il sangue, lo faceva sentire vuoto, al termine. Sentiva di dover dedicare a qualcuno quelle vittorie, di dover combattere non per la patria, ma per la vita, perché voleva qualcuno a cui poterla donare una volta rientrato dalle guerre. E fu in quel momento che si sporse verso Madeleine, che se ne stava seduta sul letto. Appoggiò le mani sul materasso e sprofondarono di qualche centimetro. Il necessario per permettere che le loro labbra fossero alla stessa altezza. Ancora qualche millimetro e avrebbe assaggiato le labbra delicate di Madeleine, verificando se le sue aspettative sarebbero state deluse o superate, dopo che aveva passato giorni a fantasticare su quei due petali di rosa. Era così vicino, così prossimo al traguardo, che si sentì veramente morire dentro quando il suo fedele compagno spalancò la porta. Aveva chiuso gli occhi, a testa bassa. Poi aveva fissato Madeleine e aveva stretto il suo mento dolcemente tra due dita, facendole sollevare la testa. Aveva indugiato a lungo sulle sue labbra, desiderandole e respingendole, combattuto, fino a che un colpo di tosse lo riscosse dalle sue fantasie, di nuovo. Lasciò la ragazza in preda alla confusione più totale. Come se tutte le sensazioni le si fossero annidate nello stomaco nello stesso momento. Agitazione, eccitazione, ansia, desiderio, preoccupazione, frenesia: tutte lì, all'altezza della pancia. E non riusciva a liberarsene, nonostante la fonte di quelle emozioni avesse già varcato la soglia per allontanarsi da lei. Ed era a quel punto che aveva cominciato a leggere. Voleva allontanare quel ricordo. Aveva avuto paura. La voglia che aveva avuto di allungarsi e baciare le labbra piene di quel cavaliere che si trovava davanti ai suoi occhi era stata tale da spaventarla. E non perché non aveva mai baciato: ormai quello non era più un problema. No, era stato il fatto di provare così tanta attrazione verso di lui. Se ne era resa conto solo allora, perché i suoi sentimenti erano annebbiati prima dalla costante presenza di Vittoria, che teneva Alessandro tutto per sé e poi, quando finalmente aveva avuto l'occasione di passare del tempo con lui, dalla sua paura di non essere all'altezza delle sue aspettative. Ma ora era diverso. Vittoria si stava per sposare e lei aveva voglia di baciarlo. Per questo un libro le sembrava un buon metodo per evitare di ripensarci. Si era buttata a capofitto nella lettura, rannicchiata sul pavimento sotto la finestra. Avrebbe dovuto chiedere un divano, prima o poi.
Ma non avrebbe più potuto farlo. Le guardie irruppero mentre leggeva della cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso. Il libro di Milton non le piaceva più di tanto perché non capiva tutte le parole, ma solo il contesto in generale. Se qualcuno glielo avesse spiegato, le sarebbe sicuramente piaciuto di più, con le sue lotte tra bene e male, la caduta di Lucifero, la tentazione di Adamo ed Eva e la loro cacciata dal paradiso. La stessa cosa che stava capitando anche a lei. Le sembrò in qualche modo poetico. Le guardie la afferrarono con poco riguardo, la sollevarono da terra per le braccia e il libro le cadde dalle mani. Lei non voleva opporre resistenza, ma aveva bisogno di quel libro. Ovunque la stessero portando, per lo meno, avrebbe avuto qualcosa con cui distrarsi. Provò a piegarsi e a prenderlo, ma gli ufficiali la strattonarono via, prendendo il suo gesto come un tentativo di fuga. Si ripromise di non piangere, e la portarono verso le segrete.
«MADELEINE!» L'ultima cosa che riuscì a vedere prima di essere trascinata via fu il disperato tentativo del capitano Faille di liberarsi dagli uomini che gli bloccavano le braccia, e lo sguardo di profondo rammarico che le rivolse prima di scomparire dietro un muro.
Adesso si trovava in quel posto sporco e buio, senza nemmeno sapere quale colpa l'avesse fatta arrivare fino a lì. La voce irruppe di nuovo, insistente, nel silenzio delle segrete.
«Ehi, tu! Mi senti? È importante». Le ricordava la voce di Lorey. Ma lui non poteva certo trovarsi lì sotto. No, anzi, aveva portato via Alessandro appena prima che succedesse il disastro. E nessuno dei due l'aveva protetta.
Si avvicinò cautamente alle sbarre e si sporse verso il corridoio in terra battuta.
«T-ti sento». Aveva la gola terribilmente secca, tanto da non riuscire quasi a parlare. La voce le uscì in un sussurro. Anche il ragazzo si avvicinò alle sbarre, quelle della cella di fronte. Madeleine però riuscì a intravedere solo un ciuffo dei suoi capelli castani. Ma non era sicura che il colore fosse davvero quello, vista la scarsa illuminazione. Udì un sospiro, poi il ragazzo parlò.
«La Regina trama contro di te».

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