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Quando ero solo un ragazzino, ero convinto che tutti avessero uno scopo nella vita.
Sì, forse potevano perseguire diversi obiettivi, avere diverse passioni. Ma tutti, nel profondo, conoscevano il motivo per cui, diversi anni prima, erano stati messi al mondo.
Ero convinto ognuno fosse destinato a fare una cosa. L'unica cosa che sarebbero felici di fare, l'unica cosa attraverso la quale sarebbero capaci di rendere felici anche gli altri.
Molti altri ragazzi, però, questo scopo non lo vedevano, perché a sedici anni pensavano di avere tutto il tempo del mondo, non credevano alla morte. A sedici anni si ritenevano immortali.
Io, invece, come un crostaceo perlifero, ingoiavo avidamente i miei desideri, maturandoli, covandoli, nutrendoli di false speranze, di luce finta.
Perle brillanti, certo! Lucenti come nero catrame.
Che poi, in quel mare immenso che è la vita, una tempesta era catastrofe, e le perle più belle diventavano armi di (auto-) distruzione.
L'unica cosa che io volevo fare era usare la mia immaginazione. Volevo riuscire a riversare in un foglio le mie emozioni, la mia fantasia.
Volevo imbrigliare le parole e comandarle a mio piacimento, volevo che gli altri vedessero ciò che vedevo io.
Poesia dopo poesia avrei voluto fermare il tempo in ogni minuto. Del vano ricordo che scivola via, non dandomi né respiro, né aiuto.
Volevo provare ad essere uno scrittore.
Alice, invece, non lo sapeva cosa fare da grande, non ci pensava al futuro. Viveva e neanche se ne accorgeva. A sedici anni era sè stessa e basta. A sedici anni, andava bene così. E, forse, era proprio questo il brutto: crescendo cambiò tutto.

Era sera, quel tipo di sera che non era né giorno né notte, ma era lo spettacolare miscuglio di entrambi, che durava poco, solo un attimo, quasi a voler dire che la bellezza era destinata a dissolversi.
Il tempo procedeva, ma un lento e taciturno muro di argilla cominciava a dividerci.
I commenti su quanto fossi stato in carne, come se non fossi più io, come se quel bimbo non avesse avuto dei sentimenti risuonavano ancora nella mia testa, nonostante mi dimostrassi incurante. Quel bimbo, però, era ancora dentro di me, ad ascoltare la gente mormorare.
Non che fossi convinto che essere chiamato "bello" mi avrebbe reso felice, anzi, credevo fosse solo uno spreco di tempo e di fiato.
D'altronde, quando avevo sedici anni, ogni piccola cosa poteva farmi sentire in due modi totalmente diversi. Certe mi portavano al settimo cielo, altre mi facevano cadere nello sconforto.
Invece lei... mi chiedevo sempre se fosse possibile che dietro a tutta quella perfezione non ci fosse un genetista folle che l'aveva creata in laboratorio.
Era verosimile fosse semplicemente merito di uno spermatozoo (che, diciamocelo, non è poi così carino) e di una palletta chiamata ovulo?
Ed eccole le farfalle nello stomaco, ed ecco che cerchi di vomitare aria in questo oceano di illusioni, perché a sedici anni credevo nelle cose stupide. Credevo nel destino, nell'oroscopo, nelle stelle cadenti. Ma, più di tutto, credevo nell'amore.

Imparai ad amarla pian piano. Eravamo il piccolo principe e la volpe. Due anime diffidenti che si sfioravano con gli stessi sguardi di chi vorrebbe poter sostare per sempre nel limbo dei momenti non vissuti.
Paura? Forse. Ma di che cosa non lo sapevo.
Decisi di rischiare, quella sera, e di concentrarmi sulla luce: a sedici anni non si dovrebbero guardare le ombre.

"È arrogante da parte mia descrivere
Ciò che la luna ha celato,
Poesia?

Ci guardiamo languidi,
in cerca di un conforto che possiamo trovare solo nell'immaginazione
Perché io sono qui,
Di fronte a te,
ma non posso avvicinarmi.

Ed ogni volta, ti dico qualcosa?
No.
Solo ciao... E ciao.

Ma la luna ha tradito il sole.

E la sua, cos'era?

Un tiepido rinfresco di una giornata caldissima;
Il mare nel deserto del Sahara;
I fiori sopra una lapide.

Dimmi o Signore quanto è coraggioso e quanto è infame l'odio,
E soprattutto
L'amore.

Ora, almeno noi, facciamo un accordo.
Tu guardami da lassù e io ti amerò da quaggiù,
Con il cuore in crisi,
Con l'anima o senz'anima."
Recitai con tutto il sentimento che avevo in corpo.

La giovane rimase senza parole; stava assimilando le parole che sapeva le stavo dedicando. Poi, in un attimo tutto il nostro mondo prese la giusta forma, si dipinse di nuovi colori e i suoni produssero un significato diverso da quello che avevano appreso fino a quel momento. Fu come se, all'improvviso, si fossero svegliati da un lungo sonno.
Un lungo bacio che, da lento e dolce, diventò più passionale.
Dopo attimi intensi, in cui la temperatura nella stanza andava via via aumentando, Alice si allontanò.
E fu così che, dopo anni di "sogni metafisici" e "desideri idealistici", tornai alla realtà, quella vera e crudele.
"Amore, non questa volta. Ho il ciclo!"

FINE

Ecco a voi la prima OS.
Chiedo ancora perdono per come ho stravolto le vostre parole.
Spero che il risultato di questo duro lavoro (comprensivo di tante bestemmie) sia di vostro gradimento.
Non potevo non aggiungere qualcosa di mio, ovviamente. E non potevo non aggiungere la frase finale... incubo di ogni uomo ahahaaha.

Grazie a Pinkingwords per il suo contributo (la poesia l'ha creata lei).
Grazie ad AntonioCianciaruso, come al solito per la copertina.
E grazie soprattutto a voi, concorrenti.
Siete stati (quasi) tutti fantastici. Non ho scritto i vari nomi degli "autori originali" perché sarebbe stata una lista lunga lunga... per non parlare del fatto che alcune frasi sono dello stesso autore, ma di opere diverse.
Divertitevi voi a scovare le vostre creazioni e, perché no, scovate anche un titolo per la OS... questa è una vostra creazione quanto mia.
Baci. R.

Shaked OSDove le storie prendono vita. Scoprilo ora