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Era una notte buia e tempestosa, io ed il mio cane camminavamo per le strade deserte e silenziose della città.
I nostri passi colmarono il silenzio, creando un ritmo angosciante che alimentava le mie fantasie malsane e le mie paure.

Sentivo suoni sinistri alle mie spalle, e cercavo di accelerare il passo. Il mio amico a quattro zampe, però, si fermò uggiolando.

"Andiamo Whero. Su, bello!" gli dissi supplicante, mentre lui non accennava a muoversi, e continuava a guardarmi col suo sguardo da cane bastonato. "E non guardarmi con quel faccino da schiaffi, solo perché fai psicologia canina non puoi usare la tua intelligenza evoluta contro di me... muoviti!" affermai, senza aver successo.

Per un frammento di sogno, travestito da incubo, tutto ciò che non era prese vita. Un rumore alle mie spalle, l'abbaiare di Whero seguito dal uno sparo, un dolore sordo alla nuca e, poi, il buio.

[...]

Ci avevano piantati lì, topi nella tana, senza nessun tipo di ordine preciso. Il sole era sparito ormai da due settimane, lasciando posto a quattro mura fredde ed umide.
Io, insieme a tanti altri poveri diavoli, stavo inginocchiato su di una poltiglia che era un misto di escrementi, cadaveri e fango.

Lì dentro eravamo tutti uguali.

Ogni tanto sentivamo camminare, all'ombra di un silenzio corroso, e allora alzavamo la testa.
Di sopra, le scale di grata vibravano ad ogni passo, il cui rumore era la certezza che fingevamo di avere, mentre andavamo avanti come in un sogno. Ogni passo rubava un po' di quelle stelle invisibili.

"Se non ti muovi non ti vede" pensava ognuno di noi, quando il rumore dei passi si avvicinava. Avanzava invisibile ai sensi umani, portandoci via la speranza, quella cosa alata che ci consentiva di volare oltre il domani.
Erano troppo forti le sue armi, o forse io non lo ero abbastanza.

"Prendi loro, prendi lui, ma non prendere me. Io non sono destinato ad essere recuperato, ma solo a cercare di recuperare" mi ritrovavo a pregare ogni volta, nonostante il mio desiderio di morire.

Fuori gracchiava il vento dagli atroci sospiri. Una sinfonia fatta di nenie e di lamenti, di urla e di specchi infranti, mi sibilava la morte, disorientando le mie orecchie bianche ed atrofizzate.
Ero stanco di ricamare mefitiche crisalidi, che il mio cuore riluttante vomitava, a tratti, nel tempo che intercorreva tra un tramonto tremolante e un'aurora sgualcita.

La mia schiena, lasciata nuda dalle stelle del mattino, fu scollata fortemente da stilisti inquietanti come incubi e paure.
Ai miei piedi, spine di ansie tremebonde, si trasformarono in tacchi di triste trepidazione.

La morte di Whero fu una delle cose che più mi schiacciarono in tutta la mia vita, più della situazione in cui mi trovavo. Domandai al Signore, a Dio e qualsiasi Santo il perché.
Come mai. Chi.
Qual era l'utilità, nel mondo dei cieli, di un cane che non disturbava, ma che guardava, giocava e abbaiava sempre, come io avevo cominciato a fare?
Non stava tanto bene, posato lì, nella sua cuccia o sul mio cuscino, in riva al Lago di Garda o in mezzo alle valli innevate delle Alpi?
Perché dovevano prendere proprio lui?
Non me ne facevo una ragione. Mi svegliavo, respiravo, mi riaddormentavo, continuavo a respirare, forse. Lui non c'era.
Ma era sempre nei miei pensieri.

Lo vedevo che mi guardava, come per dirmi "Hai smesso di lottare per i tuoi sogni?".
Io gli rispondevo sempre "Saper rinunciare non è, forse, una forma di lotta? Rinuncio al mio desiderio di libertà perché lotto per il nostro amore"
"Allora promettimi che non morirai, e che cambierai il mondo. Promettilo!" mi rispondeva lui, piegando il capo verso destra.
"Continuare a vivere... perché? Non ho più nulla e non troverò niente che potrà sostituire ciò che ho perso! Niente sostituirà te!"
"Riposati, ti prego. Pensaci bene" e con queste parole, la sua immagine scompariva, aumentando il mio dolore.

Nel crepuscolo di questo mondo, la gente lasciava salire al cielo lanterne di carta, le cui fiammelle illuminavano il nostro coraggio e ci facevano sognare.
In virtù di questo coraggio, e della mia voglia di metter fine al dolore, tentai la fuga.

Un rumore metallico ed un bruciore intenso alla spalla rallentarono per un attimo la mia corsa.

"Ti trapassano come fossi burro, quei maledetti pezzi di ferro, eh?" mi disse Whero, apparso accanto a me.
Mi ero offerto così, gridando il suo nome, mentre il mio aguzzino (o aguzzini, non lo sapevo) mi osservava da lontano o, magari, mi dichiarava morto ai suoi superiori, che mi consideravano solo un numero.

Per fortuna il colpo non era stato fortissimo, data la lontananza, ma la mia furia era pari a quella di Zeus nei giorni in cui non trovava una mortale da farsi... o, forse, era l'adrenalina che scorreva nel mio corpo.

Continuai a correre, spronato da Whero, e pensai che, nel crepuscolo di questo mondo, la luce può giungere come una lama, lasciando mani protese nel nulla.
Ero libero.

Tutto tornò ad essere quello che era prima, come è sempre stato, forse, come è sempre stato destinato ad essere.
Questo mi fece trarre solo una conclusione: io e lui non siamo mai stati destinati a niente. Forse non abbiamo mai avuto nulla in più degli altri e, forse, invece della gabbia, ci siamo spezzati le ossa.

Guardando il tramonto lo salutai.
"Addio per sempre, mio dolcissimo e unico amore. Diventerai presto un pensiero inghiottito in questo infinito in cui tutti siamo solo un piccolo soffio. Fammi vivere appieno questa esistenza e poi, finalmente, verrò al tuo fianco. Aspettami, non vivrò un giorno in più o in meno".

Chissà quale sarà il mio destino.
Chissà se avrò fortuna.
La vita passerà e basta.
Io non sono né vivo né morto.
Mi chiamo Leonard Athos Dumont, l'undicesimo sopravvissuto e questa è la mia favola: c'è un cane ed il suo principe, ma io ho aiutato il mostro a bruciarlo.

[...]

Uno squillo del cellulare mi sveglia, facendomi uscire dai sogni in cui ero piombata.
Svogliatamente prendo l'aggeggio infernale e leggo il messaggio che mi ha svegliata.

Antonio: Buongiorno!

Pink sta scrivendo....

Pink: Buongiorjosh

Ramona: Ragazzi, non potete capire che sogni assurdi ho fatto. Tutte le storie dei concorrenti, intrecciate in maniera assurda...

Antonio sta scrivendo....

Pink sta scrivendo....

Pink: Ma daiiii

Antonio: Solo tu... non è possibile

Pink: Tranquillo Antonio, prima o poi il Boss capirà che tutto ciò che legge non esiste, e smetterà di fare sogni allucinanti. Vero, Boss?

Ramona: Ormai sono la regina... dei disastri! Devo smetterla di organizzare contest....

FINE

Bene bene, anche l'ultima Os del Boss è arrivata. 36 frasi solo per questa, e le ho usate tutte, sono un genio.
Questa è più lunga delle altre, e ho dovuto anche aggiungere tanto di mio, più del solito.
Perdono per l'inizio scontato e un po' cliché, ma è una cosa voluta.
E perdono soprattutto per la morte di Whero... povero cucciolo, è destinato a morire sempre ahahahaha.
Niente, tra poco pubblicherò un ultimo capitolo perché, nonostante le Os siano finite, non ho ancora finito di condividere il mio disagio. Quindi... a presto.
Baci. R.

Shaked OSDove le storie prendono vita. Scoprilo ora